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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

UN ANNO AI GIOCHI. MA LA FESTA DEL BRASILE SEMBRA GIA’ FINITA  

Com’è lontana oggi, un anno esatto dall’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, l’euforia vista al vertice Cio di Copenaghen del 2009, quando il Brasile potenza emergente dell’icona globale Lula da Silva strappava, dopo i Mondiali di calcio, anche la prima edizione sudamericana dei giochi, battendo la concorrenza di Chicago, Madrid e Tokyo. L’entusiasmo verdeoro, allora, contagiò tutti. I Giochi nella cidade maravilhosa arrivavano nel pieno del secondo mandato di un presidente osannato a livello mondiale per i piani sociali che avevano tolto dalla povertà trenta milioni di persone. Il Brasile era la nuova potenza, con il boom delle esportazioni e il patto nei Brics con Cina, Russia, India e Sudafrica.
Oggi le cose sono nettamente cambiate. Dilma Rousseff, delfina di Lula, guida un Paese in recessione (meno 1,8% del Pil nel 2015), le esportazioni languono per la frenata dell’economia cinese e i ripetuti scandali di corruzione hanno fatto crollare la popolarità del governo. L’ultimo affaire è per un giro di mazzette nel colosso petrolifero pubblico Petrobras e ha causato perdite per due miliardi di euro. Finita la sbornia, arrivano i sacrifici: taglio pesante alla spesa pubblica e aumento delle tasse. I Mondiali di calcio sono stati disastrosi per la Seleçao allora di Felipe Scolari e costellati dalle critiche per gli sprechi organizzativi, in più hanno anche lasciato dei buchi in bilancio e qualche bella cattedrale del deserto come lo stadio amazzonico di Manaus, dove si giocò di Italia-Inghilterra, con l’erba che cresce a ritmo tropicale e quello di Brasilia (600 milioni di euro) oggi usato praticamente solo per i parcheggi.
Per i Giochi di Rio, stando allo stato delle cose, non sembra che possa andare molto meglio. Le imprese che stanno costruendo le infrastrutture sono coinvolte nello scandalo della Petrobras e molti dubitano che riusciranno a terminarle, come per la nuova metropolitana verso Barra de Tijuca, sede degli impianti sportivi. La situazione sicurezza in città, soprattutto fuori dalle zone turistiche, è critica e non solo per la criminalità organizzata: un rapporto di Amnesty International rivela che la polizia carioca uccide ogni giorno due persone, quasi sempre giovani neri che spesso non stavano commettendo nessun delitto. Ma delle tante promesse fatte per avere i Giochi sotto il Cristo Redentore la più palesemente inattesa riguarda le acque della baia di Guanabara e della Lagoa, dove si svolgeranno le gare di vela, canoa, remo, canottaggio e nuoto in mare con 1.400 atleti impiegati in tutto sugli oltre 10.000 previsti. Acque inquinate oltre ogni limite, come ha rivelato una ricerca commissionata dall’agenzia di stampa americana Associated Press, per la presenza di resti fecali, rifiuti di ogni tipo, liquidi e olii gettati nelle decine di scarichi abusivi di un’area urbana di 12 milioni di abitanti costellata da favelas cresciute a dismisura senza una vera rete fognaria.
In pratica, gli atleti gareggeranno in mezzo ad una gigantesca fogna a cielo aperto, con altissime probabilità di contrarre nausea, vomito, diarrea e disturbi all’apparato respiratorio. Il consiglio degli esperti è di installarsi in città alcuni mesi prima per cercare di produrre un minimo di anticorpi ed evitare di crollare proprio alla vigilia delle gare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha imposto al Cio una serie di test, sindaco e governatore hanno protestato minimizzando i rischi per gli atleti e hanno promesso l’ennesimo piano di bonifica trentennale; una beffa considerando che negli ultimi 20 anni sono stati spesi più di tre miliardi di dollari senza che sia stato fatto praticamente nulla. Ai brasiliani ormai è chiaro che il conto fra la crescita che non c’è più e gli sprechi dei grandi eventi, con corruzione, stadi abbandonati e opere non concluse, sarà assai salato e ricadrà proprio sulle tasche dei contribuenti. Quando si spegnerà la fiaccola olimpica saranno in molti a chiedersi se ne è davvero valsa la pena.