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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

MILANO

In Egitto hanno fatto tutto in tempi record: nemmeno un anno di scavi per arrivare nella scadenza prevista all’inaugurazione ufficiale del “nuovo” Canale di Suez. In Nicaragua, invece, la tabella di marcia è molto più in là nel tempo: il canale che dovrebbe attraversare il paese centroamericano da Atlantico a Pacifico dovrebbe aprire al traffico per il 2020.

Il boom del trasporto via mare delle merci, frutto della globalizzazione del settore industriale, nonché la costruzione di navi porta-container sempre più grandi, ha dato un rinnovato impulso alla costruzione o - in alternativa - all’allargamento dei canali artificiali.

Ne sono coinvolti i canali storici, come Panama o Suez, ma anche progetti inediti che faranno molto parlare nei prossimi anni nella circostanza in cui - è proprio il caso di dirlo - dovessero andare in porto: perché si concentrano tutti nell’area centroamericana fino ad arrivare alla Colombia, in tutti quei paesi che si affacciano su entrambi gli oceani. E che saranno destinati inevitabilmente a farsi concorrenza tra loro, prima ancora di farla al Canale di Panama.

Chi non ha di questi problemi è l’Egitto, visto che di concorrenti per evitare i 16mila chilometri della circumnavigazione dell’Africa non ne ha. Seguendo un progetto già avviato dall’ex presidente Mubarak, il governo de Il Cairo ha dato il via nell’agosto scorso ai lavori di scavo per quello che si potrebbe definire un ampliamento parziale del Canale. Dalla sua apertura alla fine dell’Ottocento, Suez ha sempre viaggiato per un lungo tratto (72 chilometri su un totale di 193) a senso unico alternato: due navi di grandi dimensioni non possono passare affiancate, con tutti i limiti del caso.

Bocciando un primo progetto che era stato dato in appalto a società del Qatar, il governo egiziano ha consegnato il cantiere all’esercito (e non solo per questioni di sicurezza) e i lavori a un consorzio di imprese europee. Risultato: in un anno sono stati scavati 37 chilometri di “espansione in profondità” garantendo il passaggio a navi di grande pescaggio e altri 35 chilometri “a secco” di allargamento effettivo. Il che dovrebbe garantire il passaggio di 97 imbarcazioni al giorno contro le attuali 49, con un tempo di percorrenza da 18 ore a meno di 10 ore a regime.

Il tutto per un investimento di oltre 4 miliardi di dollari, che in realtà nel suo complesso vale per oltre 8,5 miliardi: perché lungo le sponde del Canale saranno realizzati centri urbani, cantieri navali, punti di rifornimento. Un’opera pensata per dare lavoro ai giovani egiziani che da disoccupati sono facile preda dei predicatori integralisti.

Altre questioni geopolitiche stanno alla base della scelta della Cina di puntare le sue carte sul Nicaragua, per un progetto che sarà il più faraonico di tutti: tre volte più lungo di Panama (sfruttando un lago al centro del paese) con una larghezza dagli 83 ai 520 metri e una profondità di 27 metri. Nel 2013, il governo di Daniel Ortega ha concesso un permesso di 50 anni alla Hong Kong Nicaragua Development Investment il cui titolare ha garantito la bellezza di 40 miliardi di investimenti. Gli esperti del settore sono scettici: i fondi potrebbero non bastare perché i problemi tecnici sono notevoli e il Nicaragua è un paese povero di industrie e che offre poca manodopera: in sostanza, bisognerebbe importare uomini e materiali di ogni tipo. E poi, si domandano, c’è abbastanza traffico su queste rotte per due canali? Ma per la Cina il problema è politico: Panama è ancora troppo sotto l’influenza degli Usa, nonostante il Canale sia tornato nella disponibilità del governo locale. La guerra per la supremazia economica mondiale è appena iniziata.