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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

SCANDALO NEL TEMPIO DEL KUNG FU – 

Da millenario cuore mistico del buddhismo zen, a contemporanea centrale finanziaria del Kung Fu a luci rosse. Il tempio di Shaolin, sopravvissuto alla furia delle Guardie rosse di Mao Zedong, rischia di soccombere alle denunce anonime sul web e alle purghe anti-corruzione del presidente riformista Xi Jinping. Lo scandalo scuote la Cina, divisa tra milioni di fedeli buddhisti e di praticanti delle arti marziali, tutti riabilitati dopo la morte del Grande Timoniere. Il venerato abate Shi Yongxin, 50 anni, noto come il “priore- Ceo di Kung Fu City”, è accusato di truffa per aver accumulato una fortuna versando le offerte milionarie dei visitatori su conti personali. A turbare i cinesi è però l’imputazione di «comportamento immorale», per aver avuto «frequenti rapporti sessuali» con adepte e suore, con le quali avrebbe generato «numerosi figli segreti».
A trascinarlo nella bufera è un misterioso personaggio, che sulla Rete ha assunto lo pseudonimo di Shi Zhencyi, «paladino della giustizia», identificato poi dalla polizia come un ex discepolo del convento. L’uomo ha confermato alle autorità che l’abate, famoso in tutto il mondo per gli show di arti marziali che hanno ispirato l’attore Bruce Lee e i film di Hollywood e Hong Kong, avrebbe assunto diverse identità, producendo fatture false e «seducendo centinaia di donne ». Nel 1988 sarebbe stato anche espulso dal convento, dopo che si era scoperto che «mangiava carne e aveva messo incinta una ragazza sposata».
La direzione di Shaolin, complesso arroccato sui monti di Denfeng nello Henan, nega e assicura che lo scandalo è frutto di una vendetta privata. La pubblica telenovela hard, senza precedenti nel Paese della censura, è stata interrotta ieri dal governo di Pechino, che ha ordinato all’Ufficio regionale per gli affari religiosi di «occuparsi seriamente del caso e di chiarirlo rapidamente ». Ad aggravare la posizione dell’abate, famoso per essere sempre elegantissimo, viaggiare su fuoriserie e aerei privati e alloggiare in alberghi extra-lusso, l’improvvisa cancellazione del suo nome dalla tournée dei monaci-guerrieri in Thailandia. Shi Yongxin, iscritto al partito comunista, membro del Congresso nazionale del popolo e vice presidente dell’Associazione buddhista cinese, è stato fermato dalla polizia e interrogato in un luogo ignoto. Il fermo sarebbe dovuto al timore che l’abate volesse approfittare del tour thailandese per scomparire nel Sudest asiatico.
I media di Stato rivelano che il sexy-scandalo di Shaolin potrebbe scoperchiarne uno politicamente ben più imbarazzante: migliaia di falsi monaci buddhisti sparsi in tutte le regioni cinesi, muniti di doppi documenti per incassare le donazioni dei fedeli e potersi sposare. In particolare nello Zhejiang alcuni abati risultano sotto inchiesta per “doppia vita”: umili monaci zen in orario di lavoro, milionari padri di famiglia nel tempo libero.
Al centro della tempesta resta però Shaolin, simbolo globale dei religiosi-atleti, visitato ogni anno da quattro milioni di persone. L’abate Shi Yongxin lo guida dal 1999 e grazie al sostegno della leadership comunista, impegnata a esportare l’industria culturale cinese, lo ha trasformato in un marchio internazionale che annualmente incassa 50 milioni di euro da 8 mila show, con 200 monaci, 58 scuole di arti marziali e 12 mila allievi. Il priore-lottatore-manager negli ultimi mesi aveva pure tentato di aprire un mega-parco a tema in Australia e di quotare il monastero in Borsa: visto lo scoppio della bolla finanziaria cinese, almeno questo colpo fatale è stato (per ora) schivato.