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 2015  agosto 29 Sabato calendario

«I RADICALI SONO MORTI E LI HA UCCISI

MARCO» –
Superato il cancello, scendo il viale tra le vigne di barolo fino alla Villa langarola di Serradenari, azienda vinicola nei pressi di La Morra. Seduto a un tavolo, all’ombra di un tiglio, mi aspetta il proprietario, l’ex deputato Giovanni Negri. Lo ricorderete imberbe segretario dei Radicali negli anni ’80, quando aveva sì e no trent’anni. Oggi ne ha 58 ed è in versione agreste. È l’ora del tè e la scena che ho di fronte idillica. Giovanni è circondato dalla sua famiglia composta dalla prima moglie, da quella attuale e dai figli avuti da entrambe: la ventiquattrenne e bocconiana, Giulia, e l’ultimo nato, un piccino di tre anni. Chiacchierano amabilmente e mi coinvolgono nelle loro risate. L’armonia è perfetta. «L’anno scorso, Giulia, cointestataria della mia azienda, ha fatto il miglior barolo d’Italia - racconta Giovanni che si è messo alla guida di un trattorino sul quale ci inerpichiamo tra le vigne -. Un prodotto classico di uve coltivate a un’altezza di 300 metri, in vigneti presi in affitto. Un tipo di vino del tutto diverso da quello che facciamo quassù a 550 metri di altitudine. Caratteristica di Serradenari è infatti produrre il barolo più alto d’Italia. Lo definirei un barolo “di montagna”, il più leggero e profumato che si possa immaginare». Voce e occhi, nonostante i ballonzolamenti e la fatica di ingranare le marce, sprizzano gioia e orgoglio. «Serradenari è un’eredità?», domando. «Di mio padre che si era appassionato alla coltivazione dei tartufi e aveva estirpato le viti. Ma con i tartufi non si va lontano: li sgraffignano di nascosto i tartufai. Così, ho reimpiantato viti e sono tornato al vino». «Cos’è per te il vino?», gli chiedo. «È la cosa di cui vivo - replica pratico (abbandonata la politica da vent’anni, ne ha dimenticato i privilegi e bada al sodo) -. Fare vino, è tre mestieri in uno: coltivare vite e uva; fare il vino in cantina; venderlo. A questi, se ne aggiunge un quarto: il recupero crediti, soprattutto nell’Italia della crisi dove per pagare ti fanno vedere i sorci verdi. Io però vendo il grosso all’estero e sono spesso in viaggio, New York, Tokio, Oslo per piazzare il vino. Le cose stanno così. Il mio più importante compratore è del Connecticut: seimila bottiglie l’anno, un quinto della produzione. Entro 60 giorni paga. A Roma ho venduto 48 bottiglie, sono passati due anni e non ho visto una lira». Si ferma su un’altura con vista sulla Terra di Barolo: Novello, Grinzane, Dogliani... «Bello - mormora - ma non mi basta. Dopo un po’, mi viene una prepotente voglia di cinema, supermercati, rumori e corro a Roma dove perlopiù abito. Poi, appena imbottigliato nel traffico del Lungotevere, sogno La Morra e mi precipito quassù. La verità è che sono incontentabile. Per questo scrivo». «Già - dico, ricordandomene - Sei un affermato romanziere. I polizieschi col Commissario Cosulich, sono best seller Einaudi». «Il mio libro più letto è stato però Vinosofia, che parla solo di vino ed è stato il più venduto in assoluto sul tema - dice senza un briciolo di falsa modestia -. Ora confido molto su un volume in uscita, di tutt’altro genere, Il gioco delle caste, (Piemme), sulla lotta per il potere in Italia, resa più accanita dalla crisi. Protagonisti, quattro personaggi rappresentativi delle caste che se lo spartiscono: il Politico, il Magistrato, il Cardinale, la Giornalista. Ho mandato in giro delle bozze e le reazioni sono state lusinghiere. Tra gli altri, ho avuto elogi da Angelo Panebianco e, a sorpresa, da Romano Prodi». «Fai vino come D’Alema e Einaudi e Malagodi. C’è affinità tra vino e politica?», chiedo mentre, tornati alla villa, scendiamo dal trabiccolo ed entriamo in casa per l’intervista. «Entrambi sono l’arte del possibile. Anche col vino si va a tentoni e talvolta ne ho piene le scatole. Al punto, che ho riscoperto la gazzosa e ne bevo a tutto spiano», ride e accende la luce perché s’è fatto l’imbrunire. Ogni tanto, attacchi Marco Pannella che fu tuo idolo. Il Pr non ti ispira più? «Voglio bene a quella storia. Ma quando è finita, bisogna riconoscerlo. Non tenerla in vita con artifici per attirare l’attenzione su di sé». Che senso ha il Pr oggi? «Nessuno». I militanti si offenderanno. «Nel Pr non ci sono più militanti. Solo gente con un rapporto di dipendenza con la Radio o il partito». Che pensi di Marco oggi? «Lui è l’Okavango, il fiume più bello del mondo, con il delta pieno di fenicotteri e la fauna più meravigliosa. Ma sbocca nel deserto anziché in mare. È sterile e non creativo. Dietro di sé non lascia niente». Ora è in lite anche con Emma Bonino. «Marco tra un po’ litigherà con se stesso. Comunque, ha più visione di Emma e, tra i due, mi schiero con lui». Bonino non ti è simpatica. «Mi cadono le braccia quando ripenso alle sue dure campagne per l’aborto e la vedo oggi che, civettando, accompagna Michelle Obama all’Expo». Qual è il Pr che rimpiangi? «Ci fossero ancora i Mellini, gli Spadaccia, i Teodori! Ma sono tutti via e la responsabilità è di Marco ed Emma che non danno spazio a nessuno». In che senso? «Un tempo Marco attaccava i matusa dc dicendo: “Sono al potere da trent’anni, più del Duce”. E ora, lui e lei, sono lì da 45 anni. Nel Pr non fanno emergere neanche un ventenne. Segno che hanno deciso di chiudere il ciclo con se stessi». Si è scritto che Pannella faceva dei favoriti i propri amanti. Vero? «Per avanzare nel partito, il requisito non era essere amanti, ma il merito. Detto questo, in quegli anni post sessantottini, nel Pr la promiscuità era totale, tutti con tutti. Ma avevamo anche una disciplina ascetico-leninista: digiuni, marce, veglie spossanti». Che ricordo hai di Ciccio Rutelli, il più blasonato tra voi? «Ha capovolto se stesso. Anticlericale, si è fatto sposare in chiesa dal cardinale Sodano. In un comizio gridò: “A Craxi non porterei neanche un’arancia in galera” eppure, santiddio, era stato il più craxiano di tutti noi. Stessa pasta di Veltroni che dichiarò: “Mai stato comunista”. Grottesco. Se lo dicessi io, pur di non vedermi allo specchio, non mi farei più la barba». L’Italia è prona all’Ue e ha perso ogni sovranità. Come lo vivi? «Malissimo. Nell’eurozona è in corso una caporetto della democrazia. Vigono norme antidemocratiche, senza che nessuno ragisca. Siamo come sudditi di Shanghai rispetto a Pechino. Se almeno avessimo risultati economici». Invece? «Arranchiamo. Mentre c’è un’Europa in pieno sviluppo, Londra, Oslo, Stoccolma, Varsavia, tutti fuori dall’euro. Spero e prevedo uno scioglimento consensuale dalla moneta unica». L’arrendevolezza Ue alimenta l’immigrazione. Come finirà? «Sono un nostalgico del vecchio Mercato Comune, con Paesi legati economicamente ma sovrani. Quello che però vorrei è una Difesa comune. Una grande integrazione militare e di gestione di fenomeni come l’immigrazione». Che pensi del Giòn Chénedi di Pontassieve, come hai chiamato Matteo Renzi in un tuo articolo? «Bravo. Tanta buona volontà. Ma può fare la fine di Tsipras, malmenato da Berlino. A meno di non accordarsi con Cameron e presentarsi insieme da Frau Merkel per dirle a brutto muso: “Qua s’à da rifà tutto”. È l’inglese il suo partner ideale». Se Renzi fallisce? «Tocca a Maria Elena Boschi. Io sono un boschiano di centro». Che ti ispira Salvini? «Ondivago. Dopo avere predicato l’uscita dall’euro, ora dice che sarebbe pazzia. Temo che tra le felpe che continua cambiare con gli slogan del momento, ne indossi un giorno una con la scritta: “Heil Berlino”». Il Berlusca di oggi? «Continua, eccellentemente, a fare i propri interessi. Fi è inguardabile. Il Cav si ritiri e l’affidi a Mihajlovic». È normale un Paese inchiodato per giorni su Casamonica? «Solo Roma può scandalizzarsi di Casamonica morto dopo averci convissuto cinquant’anni da vivo». Lede più il prestigio nazionale la bravata del funerale o la storia dei marò, gestita della più alte sfere? «Due facce della stessa medaglia. La qualità politica è ormai un ricordo». Perché siamo così ipocriti? «Siamo un Paese cattolico: pecco e mi pento, una mano lava l’altra, chiagni e fotti, tengo famiglia». Anneghiamo questa malinconia. Cosa propone l’enologo? «Un’antica, sana gazzosa italiana».