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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

LE TOP MODEL DI TEHERAN

Nell’immaginario collettivo fare la modella è sinonimo di bellezza, ma anche di abiti glam, tappeti rossi, milioni di follower su Instagram, cartelloni pubblicitari, videoclip, soldi, fama e prestigio. Ma in una Repubblica Islamica basata sui precetti religiosi della Sharia come l’Iran, dove l’immagine delle donne in pubblico viene severamente regolata, la moda è lo specchio delle tante contraddizioni di una società lontanissima da noi, in bilico tra religione e modernità. La professione di modella è stata ufficializzata solo un anno e mezzo fa, quando il presidente Hassan Rouhani ha scritto su Twitter: «Anche se una persona non sottostà ai canoni di abbigliamento, la sua virtù non dovrebbe essere compromessa». A quel punto anche il ministero della Cultura e Guida Islamica ha dovuto aprire, come vuole la giovane società iraniana, al mondo della moda. Ma per far sì che una piccola concessione non si traducesse in uno stravolgimento delle norme islamiche in vigore, al termine «modella» – dal fin troppo chiaro rimando occidentale a detta dei più ortodossi – si è sostituito quello di «indossatrice di buon gusto», conforme ai dettami religiosi. Ma, come abbiamo scoperto, quel segnale di apertura si è tradotto con l’ennesima mortificazione della condizione femminile.
«La principale differenza tra indossatrici e modelle sta nei princìpi morali», spiega Sharif Ravazi, fondatore di Behpooshi, cioè la prima e più nota agenzia di modelle dal gusto islamico-iraniano di Teheran, la capitale. «Solo le prime sono le rappresentanti della moda islamica e di nessun’altra». Grazia è andata a conoscere queste ragazze, così diverse dall’immagine classica della top model altissima e con le gambe chilometriche. Ravazi spiega in che cosa l’islamica si distingue nella pratica da quella occidentale. «Le nostre ragazze indossano sempre il velo e durante gli eventi pubblici sfilano diritte, senza movimenti superflui, e mantengono lo sguardo fìsso di fronte a sé. Insegniamo loro anche ad attutire il più possibile il rumore dei passi», spiega Ravazi. Dalla descrizione sembra stia parlando di addestrare soldati, non di mettere in passerella donne gioiose e bei vestiti.
La porta dello studio si apre lentamente e cinque aspiranti modelle sgattaiolano all’interno con fare timido e si sistemano allineate sul fondo di una sala che, con le sue pareti opache in cartongesso nero e i soffitti bassi, stride con gli ampi e illuminati spazi in voga in Occidente, riflettendo, volontariamente o no, il modello “islamico” tanto osannato.
Invece di essere avvolte in anonimi chador, il velo dalla testa ai piedi che lascia scoperto solo il viso, e in vestiti larghi dalle tonalità scure, le giovani indossano manteau, i cappottini dai toni sgargianti allacciati in vita. Le gambe sono fasciate da jeans e leggings aderenti. Sto assistendo all’ultima prova prima dell’esame finale. Le ragazze non indossano abiti da sfilata, ma Ravazi mi dice, come per rassicurarmi: «Non pensi siano sempre vestite solo di nero: l’uso del colore fa parte da della nostra cultura, basta guardare i vestiti tradizionali di città come Kashan e Esfahan». L’agenzia Behpooshi, grazie alle collaborazioni con i marchi locali e i buoni rapporti con le autorità, è un punto di riferimento per i giovani iraniani che sognano di entrare nel mondo della moda. A dimostrarlo, sono le richieste di ammissione ricevute: quest’anno in ben 8.000 hanno tentato di entrarvi, ma solo in 100 ce l’hanno fatta, e tra questi solo 40 ragazze.
I criteri di selezione in Iran non sono certo conformi agli standard internazionali. «A noi basta che le ragazze prendano la professione seriamente ed è per questo motivo che chiediamo due cose: l’approvazione dei genitori e la promessa di un comportamento adeguato alla morale islamica». Non è un modo di dire: l’ultima parola sul futuro delle indossatrici spetta al ministero della Cultura e Guida Islamica, auto-incaricatosi di rilasciare i tesserini professionali solo dopo aver controllato la fedina penale delle ragazze e aver curiosato la loro condotta sui social network.
Tra le giovani indossatrici. Zahra Mosafa spicca su tutte e, nonostante abbia solo 22 anni, ha già ben chiaro dove arrivare. «Ho sempre voluto fare la modella, non potevo lasciarmi scappare l’occasione», dice senza smettere di sorridere forzatamente davanti al nostro obiettivo e di sistemarsi i ciuffi ossigenati che spuntano da sotto il velo. «La mia mamma e le sue amiche sono state le prime a spingermi a farlo. Continuavano a ripetere che ero nata per la passerella. Mio padre ha dovuto accettarlo, ma c’è voluto del tempo».
Mentre una voce femminile canta in inglese su note di musica techno sparate al massimo, l’unica concessione Jinoussi sfila su una passerella immaginaria, ondeggiando le anche a ritmo di musica. E sicura di sé e, come se di fronte a lei ci fosse un grande pubblico ad acclamarla, simula baci e saluti ai pochi presenti. Quando arriva il turno delle altre, c’è chi accetta la sfida e ne simula i modi e chi cammina diritta con lo sguardo impenetrabile, come vuole la regola. «Alcune muovono troppo la vita, le spalle o le mani, mentre altre non si muovono per nulla e hanno lo sguardo spento e triste. In entrambi i casi parlo con loro e cerco di correggere gli errori», dice Baharak Alemomen, insegnante di linguaggio del corpo e modella lei stessa. Correggere è la parola d’ordine.
Passeggiando per le strade di Teheran si rimane colpiti dall’incredibile numero di nasi bendati, tant’è che l’Iran si è conquistato il primato mondiale nella rinoplastica. Ma spiccano anche il make-up sempre abbondante, le sopracciglia marcate e le tinte artificiali con cui le giovani si tingono i capelli. Le aspiranti indossatrici che ho davanti sono molto diverse tra loro ed è difficile farsi un’idea di quale tra loro risponda al canone di bellezza che rappresenta il Paese. Mosafa ammette di essere stata molto vicina al farsi «regalare un naso nuovo», dice proprio così, dai genitori. È una richiesta comune quando una ragazza compie 18 anni, ma lei ci ha ripensato per fare la modella.
«Preferiamo non accettare ragazze con nasi rifatti e dalle forme stravaganti», mi spiega Ravazi. «Rendono le loro facce artificiali e più le ragazze sono acqua e sapone, più sono in linea con i dettami islamici. Possono fare da esempio alla gente comune». Non esistono misure canoniche (il vecchio 90-60-90 per riferirsi alle misure di seno, vita e fianchi) e l’unico requisito ufficiale è quello dell’altezza: minimo un metro e 65.
Le prove continuano finché anche le ragazze all’apparenza più timide si lasciano andare a pose ammiccanti, ribellandosi alle rigide norme di comportamento imposte dalle autorità morali. Questo perché, anche se le giovani non hanno occasione di osare di fronte a un pubblico misto, dove il loro ruolo è limitato a quello di manichini inespressivi coperti dalla testa ai piedi, non vuol dire che non possano sbizzarrirsi in eventi privati per sole donne dove, al riparo da macchine fotografiche e sguardi indiscreti, è concesso sfilarsi il velo e sfoggiare abiti succinti e modi sensuali simili a quelli occidentali. Questo è quello che vorrebbero veramente le giovani di Teheran, ma prima devono abbassare il capo e seguire le rigide norme delle autorità morali, che le vogliono senza tratti distintivi, capaci di camminare senza far rumore.
Nel Paese la modella Pegah Belui è diventata un caso, perché ha cominciato a postare su Facebook delle sue foto: «Come si può islamizzare la moda?», si chiede. «In tutto il mondo si portano gli abiti corti, invece il ministero della Cultura e Guida Islamica vuole solo indossatrici coperte da capo a piedi. Ormai gli iraniani hanno la tv via satellite, sanno come va il mondo. Non è un caso che chi può permetterselo compri di nascosto abiti europei, turchi o americani, durante gli eventi privati». Alla fine, lo confessano anche le indossatrici che ho incontrato da Behpooshi: «Le sfilate a porte chiuse sono più energetiche e spontanee», dice la 23enne Ziba Teravat. «E solo quando metto quegli abiti meno castigati che mi posso sentire una vera modella. Come tutte le altre». Ma da Teheran, le passerelle di Milano o Parigi restano ancora lontanissime.