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 2015  agosto 29 Sabato calendario

FACEBOOK HA UN MILIARDO DI AMICI

L’annuncio glorioso del record miliardario l’ha dato Mark Zuckerberg in persona, naturalmente con un post dal suo profilo personale. Nella giornata di lunedì eravamo un miliardo di amici interconnessi via Facebook, un abitante su sette di tutta la Terra come ci ha fatto notare il fondatore gongolante.
È chiaro che non significa nulla, si tratta di una delle tante abili strategie di comunicazione che dovrebbero farci sentire sempre di più a casa nostra tra quelle pagine blu. E’ come dire «tra poco saremo tutti dentro, è inutile resistere!». Nessuno ha voglia di resistere, è chiaro che alla fine siamo tutti contenti di poter tenere sott’occhio tutto l’universo delle nostre relazioni, siano esse importanti, futili, goderecce, «complicate» o banalmente anonime ma comunque sostenitrici della nostra autostima.
I record sbandierati dal signor Zuckerberg alla fine ci interessano relativamente, la maggior parte di noi non ambisce ad avere tutta l’intera umanità a portata di smartphone.
Ci basta quella giusta alternanza di persone che si affaccino anche solo per raccontarci che hanno inzuppato il cornetto nel cappuccino.
Di certo Facebook non potrebbe avere più rilevanza nella nostra vita di quella che già si è conquistata, non dobbiamo nemmeno andarcelo a cercare, oramai ogni nuovo acquisto di tecnologia relazionale ci chiede all’istante di essere condiviso con i nostri contatti Facebook. Quando dobbiamo registrarci per usare una nuova applicazione nemmeno facciamo più caso al fatto che invece di chiederci nome e cognome ci permette di accedere tramite il nostro profilo Facebook.
E’ un chiaro sintomo del fatto che oramai abbiamo delegato a un social network di rappresentarci, non ci curiamo troppo del fatto che mai nella storia dell’umanità qualcuno era riuscito a estorcere, in maniera seduttiva e non sotto tortura, così tante informazioni del nostro capillare vivere quotidiano.
Ora che ci è stato detto che siamo tanti possiamo anche metterci il cuore in pace, sappiamo che il prezzo di un così formidabile acceleratore di relazioni è la rinuncia del nostro privato, ebbene quando sarà un problema di tutti smetteremo di preoccuparci e ci faremo grandi risate, come Pinocchio e Lucignolo quando si levano i berretti e si accorgono che entrambi hanno le orecchie d’asino per troppa frequentazione del Paese dei balocchi.
E’ anche vero che nessuno potrebbe smentire mister Facebook sulle sue cifre da record, al momento l’omino di burro che guida la carrozza che ci traghetta verso la terra del disimpegno è innegabilmente lui. Il network nell’ultima fase si pone come un nostro amico, ci somministra periodicamente le foto di quello che in quel giorno facevamo un anno fa o anche più. Ci specifica pure che è un regalo che ci fa perché a noi tiene. Così, come mai prima pensavamo possibile, ci accorgiamo che lo scorrere del tempo ci segna giorno dopo giorno, che le passioni appassiscono, gli amici si alternano.
All’utente medio non cambia certo la vita sapere se quel miliardo di umani digitanti di cui fa parte sono entrati solamente per ingaglioffirsi in relax a scorrere i video dalle mirabolanti premesse nei titoli, o a intenerirsi sulle monumentali rassegne di gattini e cucciolotti sbaciucchiosi. Magari tra loro ci sono anche quelli che t’invitano a giocare a Candy Crush Saga e a cui nemmeno si risponde. Ci sono i troll che t’addentano solo perché sono affamati, ci sono quelli tenerissimi che danno del lei e ti ringraziano ancora per averli accettati, come si faceva al tempo dei pionieri, nel 2008 o giù di lì.
Qualunque sia il numero di coloro che la pratichino, Facebook è oggi a tutti gli effetti una religione sommersa. Un culto che prevede una rigorosa liturgia collettiva: il social network ci promette eternità in cambio di una parte importante del nostro tempo, da impiegare nel travaso quotidiano di frammenti del nostro vivere nei suoi capaci server.
La consuetudine di alimentare un’epica individuale fatta di gesti che nulla hanno di memorabile desta ancora ironia e dissenso negli osservatori che ancora non sono entrati a far parte del miliardo quotidiano. Chiaramente c’è materiale in abbondanza per sentirsi distanti dai compulsivi mitragliatori di selfie, da quelli che fotografano il piatto al ristorante, le scarpe nuove, i figli in tutte le angolazioni possibili.
Possiamo pure sentirci superiori di fronte a tali infantili manifestazioni di fanciullismo digitale, ma il network non ride, anzi sollecita, sa bene che la salvezza che lui promette è la persistenza perenne di quello che altrimenti andrebbe perduto.
Non è chiaro al momento cosa accadrà quando ci sarà più umanità trasformata in ombre digitali dentro Facebook che esseri concreti a calpestare la terra. Forse allora Zuckerberg manderà un post per dirci che siamo tutti dentro, chiuderà la porta e butterà via la chiave.
Gianluca Nicoletti, La Stampa 29/8/2015