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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

NEL REGNO DI ISSAD, L’UOMO CHE RIACCENDERA’ L’ALTOFORNO DI PIOMBINO

Ufficialmente, l’Algeria è il più stabile fra i paesi nordafricani: non c’è da scommetterci. Le entrate sono dimezzate di colpo, per la caduta del prezzo di petrolio e gas, e l’Algeria ha campato solo di quella rendita, e l’ha dissipata per tener a bada le tensioni sociali. Stringe la cinghia anche il calcio: vietati giocatori e allenatori stranieri, i già presenti restano fino a decorrenza dei contratti. Nel regime c’è un vuoto di potere o, che è lo stesso, un troppo pieno.
Alla vigilia del nostro viaggio un rimpasto ha sostituito tre ministri. Il giorno in cui arriviamo, è la volta dei generali, spionaggio, guardia repubblicana e sicurezza presidenziale. In primavera era toccato ai capi delle imprese statali. Il presidente – una monarchia di fatto dal 1999 - è Abdelaziz Bouteflika, 78 anni, rieletto per il quarto mandato nonostante sia da tempo invalido per un ictus. Gli eventi istituzionali appaiono come intrighi di corte e voci di palazzo. Fuori, si azzardano ipotesi su colpi di mano. Alle sette frontiere del paese preme un pulviscolo terrorista, rafforzato in armi e soldi dal disordine libico e del Sahel, e attratto dal califfato. Il 17 luglio un’imboscata jihadista a Ain Defla, sudovest di Algeri, è costato la vita ad almeno 10 soldati. Altri 15 erano caduti in un agguato in Kabilia nell’aprile 2014.
Dalla minaccia islamista, si consola qualcuno, il popolo algerino è vaccinato dopo la tragedia della guerra civile degli anni ’90, coi suoi 150 mila sgozzati e decapitati e massacrati, anticipo della furia che sconvolge il medio oriente. Il visitatore guarda sbigottito i lavori in corso della moschea voluta da Bouteflika al centro della baia di Algeri, la più grande del mondo dopo la Mecca e Medina, 20 ettari, un minareto che gratterà il cielo, un miliardo di euro destinato a raddoppiarsi, 120 mila fedeli – e la certezza della paralisi finale del traffico urbano.
So poco dell’Algeria: ho imparato la tortura su Henri Alleg, parteggiato per l’Fln negli anni ’60 e spasimato per le donne coraggiose negli anni ’90, ho letto Bernardo Valli e prima Camus e ora Kemal Daoud, che ha invertito Lo Straniero in una romanzesca Controinchiesta, restituendo un nome all’“arabo” ammazzato da Meursault.
Anche l’occasione del viaggio è a suo modo un’inversione: la Toscana e il governo Renzi hanno patrocinato l’accordo con cui il maggior industriale algerino, Issad Rebrab, rileva la fallita siderurgia di Piombino. Piombino ha fatto la storia dell’acciaio da un secolo e mezzo a questa parte, e ne è stata fatta. Un anno fa l’altoforno si spense per sempre. Il nuovo progetto prevede l’impiego successivo di due forni elettrici che alimentino le produzioni speciali per le quali l’acciaio piombinese è famoso; e, collegati, un impianto agroalimentare e una piattaforma logistica che sfrutti il porto, potenziato dal dragaggio che ha portato il fondale a 18 metri, adeguandolo alla demolizione e al riciclaggio delle navi. L’impresa ha messo al centro dell’attenzione la figura di Rebrab e la sua società madre, la Cevital.
Ha le risorse e le competenze adeguate? È disposto a stare ai patti? Attorno alle aziende in crisi, e alla siderurgia in particolare, girano salvatori e compratori di rapina, per spartirsene i pezzi ancora pregiati, e lasciare cimiteri di scorie e bonifiche impossibili. Rebrab ospita il presidente della Toscana, Enrico Rossi, nei suoi impianti di Bejaia e Larbaa. (Un ritratto efficace, a firma di Daniele Castellani Perelli, uscì sull’Espresso del 10 dic. 2014: “Issad Rebrab: chi è l’algerino che ha salvato la Lucchini”: abituato ai salvataggi già in Francia, “un padrone di una vecchia colonia che salva l’occupazione nell’ex Paese colonizzatore”).
La visita guidata è tutt’altro che una cerimonia. A Bejaia copre una ventina di km a passo di marcia, sotto un sole a picco o al chiuso, dalle vampate dei forni agli intervalli del raffreddamento.
Zucchero bianco e scuro, margarina, olii vegetali, bevande. A ciascun passaggio del ciclo continuo Rebrab enumera tempi, metri e soprattutto tonnellate: è così preso dalla poesia delle tonnellate da contagiare l’interlocutore che non le distingue dai quintali. La cosa si ripeterà alla vetreria di Larbaa (Blida), la più grande dell’Africa. Enuncia il suo programma: reinvestire tutto, e scegliere le tecnologia più avanzate. A volte, per farlo, si passa per vie traverse. Brevetti americani, per esempio, acquistati in saldo dai cinesi, che spesso rinunciano a metterli in funzione per non ridurre l’occupazione. Decanta la qualità di macchinari della Bottero di Cuneo, in gara con il concorrente tedesco: c’è un suo giovane tecnico, ha già montato una ventina di impianti in giro per il mondo, uno come il Faussone della Chiave a stella, ne avrà anche lui da raccontare.
Senta Rebrab, non sarà che lei ha trovato un modo di sbarcare in Italia, con un porto e due banchine a disposizione, dopo di che l’acciaio e i suoi lavoratori diventano un ricordo? «La vetreria di Larbaa, risponde, coi suoi tremila operai, è nata sullo spazio in cui avevo costruito un’acciaieria. Negli anni ’90 subii 14 attentati esplosivi, prima di rassegnarmi a chiuderla. Non mi hanno permesso di riaprirla in patria, ma non ho mai rinunciato ».
Farid Tidjani, algerino-novarese e ora amministratore delegato dell’acciaieria ribattezzata Aferpi, assicura: «Per lui è un appuntamento personale rinviato da vent’anni». A Bejaia c’è anche il direttore generale delle ferrovie algerine, Yacine Bendjaballah, che ha appena concluso un acquisto di treni dalla francese Alston per 200 milioni. «Le rotaie dai laminatoi di Piombino arriveranno direttamente per mare fino a qui». C’è un’altra preoccupazione: l’investimento piombinese impegnerà più di un miliardo di euro. Ma la legge algerina vieta di far uscire la valuta. «Il nostro debito è zero. Ci rivolgeremo alle banche depositando in garanzia l’equivalente in Algeria».
Occorrerà del tempo prima che i forni elettrici entrino in funzione, che si smantelli l’area a caldo e rientrino al lavoro i dipendenti che ha garantito di conservare. Lei ci mostra i grafici sullo sviluppo al 2025: ma nel 2025 chissà se ci saremo. «Ci saremo ambedue – dice- la vita si è allungata, io avrò 81 anni, lei 83». Il tono è quello con cui illustra le proiezioni sulla domanda di olii minerali o di vetri temperati per elettrodomestici. Senza una simile tranquillità sarebbe stato difficile diventare “lo Zidane dell’industria”, con un padre che aveva fatto un solo anno di scuola, ma si batté per l’indipendenza ed ebbe poi il tempo di vedere l’ascesa del figlio – un fratello maggiore morì nella guerra di liberazione. Rebrab ha 4 figli e una figlia, impegnati nelle sue aziende. È proprietario di un quotidiano diffuso e ben fatto, Libertè . È mal amato dal socialismo reale che gli mette i bastoni fra le ruote, spingendolo a guardare lontano. È alieno da miraggi finanziari e da tutto ciò che “non si tocca con le mani”. Rossi tiene alla verifica dei passi industriali, ma è persuaso che accordi come questo siano un modello delle relazioni possibili fra nord e sud del mediterraneo, un ciclo continuo umano contro il ritratto dell’invasione dei dannati della terra che risale l’Europa. Pisano di Bientina, in un intervallo della visita a Bugia- Bejaia Rossi è passato dalla Promenade Leonardo Fibonacci: il pisano che qui, nella piccola Cabilia, alla fine del secolo XII, formò il suo genio matematico.