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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

CRESCONO I DUBBI SULL’ATTENDIBILITA’ DEL PIL CINESE

Nel primo trimestre del 2015 il Pil cinese è cresciuto, secondo le statistiche nazionali, del 7% annuo. Tondo tondo. Nel secondo trimestre l’espansione è stata ancora del 7%. Il Governo della Repubblica popolare, che ha posto proprio al 7% l’obiettivo annuo di crescita, sembra insomma non sbagliare un colpo, come se avesse in mano il telecomando dell’economia. Ma sui mercati questa precisione millimetrica, quasi svizzera, desta ogni giorno sempre più sospetti: e se i dati sul Pil fossero un po’ «gonfiati»? Se la crescita economica fosse inferiore a quanto annunciato ogni trimestre? Questa domanda se la pongono in tanti. Per un motivo ben preciso: altri dati economici (come il consumo di energia elettrica) sembrano suggerire una crescita effettiva inferiore rispetto a quella riportata dalle statistiche ufficiali.
In questi giorni il dubbio è tornato d’attualità dopo che Markit (provider globale di dati economici) ha comunicato che l’indice Pmi sul settore manifatturiero cinese è sceso al livello minimo degli ultimi due anni a quota 47,8. Quando questo indicatore scende sotto 50 mostra una contrazione. E già a giugno era a 49,2. È vero che l’ultimo dato sul Pil fotografa il periodo aprile-giugno, mentre questi indici guardano i mesi successivi, ma il dubbio sull’attendibilità dei dati sulla crescita si fa sempre più forte. Mesi fa era stata Citigroup a scrivere che «la crescita è probabilmente sovrastimata». Anche il Roubini Global Economics ha espresso un parere analogo. Sui mercati se ne parla da anni. Già nel 2013 la Fed di San Francisco elaborò uno studio per capire se i dati sul Pil cinese fossero attendibili, dando alla fine una risposta affermativa. Ma i dubbi, ora, sono tornati. E quella sfilata di 7% non fa nulla per diradarli.
Meno energia
Il primo indicatore che lascia perplessi riguarda il consumo di energia elettrica. La Repubblica Popolare è infatti un paese manifatturiero, dunque un grande consumatore di elettricità. Storicamente la crescita del Pil ha sempre avuto un legame quasi perfetto con l’aumento dei consumi elettrici: calcola David Fridley, del China Energy Group, che dal 2005 al 2013 mediamente per ogni punto percentuale di crescita del Pil la domanda di elettricità è aumentata dell’1,09%. Negli ultimi due anni, però, questo legame sembra essersi spezzato: nel 2014 il Pil è infatti aumentato del 7,3% mentre il consumo di elettricità di appena il 3,8% (secondo la National Energy Administration). Ma è nel primo semestre del 2015 che la correlazione sbanda del tutto: mentre l’economia è cresciuta ad un tasso annualizzato del 7%, il consumo di elettricità si è fermato al +1,2%. Stessa frenata per il carbone: nei primi 6 mesi del 2015 le importazioni cinesi sono crollate del 37,5%. È vero che l’economia cinese sta virando sempre più verso i servizi, ma questo non sembra giustificare in pieno un crollo così forte dell’utilizzo di energia.
Anche perché oltre a consumare meno, le aziende cinesi stanno registrando sempre meno ricavi. I dati di Capital IQ, relativi alle sole imprese quotate alla Borsa di Shanghai, parlano chiaro: se nel 2011 i ricavi aziendali erano aumentati del 28,4%, nel 2012 del 10,7% e nel 2013 del 12,4%, negli anni successivi si registra un tracollo. L’aumento dei fatturati nel 2014 è stato dell’1% e nel primo semestre 2015 dell’1,8%. E gli ultimi dati Pmi sul settore manifatturiero sembrano andare nella stessa direzione: l’industria cinese frena. La domanda dunque resta: perché il Pil frena molto meno?
La bolla immobiliare
Un altro settore che getta dubbi sull’attendibilità dei dati cinesi è quello immobiliare, che in Cina produce il 15% del Pil. A giugno il prezzo delle case è infatti calato del 4,9% rispetto al giugno 2014: il settore, dunque, si sta contraendo. Era già accaduto nel 2008 e nel 2009, nota Barclays in uno studio, ma «questa volta la contrazione potrebbe durare più a lungo».
Che il settore immobiliare sia in frenata si vede anche nel fatto che i consumi cinesi di acciaio calano per la prima volta da decenni. E il motivo va cercato proprio nell’edilizia, dato che il 48% del totale acciaio utilizzato in Cina serve proprio per costruire le case. Idem per il rame, altro materiale usato nell’edilizia di cui la Cina è un grande consumatrice (finisce qui il 40% del rame mondiale). Non è un caso che il prezzo anche di questa materia prima stia crollando, tanto che dai massimi di maggio ha perso il 20%. Ovvio che questi sono solo indizi, ma non fanno altro che avvalorare il sospetto: come fa il Pil a crescere del 7% se un suo settore così importante, come quello immobiliare, si sgonfia?
Gli altri indicatori
Anche perché esistono molti altri segnali economici che fanno sorgere gli stessi dubbi. Qualche settimana fa il Roubini Global Economics ha provato a ricalcolare l’andamento del Pil cinese prendendo quattro pilastri della crescita: i consumi privati, la formazione del capitale, la spesa pubblica e le esportazioni nette. Ebbene: quasi tutto cala. Secondo gli economisti dell’istituto di ricerca queste componenti giustificherebbero una crescita economica del 6,6% a giugno 2015, e non del 7% come le statistiche ufficiali sostengono. Senza contare il fatto che anche tutti i dati su cui sono elaborati questi calcoli provengono dalla Cina, per cui soffrono dello stesso dilemma sull’attendibilità.
Persino un ulteriore indicatore, scelto in passato dall’attuale premier Li Keqiang come attendibile misuratore della crescita economica, mostra segnali meno incoraggianti del Pil. Si tratta di un indice sintetico che mette insieme i consumi di elettricità, i volumi trasportati dai treni merci e il credito bancario. Ebbene: dal dicembre 2014 all’aprile 2015 questo indicatore registra una contrazione superiore al 3%. Un numero che male si sposa con quel +7% di crescita tanto perfetta quanto sospetta.