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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

LE FILIPPINE RESISTONO ALLA FEBBRE CINESE

Nel lunedì nero dei mercati internazionali di una settimana fa, la sua Borsa ha accusato la peggiore perdita della storia in termini di punti (487,97), tornando in negativo da inizio anno. La sua valuta è scesa ai minimi da cinque anni sul dollaro. Eppure è generalmente considerato il Paese emergente dell’area regionale asiatica meno esposto al contagio cinese, sia direttamente sia attraverso le turbolenze dei mercati internazionali. Le Filippine dovrebbero inoltre confermare nel 2015 – per il terzo anno consecutivo – la maggiore crescita tra i Paesi dell’Asean (le dieci nazioni del Sud-Est asiatico), intorno ai livelli dell’anno scorso (+6,1%).
Dopo lo sbandamento momentaneo, i suoi mercati si sono ripresi, agevolati dalla notizia di giovedì della ripresa del Pil, che nel secondo trimestre ha accelerato a un +5,6% dal +5% dei primi tre mesi dell’anno (sia pure un po’ meno delle attese e sotto il +6,7% del secondo trimestre del 2014).
Le differenze con crisi di ieri
«Resilient ma non immune» è la sintesi che su Manila fa l’analista Jojo Gonzales nell’ultimo report di BankAmerica Merrill Lynch, che esclude il ripetersi a Manila di una crisi come quella del 1997 e 1998 (quando il peso si svalutò, rispettivamente, del 50% e del 15 per cento). Il deprezzamento di circa il 5% di quest’anno della valuta è inferiore a quello di altre divise regionali: a questi livelli, il trend può anzi portare vantaggi in un Paese in cui il 10% del Pil fa riferimento alle rimesse dei dieci milioni di emigranti che sostengono i consumi interni (+5,6% a 12,1 miliardi di dollari nel primo semestre). Queste rimesse consentono dal 2003 un sostanziale surplus delle partite correnti, che compensa abbondantemente il cronico deficit commerciale. In percentuale, il calo giornaliero della Borsa di lunedì scorso (-6,7%) è inferiore ad alcuni crolli avvenuti in tempi di vera crisi, come il -12,27% del 27 ottobre 2008 (sull’onda del crack della Lehman Brothers). Il vero punto è che Manila dipende assai meno di altre nazioni sia dalla Cina sia dagli investitori finanziari esteri. «Benché la Cina sia stata il mercato a maggior crescita per l’export filippino, con una media di +8,5% negli ultimi dieci anni fino a diventare il terzo Paese di destinazione, l’esposizione complessiva resta modesta», afferma Gonzales. E se Pechino conta per circa il 12% del totale dell’export, su altri parametri vale assai meno: solo lo 0,1% delle rimesse degli emigranti, l’1% degli investimenti diretti stranieri e il 7% dell’afflusso turistico. Del resto, sono i cattivi rapporti politici tra Manila e Pechino – legati all’attivismo cinese su aree contese nel Mar Cinese Meridionale – a impedire un vero decollo delle relazioni economiche. Il fatto, poi, che i mercati obbligazionari filippini siano stati relativamente trascurati dagli investitori esteri, rende il Paese meno vulnerabile a un eventuale loro disimpegno: solo il 10% dei bond statali sono in mano a operatori stranieri, contro l’oltre un terzo per paesi come Indonesia e Malaysia. In mancanza di veri incentivi a lasciare l’obbligazionario (i bond filippini di recente hanno reso più degli altri), il deflusso di fondi esteri è avvenuto di recente sull’azionario – dopo il record della Borsa di aprile - ma senza traumi.
In testa all’Asean
Altri fattori depongono in positivo: dalla forte crescita del settore dell’outsoucing al calo dei prezzi petroliferi per un Paese importatore netto di energia, fino alla stabilità politica accoppiata a una prudenza nella gestione fiscale. Sotto il mandato del presidente Benigno Aquino, Standard & Poor’s ha alzato per quattro volte il rating del Paese, oggi «investment grade» per tutte le principali agenzie di rating. L’appuntamento con le elezioni presidenziali è per l’anno prossimo, in una atmosfera diversa da quella di Paesi in tensione politica come la Thailandia (dove i militari hanno preso il potere con un golpe) o la Malaysia (dove il premier è in difficoltà sull’onda di uno scandalo finanziario). Inoltre l’economia filippina dipende in modo modesto e meno che in passato dall’export di materie prime, il cui crollo dei prezzi legato al rallentamento della domanda cinese penalizza altre nazioni dell’area. «Difficile pensare a un Paese meno vulnerabile» a fattori come la svalutazione dello yuan o la prospettiva del rialzo dei tassi Usa: a dirlo non sono esponenti del governo, ma è il rappresentante del Fondo Monetario Internazionale a Manila, Jay Peiris. Parla di «star regionale» Edwin Gutierrez, capo per il settore del debito sovrano degli emergenti alla Aberdeen Asset Management: «In un mondo affamato di crescita, quella delle Filippine, sebbene in rallentamento, sta tenendo bene le posizioni».
«Ci attendiamo che le Filippine continueranno a “outperform” le altre economie Asean per il terzo anno consecutivo», afferma l’economista di Barclays Rahul Bajoria, che ha abbassato le sue stime sulla crescita di quest’anno al 5,5% dal precedente 6,5% (e vede un +6% nel 2016). Le ragioni della revisioni al ribasso stanno nel «rallentamento della domanda esterna» e nella «crescita non sufficientemente rapida della spesa pubblica». Le autorità di Manila hanno comunque promesso di accelerare gli investimenti statali, specie in infrastrutture.
«Le Filippine restano comunque vulnerabili a repentini movimenti di capitali internazionali e a bruschi deprezzamenti sui mercati valutari – osserva Giovanni Capannelli, principal economist all’Asia Development Bank di Manila - Anche se è vero che i rapporti economici internazionali delle Filippine sono meno dipendenti dalla Cina in confronto con la media degli altri paesi Asean, la recente crescita economica del Paese si fonda sul terziario, con in testa il settore delle costruzioni, call centers, e attività simili la cui domanda resta relativamente instabile: per restare più immuni, le Filippine hanno bisogno di più manifatturiero».
Più integrazione nell’area
Sullo sfondo, ci sono le incertezze e le opportunità create dalla prossima trasformazione dell’Asean in una Economic Community (AEC) in vista di una ulteriore integrazione economica. A Manila non manca chi teme che il Paese sia non del tutto preparato a questo sviluppo. Altri sono ottimisti. «Le Filippine possono trarre vantaggio dalla creazione dell’Aec più di altri Paesi membri – ritiene Capannelli. - Il motivo principale sta nel fatto che le Filippine sono, in media, meno integrate economicamente con la regione di quanto non lo siano altri paesi quali Thailandia, Indonesia, o Malaysia. E quindi hanno in prospettiva maggiori guadagni dalla formazione dell’Aec».
«È vero che il ciclo economico filippino è meno sincronizzato con la media regionale – aggiunge - ma nel contesto dell’Aec, che non prevede l’integrazione monetaria o fiscale questo non incide. Quello che importa è da un lato la possibilità di inserirsi maggiormente nelle catene produttive regionali e dall’altro la graduale adozione di standard comuni con gli altri paesi Asean, su cui le Filippine hanno molto da guadagnare».