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 2015  agosto 29 Sabato calendario

PERISCOPIO


Renzi commissaria di fatto il sindaco Marino. Doveva gestire il Giubileo. È finito giubilato. Gianni Macheda,

Sono pentito di alcune battute. Quella dell’orango e la Kyenge, per esempio, me la potevo risparmiare. Roberto Calderoli, senatore della Lega (Antonello Caporale). Il Fatto.

Tremonti: «Ho scritto io la Bossi-Fini». È che quando scrivono con i piedi è difficile riconoscere la calligrafia. Spinoza. Il Fatto.

In una riunione dell’Eurogruppo, Varoufakis portò il confronto sulla soglia delle minacce, Schäuble ribattè: «Con me è inutile il gioco dei ricatti, perché io non mi accorgo quando vengo ricattato». Pierluigi Mennitti. Il Foglio.

Sgarbi lancia un’idea per Pompei: tornare a fare vivere quelle rovine come fosse una città reale. E associare i dipendenti nel nuovo business. «Ci devono essere dentro almeno tre ristoranti, bar e negozi. Come era nella Pompei originale. Allora si viveva anche di notte? La città e i suoi negozi devono stare aperti tutta la notte, così vengono 5 mila visitatori in più al giorno e gli straordinari verrebbero pagati, eccome!». Franco Bechis. Libero.it

Celentano, Elton John, Muccino, Toscani e compagnia cantante usano Venezia (che non conoscono) per avere un titolo sul giornale. Io sto dalla parte di chi lavora e produce, delle famiglie con figli che tirano avanti a fatica. Nei salotti e sui divani chic non si creano né reddito né nuovi posti di lavoro. Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia. (Alessandra Longo), la Repubblica.

Le nuvole viste da una bambina. Nel calore del primo pomeriggio, quando tutti nelle case riposavano, mi sdraiavo sul prato dietro al fienile, dove l’unico rumore era quello delle betulle pallide, che al vento sfioravano il tetto. Sola, me ne restavo a guardare passare le nuvole. Erano, nei giorni belli, le nuvole bianche della calma agostana, che spinte appena da una debole aria lentamente avanzavano. Dapprima mi sembravano semplicemente nuvole. Ma poi, ai miei occhi, le masse candide assumevano forme strane; indefinite prima, e poi nette, riconoscibili. Ricordo una nuvola che sotto ai miei occhi diventò un grande cavallo, le zampe tese nel galoppo, e una invece che pareva una mano, sopra di me, incombente, come mi avesse voluto afferrare. Allora, inquieta, cambiavo posizione, e, da un’altra prospettiva, quelle figure non erano più animali né cose, ma bolle informi, di me assolutamente ignare. Eppure poi (passando le nuvole adagio sopra di me, come in una lenta transumanza) di nuovo riconoscevo in loro linee di volti, profili di pesci, cannoni, o soldati che da lontano, orda nemica, si avvicinavano. Allora andavo a cercare i miei fratelli, e le loro voci. Mi voltavo ancora, e nel cielo non c’erano più squali, né eserciti. Via, mi dicevano le nuvole, tornate innocenti: hai sognato, noi siamo solo vapore. Marina Corradi. Avvenire.

27 settembre 1957. Una telefonata da Milano m’informa che Leo Longanesi è morto. È stato colpito da infarto davanti al suo tavolo di lavoro, su cui era spiegata una mia lettera di dieci giorni fa, che cominciava così: «Caro Leo, stanotte ho sognato ch’eri morto...». Indro Montanelli, I conti con me stesso – Diari 1957-1978. Rizzoli.

La mia intesa con Enzo Biagi s’incrinò nel momento in cui passai a dirigere L’Europeo. Mi sarei aspettato che mi facesse gli auguri. Invece non disse nulla. Gli scocciava che avessi preso il posto di Lanfranco Vaccari, messo lì da Lamberto Sechi, direttore editoriale dei periodici Rizzoli, sodale e quasi coetaneo di Biagi. Per una volta tanto, Sechi non era riuscito a esercitare il diritto di veto politico sulla nomina, visto che a scegliermi era stato l’amministratore delegato della Rcs in persona, Giorgio Fattori. Il fatto poi che fossi sopravvissuto a uno sciopero preventivo di due mesi, forse il più lungo nella storia del giornalismo, scatenatomi contro da una redazione di sinistra che m’impedì persino l’accesso fisico al mio ufficio, lo disturbava parecchio, anche perché fra gli ammutinati più accaniti c’era Stefano Jesurum, marito di Carla, una delle sue tre figlie. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

Hélène Lazareff, che aveva appena lanciato in Francia il settimanale Elle, aveva avuto un grave incidente di salute. La sostituii facendo quello che potevo per qualche mese intanto che fabbricavo un bambino. Pierre Lazareff, editore e marito di Hélène, mi ripeteva teneramente tutti i giorni: «Soprattutto non affaticatevi troppo». Ma io non ero faticabile. Non ho mai accettato l’idea di poter essere stanca. Piccola nevrosi personale. In effetti, per molto tempo, ho avuto una salute di ferro. Françoise Giroud, Lessons particulières. Fayard. 1990.

Sette cavalieri abbandonarono la città al crepuscolo, davanti al sole che tramontava, dalla porta dell’Ovest che non era sorvegliata. Jean Raspail, Sept cavaliers. Roberto Laffont. 1993.

Per le strade di Gorizia e nel ristorante dove andai a pranzo, coglievo voci e frasi di una lingua che non era tedesca, né veneta come m’ero immaginato e neppure friulana. Dopo pranzo, girai a lungo per le vie, vidi un bel castello sopra una rocca addossata alla città, un fiume vorticoso che sbucava dalle gole dei monti e le alture d’intorno, spelacchiate e calcinose come se la guerra vi fosse appena passata. Più tardi scoprì un lussuoso caffè pieno di specchi, di tavolini di marmo nero, di poltrone nelle quali sedevano anziani signori intenti a leggere dei giornali fissati a mezzi bastoni, che impugnavano e tenevano stesi come aste di bandiera. Piero Chiara, Vedrò Singapore? Mondadori. 1981.

Prima di mezzogiorno la squadriglia aerea tedesca rientra, ma il suo volo è irregolare e uno degli apparecchi si lascia a tergo una leggera striscia di fumo. Avvicinandosi alla nostra postazione, il fumo aumenta e l’apparecchio perde quota sempre più precipitosamente. Non si è visto il paracadute e il destino del pilota è ormai concluso. Macchine tedesche giungono sul posto e già un servizio d’ordine allontana i curiosi, come in un quadrivio dopo una collisione mortale. Verso le 13, i guastatori italiani del 31mo assistono a uno spettacolo nuovo: sei Me 109 tedeschi arrivano sulla verticale dell’apparecchio caduto, ed eseguono un carosello d’onore, arabatico e funebre. L’apoteosi del morto, che indubbiamente è uno degli assi tedeschi conosciuti. Paolo Caccia Dominioni, Alamein 1933-1962. Longanesi.

Se gli angeli avessero il sedere, forse non avrebbero le ali. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 29/8/2015