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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

VECCHIE DROGHE

Negli ultimi giorni ho ascoltato molte persone appartenenti a un esteso spettro di “giovani” – dai 18 ai 40 anni – esprimere pareri simili e insofferenti nei confronti della campagna estiva del Corriere della Sera sul tema delle droghe tra i “giovani”: spiegherò perché estenda così tanto la categoria anagrafica, ma prima ricapitolo la storia.
Lunedì 20 luglio il Corriere della Sera ha messo in prima pagina con grande enfasi la storia di un ragazzo di sedici anni che era morto per arresto cardiorespiratorio in ospedale dopo essere stato male nella discoteca Cocoricò di Riccione, in conseguenza dell’assunzione di una o due pasticche di ecstasy diluite in acqua (nei commenti sotto c’è qualche dettaglio più esatto) e probabilmente di alcuni alcoolici. Di questa storia triste si sta discutendo molto da allora, ma qui voglio parlare di una questione meno grave e accessoria: non quindi del tema della droga tra i giovani, né della chiusura del Cocoricò, né delle politiche sulle droghe.
In prima pagina, il Corriere scriveva: “dopo aver ingerito una pastiglia di ecstasy, la nuova droga che distrugge i ragazzi”. Io stesso, che non sento a 50 anni di potermi includere nella estesa categoria generazionale di cui ho parlato, non ho potuto non scuotere la testa di fronte a un approccio che non soltanto usa formulazioni dalla superficialità molto poco giornalistica di “distrugge i ragazzi” per spiegare gli effetti di una sostanza chimica, ma soprattutto mostra una competenza sul tema fin dalla prima pagina disarmante, chiamando ancora nel 2015 “nuova droga” l’ecstasy. Probabilmente nel timore tutto titolistico che non ci siano altrimenti sufficienti elementi di “novità” in quello che è successo.
Da quel giorno il Corriere, complici le solite bonacce estive dell’informazione, ha deciso palesemente una campagna quotidiana sul tema del pericolo della droga tra i giovani (perdonatemi se qui avallo anch’io per ragioni di chiarezza la semplificazione di definire “droga” qualunque sostanza chimica vietata per legge), declinata in sintesi in questi modi: molto spazio nelle prime pagine del giornale, molto terrorismo, molta attenzione a interlocutori di età mature o anziane, alle loro paure, alle loro idee, ai loro linguaggi (parlare ai “genitori”). Persone insomma, che possono persino arrivare a non alzare un sopracciglio di fronte a “ecstasy, la nuova droga” nel 2015.
La campagna del Corriere ha ottenuto così – mi pare si possa dire che vi abbia senz’altro concorso – una conseguente mobilitazione della magistratura che è giunta a una decisione molto forte come la chiusura della discoteca Cocoricò, decisione a sua volta enfatizzata dal giornale con grandissimo spazio e rinnovata partecipazione (assai minore sugli altri quotidiani, che non se ne sono sentiti altrettanto responsabili), e pareri degli psicologi, eccetera.
E sto arrivando al tema laterale di cui volevo parlare. Come dicevo, ho ascoltato nei giorni scorsi una varietà impressionantemente unanime di giudizi indignati, sprezzanti, divertiti, delusi, sui contenuti di questa campagna del Corriere: con stesse espressioni e stesse critiche espressi da diciottenni, da venticinquenni, da trentenni, da quarantenni. Tanto unanime e tanto tranchante da mettermi a momenti – malgrado come ho detto non potessi non riconoscere le ragioni delle critiche – in difesa degli autori di quegli articoli e di quel modo di trattare le cose. Articoli e modo accusati dai 18-40enni di ricadere in sostanza nella categoria “signora mia”, e quindi di non mostrare alcuna conoscenza delle cose di cui parlano, di enfatizzare schematismi allarmistici e semplificazioni ignoranti e di usare linguaggi o termini (“giovanotti”, “sballo”) rivolti a generazioni da dopoguerra e che screditano se stessi agli occhi di qualunque lettore 18-40 enne. Articoli di un altro mondo (come quelli degli altri quotidiani, eh: il Corriere è più protagonista di queste critiche per essersi dedicato di più al tema).
Quasi tutto di quegli articoli (con qualche eccezione di didascalica cronaca puntuale aliena a commenti o analisi) è insomma ritenuto da metà della popolazione che legge le news non solo inutile alla comprensione delle cose, ma addirittura mezzo di disinformazione e sintomo di incompetenza e inaffidabilità. E non parlo di utenti di ecstasy o di discoteche, ma anche di venti-trentenni qualunque che percepiscono come assurdo il taglio e l’approccio di quegli articoli a prescindere dai loro contenuti.
E qui mi metto quindi nei panni del Corriere, approfittando di questa mia condizione biografica a cavallo tra i giovani lettori scorati che il Corriere allontana, e gli anziani lettori allarmati a cui il Corriere decide di rivolgersi. Il contesto è quello di un quotidiano che come gli altri – e forse un po’ di più – sta vivendo da anni un innalzamento notevole dell’età media dei suoi lettori: e che si trova nella non invidiabile condizione di avere il suo maggiore capitale di lettori in fisiologico esaurimento, ma di averne un bisogno disperato perché gli altri bacini di lettori gli si mostrano irraggiungibili. E quindi – mi pare di vedere – da una parte il Corriere cerca di conservare i suoi vecchi lettori raccontando loro mondi inesistenti e incomprensibili con linguaggi anacronistici ma a loro familiari, e dall’altra introduce a macchia di leopardo esperimenti di ringiovanimento dei temi spesso un po’ goffi e tardivi perché affidati in gran parte agli stessi modi di pensare, di qualunque età (in molto giornalismo italiano delle grandi testate si manifesta intensamente lo stesso fenomeno di “giovani vecchi” che ormai anni fa fu notato in politica): un po’ di serie tv, un po’ di deejay di successo, un po’ di social network.
Simmetricamente a questo paradosso insolubile dalla parte del Corriere (“chi devono essere i nostri lettori?”, ne scrissi già qui) – risolto in parte con la scelta di un sito web che invece individua “i giovani” in un pubblico di rimbambiti in cerca di fesserie “virali” -, c’è un paradosso anche dalla parte dei lettori giovani, che si sentono tanto distanti dal Corriere e però lo stesso polemici. La risposta che mi viene da dare infatti ai tanti che in questi giorni sento indignarsi per le cronache su giovani e droga è: ma quand’è l’ultima volta che avete pagato per una copia del Corriere della Sera? Da quanto tempo non vi capita – se vi è mai capitato – di sentire quel giornale in qualche sintonia con la vostra domanda di informazione, con la vostra idea del mondo, con la realtà di cui avete esperienza e percezione? Cosa vi spinge a essere così aggressivi e polemici con un prodotto culturale in cui dichiaratamente non vi riconoscete, e che parla ad altre generazioni? E persino a diventare altrettanto presuntuosi e schematici: e a contestare un approccio che macchiettizza “i giovani” e li tratta con condiscendenza paternalistica e ignoranza, adottando però un identico approccio che macchiettizza un’idea di vecchi tromboni e li tratta con simile condiscendenza paternalistica e ignoranza, ancora più presuntuosa?
Parentesi. Mi chiedo se non stia parlando di me, e questo post sia un sintomo di crisi da mezza età e di ricerca di un posto dove stare quando mi sento ormai estraneo in quello dov’ero e non ancora a mio agio in quello in cui vado. Con la scusa del Corriere che non c’entra niente.
Ma se invece faccio finta di no, che non sia questo, tutte queste contraddizioni e paradossi mi sembrano un sintomo della bizzarria italiana per cui ormai le vecchie generazioni vanno a sparire dalla loro centralità protagonista così tanto protratta, ma le nuove non sono ancora state capaci di sostituire quella cultura bollita con un’altra, e quindi ne sono tuttora succubi, per quanto critiche: sanno attaccare e demolire quello che non sono, ma non emanciparsene rimpiazzandolo con qualcos’altro. Avviene nei giornali, come in altri spazi: il vecchio non si è rinnovato ma non è stato soppiantato, al massimo guarda dall’alto nicchie anche estese ma non protagoniste,. Non piace a metà della popolazione, che però lo sente ancora lì e lo riconosce, e lo critica. Potrei dire – per non essere elusivo – che è la riflessione per cui a un certo punto abbiamo provato a fare il Post, ma non vorrei esagerare a personalizzare un tema che invece davvero penso più esteso e che consegno a riflessioni più intelligenti delle mie. Le mie sono: scrivete come stanno le cose, se le conoscete davvero e se le sapete spiegare meglio, e fate diventare il vostro racconto prevalente. Se poi questo avvenisse dentro al Corriere – ma capisco le difficoltà – tanto meglio.