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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

“NEL CANTO DI MAMMA C’È LA FORZA CONTADINA”

[Intervista a Cecilia Bartoli] –
Cuore di mamma, cuore di “Norma”. Il capolavoro di Bellini infiamma Cecilia Bartoli, che ha appena cantato l’opera al festival di Salisburgo: «Norma è la più potente e incisiva tra le figure materne della lirica. Ama l’uomo sbagliato, Pollione, con cui ha generato figli. Il suo rapporto con la prole si nutre di un sentimento che arriverà a distruggerla. Mi piace l’idea di raffigurarla come l’Anna Magnani di “Roma città aperta”: una furente e combattiva mamma partigiana». È magnetica Cecilia, anche quando s’avventura in una conversazione fuori scena. Se in teatro ha appena dato la sua voce d’oro al personaggio della «più grande madre del repertorio operistico», nella vita il suo destino lo ha guidato e modellato con tenacia Silvana Bazzoni, sua madre.
È stata una cantante?
«Lo erano entrambi i miei genitori. Si sono conosciuti e innamorati al concorso lirico di Spoleto, da cui uscirono vincitori, cantando i ruoli principali di Manon Lescaut di Puccini, mamma come Manon e papà come Des Grieux. Ho perso mio padre Angelo, tenore, nel 2010, mentre mia madre oggi ha 79 anni e conserva la sua personalità fortissima. È dinamica, ottimista, volitiva. Insegna, viaggia, ha un’energia pazzesca e una curiosità insaziabile. Non smette di stupirmi. Mi ha accompagnato in un tour in Cina e si è messa a prendere lezioni di cucina cinese. Ora, quando viene a trovarci a Zurigo, dove vivo con mio marito (ho sposato uno svizzero), oltre alle tagliatelle fatte in casa ci prepara i ravioli Wonton».
Sua madre le ha insegnato il canto?
«Si è dedicata moltissimo a me nello studio, e fin dall’inizio della mia carriera mi ha seguito nelle tournée. Adesso continua a farlo quando le è possibile».
Un tipo instancabile.
«Una vera Resdora. In dialetto emiliano la Resdora è la donna che sa fare tutto e bene. Anche mia nonna Libia era così: lavorava i campi, curava gli animali, teneva a posto la casa, era una cuoca straordinaria, accudiva i figli… Rammento i miei nonni contadini in Emilia, già anziani, che raccoglievano i pomodori sotto il sole in agosto. Hanno trasmesso quest’attitudine ai figli e anche ai nipoti».
Dunque è una Resdora anche lei, Cecilia?
«Un po’ sì. Nel senso che non solo lavoro da matti, ma lo faccio con passione e convincimento. Le Resdore sono così. Magari io, essendo romana, ho qualche squarcio di pigrizia in più».
Invece la mamma è emiliana?
«È nata vicino a Parma, dove studiò al Conservatorio, mentre mio padre era riminese. Quando si sposarono si trasferirono a Roma, dove io sono nata e dove lei continua a vivere, nel quartiere Monteverde. Non smisero mai di cantare, intraprendendo una carriera internazionale, ma con tre figli divenne sempre più difficile, ed entrarono nel coro dell’Opera di Roma. Per quindici anni mia madre è stata anche corista a Santa Cecilia. Noi figli siamo cresciuti dentro la musica. Ora mio fratello non c’è più, e la mia sorella più piccola vive a Parma dove si diletta in un coro, io ho preso questa professione sul serio».
Altro che “sul serio”: Cecilia Bartoli ha conquistato il mondo. Le eredità della madre sono vaste e insondabili. A volte ci si afferma per reazione o contrasto. A volte ci si espande come una trionfale esaltazione del desiderio materno. Per Cecilia è stato così. Mezzosoprano stellare e campionessa di vendite discografiche (dieci milioni di copie: un traguardo assoluto), la Bartoli è considerata una delle massime cantanti del Novecento. Il suo carisma si nutre di una tecnica formidabile, di un ricamo di coloratura eccezionale, di un’intrepida libertà di scelte (opta spesso per repertori rari e preziosi) e di una squisita capacità di trasmettere emozioni. Sarà in Italia con il concerto dedicato a Vivaldi che il 27 ottobre chiuderà alla Scala le manifestazioni dell’Expo.
Quali sono i suoi primi ricordi teatrali?
«Un’ Aida a tre anni, alle Terme di Caracalla. In estate, senza la scuola, stavamo perennemente lì con i miei, che facevano i coristi. Siamo stati allevati nell’ascolto dal vivo del grande repertorio italiano. A Caracalla c’erano stagioni favolose, con mega-produzioni impressionanti. Adoravamo gli elefanti e i cavalli sulla scena, e i vari incidenti che capitavano durante gli spettacoli ci facevano morir da ridere. Gli animali irrompevano di corsa, e per paura seminavano cacche là dove i ballerini avrebbero dovuto danzare…».
Che età aveva Cecilia, quando debuttò?
«A nove anni fui il pastorello nella Tosca all’Opera di Roma. Dirigeva Daniel Oren. Entrai in Conservatorio a quindici anni e parallelamente studiavo a casa con la mamma. Al Conservatorio erano in programma solo due ore di canto a settimana: troppo poco! Io invece potevo esercitarmi con lei tutti i giorni. Senza soffrire e con le dovute pause. A volte mi pareva un gioco, era tutto molto bello» Che genere d’insegnante è sua madre?
«Ha pazienza e fermezza. Sa incoraggiare ed è una grande lavoratrice. Facevamo lezioni quotidiane con somma concentrazione ma anche con parsimonia. La voce è uno strumento delicato, cartilaginoso. Con i giovani bisogna andarci piano. Mai forzare. Lei mi ha costruito una tecnica senza la quale non avrei potuto avere la carriera che ho fatto. Ho coltivato un tesoro, che mi consente di cantare da trent’anni».
Le vostre voci si assomigliano?
«No. Lei è un soprano lirico pieno, affascinata dal repertorio tradizionale: Verdi, Puccini, il verismo… Io sono un mezzosoprano che si è avvicinata al classicismo attraverso Mozart e Rossini».
Sua mamma è una spettatrice esigente?
«Le sue critiche sono fondamentali. Mia madre è chiara come il sole, impietosa e perfettamente a conoscenza del mio strumento. Non ha mai esitato a dirmi le cose che non vanno. Le nostre discussioni mi hanno aiutata. Avere una persona disinteressata e competente che ti ascolta e ti dà consigli è la massima aspirazione di ogni cantante. È come poter contare su un prolungamento della tua arte in sala».
Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 31/8/2015