Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 29 Sabato calendario

MENO ACCIAIO, PIÙ IPHONE

Il rallentamento dell’economia cinese che ha messo sottosopra i mercati globali può incidere anche sulle fortune delle grandi multinazionali occidentali che operano nel Paese. Le società che hanno alimentato il boom delle industrie di base dell’energia e dell’acciaio, come BHP Billiton, e quelle dell’energia come Schneider Electric, sono alle prese con precipitose cadute di fatturato dopo anni in cui i profitti sono stati alimentati da una crescita economica superiore al 10%.
Molte affrontano anche pesanti svalutazioni dopo che i piani di investimento legati alla continua crescita cinese appaiono sempre più irrealistici.
Al contrario, aziende come Apple e Samsonite che si rivolgono ai consumatori cinesi stanno andando molto meglio in quanto la domanda al dettaglio rimane forte. «Il livello dei consumi non è cambiato», ha spiegato Zhen Lin, direttore di una rivista in congedo di maternità mentre esce da un supermercato di Pechino con un carrello pieno di generi alimentari. La signora Lin ha detto che mangia fuori casa più volte alla settimana e non frena sulla spesa, avendo già pianifica l’acquisto di un nuovo computer quest’anno e una nuova auto nei prossimi due.
Le fortune mutevoli delle aziende internazionali nella seconda più grande economia del mondo arrivano dopo due decenni in cui la Cina non è stata solo la fabbrica del mondo, ma un Eldorado per le imprese straniere di ogni settore.
I principali marchi di lusso, nonché le case automobilistiche, sono presenti per le strade di Shanghai come in quelle di New York o Londra. La Cina è diventata il più grande mercato mondiale di auto e le vendite di beni di lusso sono balzate del 30% a 266 miliardi di yuan (41,4 miliardi) nel 2011. Nel 2012 gli acquirenti cinesi contavano per un quarto di tutti gli acquisti di lusso a livello mondiale. Giorgio Armani ha circa 300 negozi in Cina, poco meno di Wal-Mart Stores che ne ha 380. Le grandi compagnie petrolifere come BP e Royal Dutch Shell hanno investito in progetti in Cina, e centinaia di altre aziende industriali hanno dovuto ampliare la produzione per soddisfare la domanda della Cina. Il colosso asiatico consuma ancora quasi la metà di rame al mondo ed è diventato il secondo più grande importatore di petrolio. Assorbe anche il 45% dell’acciaio mondiale, ma per alcuni analisti la richiesta potrebbe aver già raggiunto il picco.
Il rallentamento del tasso di crescita cinese, che ha avuto inizio nel 2011, sta cambiando le prospettive.
La produzione industriale nel mese di luglio è cresciuta del 6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, meno della metà del 14% registrato nel luglio 2011. Lo sviluppo dell’immobiliare è arenato, con centri commerciali vuoti e condomini invenduti in molte città minori. La costruzione di nuovi uffici è crollata di quasi il 15% nei primi sette mesi di quest’anno rispetto a un anno prima, mentre nel 2014 era cresciuta del 6,7%. Le vendite al dettaglio hanno invece retto relativamente bene nel corso degli ultimi anni, con un rallentamento della crescita al 10,5% nel mese di luglio dal 12,2% dello stesso mese dello scorso anno e al 17,2% nel 2011.
BHP Billiton, che aveva generato ricavi per 23,6 miliardi di dollari quattro anni fa, l’anno scorso ha invece realizzato solo 1,9 miliardi. Martedì ha abbandonato la convinzione che la Cina produrrà più di un miliardo di tonnellate di acciaio all’anno nel 2020 e ora vede un picco a 935 milioni di tonnellate. Chevron ha iscritto a bilancio svalutazioni per 2 miliardi di dollari nel secondo trimestre in seguito alla sospensione di progetti di sviluppo a causa dei prezzi in caduta del petrolio, citando proprio il rallentamento della crescita cinese tra i responsabili. Schneider Electric, uno dei fornitori leader a livello mondiale di interruttori e altre attrezzature elettriche utilizzate negli edifici e per le reti energetiche, ha tagliato il proprio obiettivo di redditività dando la colpa in gran parte al rallentamento della crescita della Cina. La domanda in forte calo di ascensori e scale mobili, con la fine del boom edilizio, ha colpito la divisione Otis di United Technologies, che a luglio ha registrato un calo delle vendite del 5% nel secondo trimestre. Caterpillar ha comunicato a luglio che le vendite in Asia-Pacifico delle sue macchine per costruzioni sono diminuite del 30% nel secondo trimestre, in buona parte per il rallentamento della Cina.
Nel frattempo, Samsonite ha comunicato mercoledì che le vendite in Cina nel primo semestre dell’anno sono aumentate del 30% escludendo gli effetti valutari, contribuendo a un fatturato record di 1,2 miliardi di dollari. Apple ha dichiarato il suo giro d’affari in Cina più che raddoppiato a $ 13,23 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre e il ceo, Tim Cook, ha assicurato gli investitori all’inizio della settimana che le vendite erano ancora elevate a luglio e agosto. Anche il giro d’affari di Adidas nel primo semestre in Cina è aumentato del 20% a 1,16 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente escludendo gli effetti valutari. Gran parte della crescita è venuta dall’espansione aggressiva in tutta la Cina, dove Adidas ha più di 8.400 punti vendita.
Sembra la storia di due economie parallele secondo Andrew Polk, economista presso il gruppo di ricerca del Conference Board. «I vecchi fattori di crescita sono in soffitta, e i nuovi driver di crescita, consumi e servizi, stanno tenendo per ora». Alcune tra le società a più forte crescita stanno prendendo di mira i nuovi ricchi, sempre più simili alla classe media americana. Questa nuova classe sociale sta spendendo in biglietti per viaggi all’estero, alimentari e concerti. La domanda di prodotti ricercati come pannolini giapponesi, avocado messicani e salmone cileno è in aumento, e non è stata influenzata dal crollo della borsa cinese, in cui la nuova classe media cinese ha per il momento investito poco.
Il reddito è infatti cresciuto per ampi segmenti della popolazione. Tra il 2005 e il 2012, circa 50 milioni di famiglie nelle città sono entrati a far parte della classe media, che ora conta 147 milioni di famiglie, circa il 49% della popolazione urbana della Cina secondo Boston Consulting Group. Consumatori che hanno iniziato a comprare prodotti come lo shampoo Colomba di Unilever e il dentifricio Crest di Procter & Gamble invece che prodotti locali. Ora la crescita più veloce è nelle famiglie che si stanno spostando verso la classe medio-alta, con redditi mensili tra 12 mila e 20 mila yuan (da 1.868 a 3.114 dollari), alla ricerca di spa, alimenti biologici e vacanze a Tokyo o Bangkok. Boston Consulting stima che ci siano oltre 25 milioni di queste famiglie, e il numero potrebbe più che triplicare entro il 2020.
«L’economia si sta spostando sui consumi», ha dichiarato Ramesh Tainwala, ceo di Samsonite, aggiungendo che molti dei clienti della società sono i viaggiatori d’oltremare per la prima volta. «Nonostante la filosofia della “nuova normalità”, la voglia di viaggiare non è cambiata». Tainwala ha detto che il prezzo della valigia di Samsonite più venduta in Cina è sceso da 400 a circa 250 dollari dal momento che i consumatori cercano ora un buon rapporto prezzo-qualità. La società si è espansa nelle città cinesi minori affrontando i rivali locali sottolineando la garanzia globale e la fama internazionale del marchio.
In realtà, molte imprese rivolte ai consumatori sono alle prese con la crisi. Marchi di lusso come Prada hanno visto le vendite in Cina crollare per un giro di vite del governo contro la corruzione e l’ostentazione. Aziende come Unilever e Procter & Gamble che vendono beni di consumo hanno visto le vendite impattate da una serie di rivali locali con marchi di sapone e shampoo ormai molto popolari. Le case automobilistiche globali hanno ridotto la produzione per la caduta delle vendite, anche per le denunce del governo cinese riguardo a prezzi troppo elevati.
La spesa dei consumatori non è comunque sufficiente a sostituire gli investimenti industriali che ha alimentato il boom economico cinese, e se la crisi economica dovesse continuare molti consumatori potrebbero perdere i posti di lavoro che stanno alimentando la loro capacità di spesa. Già la crescita dei salari cinese ha rallentato nel corso dell’anno passato. Città più piccole, che sono state gli obiettivi di espansione delle società, potrebbero non essere più punti luminosi per la crescita.
Il numero uno di Adidas in Cina, Colin Currie, ha detto che la società sta monitorando i dati di vendita in tempo reale per vedere se c’è qualche ricaduta nelle città più piccole della Cina, dove il marchio si è espanso rapidamente negli ultimi cinque anni. L’azienda raggruppa i dati per regioni e tipi di negozi, consentendo di confrontare quali strategie stanno funzionando e adattando poi la produzione. «Sappiamo che il consumatore cinese cambia molto in fretta», ha detto Currie.
Le multinazionali hanno sperimentato grandi speranze, e qualche delusione, nell’enorme mercato di consumatori cinesi per più di un secolo, da quando nel diciannovesimo secolo si ripeteva spesso che se ogni uomo in Cina avesse aggiunto un pollice all’orlo della camicia, i mulini e le filiere del Lancashire, in Inghilterra, avrebbe lavorato per una generazione. Le società focalizzate sui consumatori sono state tra le prime a investire quando la Cina cominciò ad aprire la sua economia agli estranei, alla fine del 1970. Coca-Cola, che è entrata nel mercato nel 1978, ha dichiarato nel 1980 che avrebbe costruito il suo primo impianto di imbottigliamento a Pechino. Kentucky Fried Chicken, ora-KFC, ha aperto il suo primo punto vendita nel 1980 diventando rapidamente la catena alimentare straniera più popolare in Cina.
Gli investimenti nell’industria sono invece decollati dopo che la Cina ha aderito all’Organizzazione mondiale del commercio, nel 2001. Entro il 2002, gli investimenti diretti esteri erano schizzati da 404 miliardi di dollari nel 1999 a 52,7 miliardi. Entro il 2011 erano più che raddoppiati a 124 miliardi di dollari per poi diminuire l’anno scorso a 119,57 miliardi.
Laurie Burkitt, MilanoFinanza 29/8/2015