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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

L’IRAN NON VUOLE NE’ LA GUERRA NE’ LA PACE

L’ultimo libro dell’ayatollah Khamenei («Palestina») non sarà di certo un best-seller ma, ancora prima di essere in distribuzione in una versione integrale in lingua inglese, ha subito dato il via a una serie di allarmate considerazioni. A poca distanza dallo storico accordo sul nucleare, Khamenei sembra riproporre il profilo di un regime tutt’altro che disponibile al dialogo e invece radicalmente intransigente nel riaffermare una propria invariata identità antiamericana e antisionista.
Con uno scenario di indebolimento di Israele sotto la pressione di Hezbollah e di Hamas al punto da indurre la sua popolazione a lasciare il Paese. Si potrebbe dire, un disegno che è di pulizia etnica invece di genocidio, ma che rimane inaccettabile e criminale.
Una certa cautela nel dare per buona l’anticipazione ci viene suggerita dalla sua fonte: Amir Taheri, un emigrato iraniano con un curriculum giornalistico non troppo attendibile fatto di ripetuti scoop spesso rivelatisi infondati.
Eppure i contenuti del presunto libro non sono affatto incredibili. Essi confermerebbero anzi le valutazioni di molti analisti della politica iraniana sulla fase che si è aperta con l’accordo nucleare di Vienna.
Non si tratta, come qualcuno cercherà certamente di dedurre soprattutto a Washington, di una marcia indietro del regime sull’accordo stesso, ma se mai di una conferma che – come del resto non ha mancato di sottolineare il presidente Obama – l’intesa sul nucleare non comporta il superamento delle rivalità geopolitiche e ancor meno un abbandono da parte del regime iraniano dei suoi tratti identitari e delle sue ambizioni.
Come ha scritto qualche giorno fa il presidente dell’American Iranian Council, un’organizzazione di cittadini americani di origine iraniana, la linea invariabilmente e coerentemente sostenuta da Khamenei nei suoi rapporti con Washington è «Niente guerra, niente pace». Convinto che l’inasprirsi, soprattutto con le sanzioni, del rapporto con gli Stati Uniti avesse fatto troppo pendere l’ago della bilancia verso l’ipotesi di un conflitto – sicuramente disastroso per il Paese e per il regime – Khamenei ha dato il proprio sostegno al presidente Rohani e al ministro degli Esteri Zarif, permettendo così che, con l’accettazione di un sostanziale compromesso, si potesse raggiungere l’accordo. Ma il Leader Supremo ha altrettanto paura della pace quanto ne ha della guerra, e allora in questa fase - resa delicata dagli entusiasmi dei cittadini iraniani, che tornano a sperare in un Paese più libero – si capisce che voglia cercare non solo di smorzare le speranze, ma di rendere impossibile, alzando i toni della retorica e dell’ideologia, ulteriori passi avanti in un cammino che, nella sua ottica di conservazione del regime, potrebbe portare troppo avanti e risultare incontrollabile.
Negli incubi di Khamenei c’era senz’altro la fine di Saddam, ma oggi probabilmente prevale la consapevolezza delle conseguenze del ruolo di Gorbaciov, cioè della fine di un regime in parallelo con un processo di negoziato e distensione.
Il regime iraniano, in altri termini, non ritiene di potersi permettere né la guerra né la pace.
Ma l’errore dei regimi, di tutti i regimi, è quello di ritenere di poter controllare con ideologia e repressione l’andamento di grandi fenomeni sia a livello internazionale che all’interno delle singole società.
Khameni può ammonire, scrivere, intimidire. Ma il popolo iraniano, che con l’accordo sul nucleare comincia a intravedere la possibilità di ottenere senza guerra e senza rivoluzioni un miglioramento delle proprie condizioni sia in termini di benessere che di libertà, non verrà facilmente distolto dalle proprie aspirazioni.
Sul piano internazionale, poi, in Iran si rafforza il consenso sul fatto che le esigenze di sicurezza del Paese non richiedono certamente una retorica truculenta stile Ahmadinejad e un avventurismo stile «molti nemici/molto onore», ma la disponibilità a raggiungere con americani ed europei su altri temi (per primo la Siria) compromessi come quelli che hanno permesso l’accordo nucleare.