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 2015  agosto 05 Mercoledì calendario

IL VIAGGIO PER SALVARE IL SUD? È INIZIATO NEL 1902

Il Sud rincorre, sempre. Come un ritardatario con il fiatone, come Achille con la tartaruga. Corre, eppure sta fermo. Sembra un paradosso, invece è storia. È realtà. La prova è un viaggio, una storia di tanti e tanti anni fa. Era il 17 settembre del 1902. L’Italia ha più o meno gli stessi problemi di adesso. Primo, c’è la crisi. Crisi vera, di fame e straccioni, di disperazione e navi per Lammerica. Secondo, le tasse sono troppo alte e inique. Il ministro delle Finanze Leone Wollemborg prepara una riforma del fisco. Abolizione del dazio su farina, pane e pasta. I milioni persi dall’erario sarebbero stati recuperati con imposte progressive sulla successione. Questa riforma non si farà mai, colpita alle spalle dai parlamentari della sinistra democratica. Giolitti intanto lavora al partito della nazione. E soprattutto c’è la questione meridionale (senza Saviano).
Il presidente del Consiglio è un signore di settantasette anni, con i baffoni, un massone risorgimentale che nel 1849 aveva combattuto in quella Brescia leonessa contro gli austriaci. È anche quello del primo codice penale dell’Italia unita. Il codice Zanardelli, appunto.
Ora immaginate. C’è questo signore bresciano che praticamente non ha mai messo piede al Sud, al massimo un pomeriggio di sfuggita a Napoli. Tutti i giorni i suoi amici meridionali, gente come Nitti, Fortunato, Gianturco, Lacava, parlano di un Mezzogiorno abbandonato a se stesso, scalzo, sventrato. Il 75 per cento non sa né leggere e né scrivere. «Tu non sai, tu non capisci». Zanardelli allora si mette in testa la tuba, prende il treno e parte. Mica da solo. È, come scrive in un suo romanzo Giuseppe Lupo, la carovana Zanardelli che va. Si parte da Roma il 14 settembre con un treno speciale. Prima tappa Napoli. Lo accompagnano il ministro Nasi, i sottosegretari Mazziotti e Roberto Talamo, il segretario capo della presidenza del Consiglio, commendator Augusto Ciuffelli, e il segretario particolare cavalier Pellegrini. C’era anche un discreto numero di giornalisti, tra i quali: Vassallo del Secolo XIX, Sestini della Tribuna, Vasquez del Corriere della sera, Libonati della Patria, Ernesto Serao del Mattino, Pignatari del Roma, del Secolo e del Carlino. Lungo il tragitto, come è ovvio, tappa dopo tappa, Giuseppe Zanardelli riceve l’omaggio dagli onorevoli rappresentanti del locale collegio elettorale, oltre che da sindaci e varie autorità. La fanfara è d’ordinanza. Il treno passa per Ceccano, poi per Roccasecca, Caianello, Teano, Cassino, Pignataro, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Caserta. A questo punto qualcuno comincia a chiedersi: ma dove vanno? Dove finisce il Sud? Vanno a Eboli e già Zanardelli scopre l’inferno, ma la destinazione dei protocolli ministeriali è il cuore della Lucania. Zanardelli è di fatto un precursore di Rocco Papaleo in Basilicata coast to coast. La Basilicata è secondo le statistiche il Sud più Sud. È l’incarnazione geografica della questione meridionale. Quella della carovana Zanardelli è una processione da romanzo sudamericano. Ogni giorno un paese, ogni giorno una storia, e la storia diventa leggenda e le parole si ripetono di bocca in bocca. In Basilicata un primo ministro dal vivo, vestito come si vestono solo nei quadri, non lo ha mai visto nessuno. Neppure Zanardelli poteva immaginare quello che vede. È settembre ma fa un caldo cane. A Lagonegro il vecchio presidente rompe il protocollo e dice al sindaco «voglio incontrare tutti, anche la gente più umile». Passa tutto il giorno a confessare i disperati. Poi riparte: Moliterno, Corleto Perticara, Stigliano, Craco, Montalbano Jonico, Policoro, Matera, Venosa, Melfi, Rionero in Vulture, Potenza e le piccole stazioni di passaggio. A Gorgoglione incontra un vecchio che comunque ha meno anni di lui e chiede: di cosa avete bisogno? E il vecchio risponde: «Eccellenza, di tutto. Ma intanto pregate per noi». Ogni tappa un brindisi. È distrutto. Quel viaggio di 13 giorni vale una vita. Zanardelli promette riforme, infrastrutture, soldi, scuole, speranza. È sincero. Solo che poco più di un anno dopo, il giorno di Santo Stefano del 1903 il suo cuore smette di battere e le sue promesse se ne vanno con lui. Zanardelli è morto e l’Italia sta ancora aspettando la fine della questione meridionale.