Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

VIVIAMO IN UNA SECONDA REPUBBLICA FINTO LIBERALE, FINTO LIBERISTA, FINTO LIBERTARIA. INSOMMA, UNA MISTICANZA PIENA DI FOGLIOLINE PANNELLIATE

Escludo nel modo più assoluto che il tumore di Emma c’entri qualcosa. Lei ne ha uno, io di tumori ne ho due, ma io sono qui, lavoro per il partito, lei se ne va in giro per il mondo, si fa i cazzi suoi ...» Parola di Marco, 85 anni. «Non parlo, ma mi fa male lo stesso». Parola di Emma, 68 anni. Per chi non conoscesse i retroscena, Pannella si lamenta che Bonino non vada alla sede del partito, e non lavori, tutto qua: un «padrone» vecchio stampo. È quarant’anni che assistiamo a queste sceneggiate (sul nulla) fra due geni del marketing politico. Logico che la pubblicizzino ora, è un tipico argomento da ombrellone: Crocetta, Marino, Verdini, ora pure Marco e Emma, le nostre brioche quotidiane.
Quando, negli anni ’50, Pannella si presentò sulla scena politica ne fui colpito, avevo 20 anni (lui 25), ero cresciuto con una mamma anarchica che volle studiassi dai preti e frequentassi l’oratorio. Con questo retroterra culturale non sapevo come collocare Pannella, mi limitai a subirne il fascino. Non ricordo quale episodio fece scattare le mie difese da Àpota, so che ci fu. Da allora considerai Pannella, politicamente parlando, un buffone di corte, anzi lui svolgeva il doppio ruolo, Sire e Buffone. Mai credetti che i suoi digiuni altro non fossero che forme carnevalesche di diete mascherate. Stessa cosa per gli scioperi della sete, forse limitati al whisky.
È vero, lui ha mantenuto una discreta siluette per tutta la vita, al prezzo però di rendere ridicolo uno strumento chiave della democrazia popolare, come l’istituto del referendum.
Questo non glielo perdono. Chissà perché, da sempre, mi pare un bonzo tibetano con una magnifica testa di capelli. Allora, noi ragazzi praticavamo un gioco, consisteva nel dare un colore a certi personaggi celebri, a lui assegnammo, chissà perché il giallo. Solo recentemente, leggendo un bellissimo libro dell’amica Lauretta Colonnelli («La tavola di Dio», edizioni Clichy), scoprii il perché. Cito: «Nel Medioevo il giallo, specie quello bilioso, tendente al verde, era simbolo della follia, dello zolfo infernale, della menzogna, del tradimento, della falsità. Giallo era il colore degli infedeli, degli usurai ». Giallo, colore dei politici alla Pannella, per caso ci avevamo imbroccato.
Studiato secondo le tecniche dei comportamenti organizzativi e del management, del mix linguaggio vocale-linguaggio del corpo, non c’è dubbio che lui abbia le stigmate del leader. A questo occorre aggiungere l’intuizione di puntare (allora!), non sull’economia, non sulla giustizia sociale, non sulla scuola, quindi non sulla politica, ma giocarsi tutto su argomenti che nel primo dopoguerra erano di scarso appeal, ma che sarebbero diventati premianti nel successivo boom, quelli che poi verranno chiamati «diritti civili», nella accezione pannelliana significava «solo diritti, niente doveri». Questa la sua genialata, diffusasi poi in tutto l’Occidente con il degrado etico, morale, e pure economico che ne è seguito.
Di tutt’altra pasta Emma Bonino. Lei non ha nulla del leader: è nata numero due. Ha passato la sua vita come tuttofare di Pannella (assistente, badante, chef, infermiera), in cambio ha avuto incarichi ai quali mai avrebbe potuto neppure aspirare. In questo, ha ragione il Pannella della famigerata intervista a Radio Radicale: tali incarichi sarebbero spettati a lui, e lui ha sempre proposto lei. Pensiamo che Bonino avrebbe potuto diventare persino Presidente della Repubblica: nessuna ironia, lo sono diventati pure un oscuro magistrato e un ex sindacalista della CGIL.
Su Pannella è stato, ed è, facile ironizzare, ciò non toglie che è stato un grande produttore di energia politica, di vivacità intellettuale, di fascino. A questo si aggiunga che, come molti grandi leader, è stato un uomo dal «sesso non risolto» (nulla a che fare con le preferenze sessuali, che sono private): mi riferisco a come costoro sanno gestire quella «Terra di Mezzo» che sta fra alta politica, rapporti umani, osceni compromessi, debolezze di execution.
Credo di una cosa Pannella debba essere orgoglioso: la Seconda Repubblica è diventata una misticanza con molte foglioline «pannelliane». In fondo che è l’Italia postfascismo? Una Repubblica finto liberale, finto liberista, finto libertaria (per usare la sua terminologia), gli uomini che si sono succeduti al potere hanno qualcosa riferibile a lui, di certo tutti i Presidenti della Repubblica, di certo tutti i Premier, specie gli ultimi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Persino alcune politici locali, pensiamo a Crocetta, Marino, De Luca, Emiliano, Pisapia, Fassino, sono stati «naturalmente contagiati». L’imprinting pannelliano è una dannazione: ti dà visibilità immediata e ti squalifica per sempre.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 5/8/2015