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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

MILANO - E’

uno di quei manager che è molto difficile intercettare per una intervista di persona. Bisognerebbe inseguirlo in giro per il mondo. Perché fin dai primi anni ‘80, dopo essersi laureato in Ingegneria civile al Politecnico di Milano, ha scelto di lavorare all’estero, cambiando in continuazione paese, dal Nepal al Paraguay, dalla Turchia al Peru. Se non altro, Giuseppe Quarta, 56 anni, da un anno a questa parte fa base a Panama. Da quando è diventato responsabile dei lavori per il raddoppio del Canale per conto di Salini-Impregilo, uno dei leader mondiali nel campo delle grandi opere. Nomina arrivata all’indomani dell’accordo che ha messo fine al contenzioso tra il consorzio guidato dalla società italiana e le autorità locali che minacciavano di ritirare l’appalto. Ora il cantiere è avviato verso il suo completamento, con l’apertura commerciale prevista per la prossima primavera.

Ingegner Quarta, può confermare che non ci saranno più rinvii?
“Vorrei essere prudente, visto che si tratta di un cantiere estremamente complesso, con moltissime variabili tecniche. Però, si può dire che dei 28 obiettivi che ci eravamo prefissati un anno fa, 24 sono stati tutti raggiunti nel rispetto dei tempi. Ce ne sono ancora quattro da qui al primo aprile dell’anno prossimo, quando le autorità hanno fissato l’apertura del Canale”.

Quali sono state le maggiori difficoltà tecniche in un cantiere così complesso? La produzione di tutto il cemento necessario?
“Questo è un tema delicato, per il quale è nato anche il contenzioso con le autorità del Canale. Il basalto locale che abbiamo utilizzato per la produzione ha caratteristiche tali per cui si disgrega facilmente quando lo si lavora per farne calcestruzzo. Bisogna processarlo in modo particolare e questo ha comportato costi addizionali. Un arbitrato ci ha dato ragione e riconosciuto 245 milioni, ma la vicenda per noi non è ancora conclusa, non è una cifra sufficiente”.

Panama è un paese piccolo e la sua economia è quasi tutta rivolta al Canale e al settore finanziario. Avete avuto problemi di approvvigionamento o di reperimento del personale?
“In effetti, l’economia del paese è limitata ad alcuni settori e ha solo tre milioni di abitanti. Per le necessità del cantiere dobbiamo importare quasi tutto. Ogni mese, utilizziamo mediamente il doppio del cemento e dell’acciaio che viene consumato in un anno in tutta Panama. La manodopera, in base agli accordi con il Governo, è quasi tutta locale: non possiamo superare il 10 per cento di lavoratori stranieri. Mentre abbiamo avuto non pochi problemi per lo staff e i quadri intermedi perché abbiamo dovuta reperirli in giro per il mondo. Bisogna dire che la recessione in Europa ci è venuta in aiuto: in particolare, la crisi dell’edilizia e delle opera pubbliche in Spagna e Portogallo ha portato alla chiusura di molte imprese. E molti professionisti e tecnici si sono resi disponibili per essere selezionati per il cantiere”.

Il governo cinese, attraverso uno dei suoi colossi di Stato, vuole costruire un canale che collega i due oceani attraversando il Nicaragua. Ma ci sarà mercato sufficiente per entrambi?
“Secondo un convegno organizzato di recente qui a Panama, sembra proprio di no. Dal mio punto di vista di tecnico, faccio solo osservare che il Nicaragua è un paese ancora più complicato. Secondo il progetto presentato dai cinesi, si tratta di realizzare un miliardo di dollari di lavori al mese: nel nostro cantiere ne abbiamo fatti 100 milioni al mese nei momenti di picco. E poi, un conto è allargare un canale già esistente, già accettato dalla popolazione locale su cui ruota l’economia. Mentre in Nicaragua il canale va scavato ex novo, dovranno sventrare un paese e trasformare un habitat molto particolare. Vediamo cosa succederà”.