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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

SLURPE RAI

“Fuori i politici dalla Rai”, strillava Matteo Renzi un giorno sì e l’altro pure, promettendo “il modello Bbc”. Infatti, a parte Carlo Freccero – che era troppo impegnato a fare televisione e a insegnarla all’università, dunque ne fu presto scacciato perché troppo indipendente e competente – gli altri sei consiglieri Rai usciti ieri dal cilindro dei partiti travestiti da commissione di Vigilanza vengono tutti dalla politica o dal sottobosco politico. E non è certo colpa della legge Gasparri che, sì, consegna il cosiddetto servizio pubblico nelle mani del governo di turno, ma non impone certo ai partiti di nominare portaborse, addetti stampa, ex deputati o candidati trombati. Volendo, si possono sempre mandare nel Cda personaggi di alto profilo e soprattutto di provata indipendenza e competenza, come del resto prevedrebbe la legge; come ieri aveva suggerito Milena Gabanelli sul Corriere, dopo aver declinato ogni incarico, invocando candidati muniti di un curriculum di successo; come hanno fatto i 5Stelle e Sel, votando l’ex direttore di Canale5, Italia1, La Cinq, Raidue, Raisat e Rai4, uno che in qualsiasi altro paese dirigerebbe il primo canale pubblico in attesa che arrivi qualcuno più capace di lui, cioè a vita; e come aveva tentato di fare la minoranza Pd, indicando Ferruccio de Bortoli, che ha diretto due volte il principale quotidiano italiano dimostrando assoluta indipendenza sia da B. sia da Renzi, e che proprio per questo è stato scartato a priori dal Politburo fiorentin-rignanese.
Il Pd, complici il duo Ncd-Udc e gli avanzi della destra, ha preferito una spartizione che più vecchia e squalificata non si può, perpetrando il peggior Cda mai visto in Viale Mazzini (dove pure s’era visto di tutto, o almeno così si pensava). Una triste brigata di mediocri carneadi che fa rimpiangere persino la prima Rai berlusconiana della Moratti e di Billia: tutta gente che non distingue un televisore da una lavapiatti o da un forno a microonde. I curricula (con rispetto parlando) dei Magnifici Sei parlano da soli. Specialmente dei tre targati Pd, che avrebbero dovuto dare il segno della rottamazione e del cambio di passo del giovane Renzi. La biografia di Guelfo Guelfi sfiora a stento le due righe: fiorentino, pubblicitario, ex Lotta continua amico di Sofri, spin doctor elettorale di Matteo, presidente del Teatro Puccini e direttore della società di comunicazione della Provincia “Florence Multimedia”. Perbacco.
Rita Borioni sfugge proprio ai radar: laureata in storia dell’arte, pare che dia ripetizioni a Orfini; è stata pure portaborse di vari deputati e senatori Ds e Pd, oltreché “autrice e conduttrice di Red Tv”, la tv clandestina del Pd, il che è di buon auspicio per gli ascolti futuri di Mediaset e di La7. Franco Siddi è l’ex segretario della Federazione della stampa e ha scritto per varie testate sarde. B. e i suoi servi optano invece per Arturo Diaconale, direttore del samiszdat L’Opinione di cui sfuggono i lettori ma non i fondi pubblici, editorialista de il Giornale, ma soprattutto commissario e presidente del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga nonché ex candidato trombato del Pdl; ha anche “promosso la trasformazione della Stazione Vigna Clara di Roma in PalaOpinione dove ha presieduto oltre venti convegni”. Parbleu. Sempre in quota FI ecco Giancarlo Mazzuca, anche lui giornalista, che fu al Giornale e a La Voce con Montanelli per poi passare con gran coerenza alla Camera con B. e candidarsi senza successo a governatore d’Emilia Romagna; ha pure diretto Il Carlino e il Giorno. Completa il quadro il centrista Paolo Messa, nomen omen, docente nientemeno che di “Intelligence economica”, direttore del Centro Studi Americani, fondatore del mensile Formiche, ma soprattutto ex consigliere del Consorzio Nazionale Imballaggi che ne fa un magistrale esperto di tv, anche perché ha curato una campagna elettorale di Fitto e diretto l’ufficio stampa dell’Udc di Casini, senza dimenticare un libro sulla Dc con prefazione di Andreotti. Mai più senza.
Se tutto ciò ancora non vi basta, state pronti per l’imminente arrivo alla direzione generale di Antonio Campo Dall’Orto, che si distingue da Raffaella Carrà per la mancanza di talento ma non del caschetto biondo: quando Enrico Letta sembrava in auge, non mancava a un appuntamento del suo think tank “VeDrò”, salvo poi impalmare la più sicura Leopolda renziana. Lì era tutto un inneggiare alla meritocrazia, infatti lui ha grandi meriti televisivi: quando dirigeva La7, riuscì ad accumulare perdite per oltre 100 milioni di euro all’anno, poi bastò che se ne andasse perché scendessero a 67. Il che gli valse il soprannome di Antonio Buco Nell’Orto, o Er Groviera. Fece in tempo a chiudere in anticipo il programma satirico Decameron di Daniele Luttazzi perché aveva osato fare una battuta su Giuliano Ferrara e ne minacciava altre sul Papa, la qual cosa – un satirico che fa satira – lo sconvolse non poco. Per la nuova Rai, è una garanzia. L’amico Matteo ha già fatto sapere come vuole i nuovi palinsesti: “Basta talk show gridati” (i pochi che lo criticano), sotto con i “programmi in positivo” (i tanti che lo leccano), “meno ansia e più servizio pubblico”. Ottimismo obbligatorio, tutto va ben madama la marchesa. Favoritissimi per i tg Orgasmo D’Angelis (che ieri sull’Unitàsi portava avanti col titolo “Via col vento”) e Johnny Lecchino Riotta. Si raccomanda di tirare l’apposita linguetta.
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 5/8/2015