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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

ROMA - I

due oceani hanno ripreso a guardarsi. Il 24 giugno scorso la paratoia alta come un palazzo di dieci piani e pesante quasi quattromila tonnellate ha lasciato entrare nel Nuovo Canale di Panama le acque dell’Atlantico, esattamente due giorni dopo l’operazione speculare compiuta sul fronte del Pacifico. Sono le prime prove del complesso sistema di sedici paratoie inserite nel Terzo Set di Chiuse, il progetto che prevede la realizzazione del nuovo Canale di Panama a oltre cento anni dalla storica inaugurazione del 1914. A realizzare l’opera, il consorzio Grupo Unidos por el Canal (Gupc), composto da Salini-Impregilo (l’impresa italiana leader nel mondo nel settore acqua), dalla spagnola Sacyr, dalla belga Jan de Nul, e dalla CUSA di Panama. Un lavoro iniziato ufficialmente nell’agosto del 2009 che ha attraversato anche momenti di stallo come nella querelle su 1,6 miliardi di extra costi che all’inizio del 2014 ha reso più tesi i rapporti tra il Gupc e il governo panamense.

Ma oggi i tempi sono maturi: lo stato di avanzamento dei lavori è al 90% e già dalla primavera del 2016 saranno operative le prime linee di transito, che passeranno attraverso le sedici paratoie arrivate dall’Italia. «Il Canale di Panama – commenta Pietro Salini, amministratore delegato del Gruppo Salini Impregilo – è senza dubbio un progetto strategico per il commercio mondiale, una miscela di alta tecnologia, esperienza costruttiva e competenza progettuale che testimonia ancora una volta la leadership di Salini Impregilo a livello globale. È per noi motivo di enorme soddisfazione essere riusciti a realizzare questa grande infrastruttura che parla italiano con i nostri ingegneri ma anche con i nostri fornitori, un’opera che già dall’inizio dell’anno prossimo permetterà alle enormi navi Post Panamax di passare dall’Atlantico al Pacifico, cambiando il destino del traffico mondiale per dimensione e per durata».

Un’autostrada del mare, aperta alle navi moderne che possono arrivare a 400 metri di lunghezza portando sulla schiena 14.000 containers, tre volte di più rispetto alla portata odierna. Il loro viaggio attraverso il continente americano è garantito da un sofisticato gioco di chiuse che farà innalzare le imbarcazioni di 27 metri permettendogli di accedere alle acque del lago Gatùn, il bacino artificiale più grande del mondo. Una volta superato, le chiuse all’imbocco dell’altro oceano riportano l’imbarcazione al livello del mare e le permettono di lasciarsi il Canale alle spalle. Un’opera costosa (circa 4 miliardi di euro il conto finale) che tuttavia garantirà all’Autoridad del Canal de Panama e all’indotto incassi annuali fino a 5 miliardi di dollari, circa il doppio rispetto a quelli attuali. Il Canale è infatti già un affare per il commercio mondiale. Valgono 270 miliardi di dollari (il 3% dei percento dei traffici marittimi mondiali) le merci che transitano ogni anno nel corridoio che collega l’Atlantico e il Pacifico e attraverso 144 rotte marittime raggiungono 160 Paesi e 1.700 porti.

Ma il nuovo Canale sarà un affare ancora più grande. Secondo uno studio redatto dal professor Oliviero Boccelli, direttore del Certet (Centro di economia regionale, trasporti e turismo) dell’Università Bocconi di Milano, nel 2014 il 54% della flotta commerciale sui mari di tutto il mondo aveva dimensioni superiori rispetto a quelle previste per superare l’istmo di Panama. E questa percentuale è destinata a salire al 60% nel 2018. Sempre la Bocconi rileva che transitare con i carichi da 12.600 TEU, contro i 4.400 di oggi, significa una riduzione dei costi del trasporto marittimo del 34%. Per una nave del genere, ogni giorno in meno di navigazione vale 100.000 dollari. Questo comporta un impatto sensibile sugli equilibri del commercio mondiale, e una rivoluzione per le prospettive di sviluppo della regione. Il 17 giugno scorso la Banca Mondiale ha pubblicato lo studio “Trade matters: new opportunities for the Caribbean”, un’analisi dettagliata sulle prospettive di crescita di tutta l’area, sottolineando come l’espansione del Canale porti con sé una naturale attesa verso l’aumento degli scambi tra i Paesi dei Caraibi, oltre alla modernizzazione delle infrastrutture (soprattutto porti e ferrovie) in Giamaica, Repubblica Domenicana, Bahamas e Haiti.

L’impatto dell’opera si allarga a centri concentrici e arriva fino all’Italia. Attraverso Panama passa il 5% del commercio marittimo del nostro Paese, e le rotte internazionali che partono dalle città della costa Est statunitense (Seattle, Oakland, Long Beach) e passano per il Canale arrivano fino ai grandi porti italiani del Tirreno, La Spezia, Civitavecchia e Gioia Tauro. Autostrade del mare battute da uomini e merci.