Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 31 Venerdì calendario

MANCANO I VERI GIOCATORI DELL’AMORE


Il nostro incontro inizia con lei che mi chiama dalla finestra ed io che sbuco in casa sua accompagnata da una signora incontrata per caso poco prima. Qualche secondo di imbarazzo (dovuto ad un piccolo equivoco sull’ascensore) e poi cominciamo la nostra chiacchierata, comodamente sedute su un divano bianco che sembra appoggiato su una grande nuvola avvolta tutta intorno dalla luce che invade l’intero appartamento. «Bello che l’Unità sia tornata in edicola, è il giornale che abbiamo sempre letto in famiglia» mi dice Piera Degli Esposti. «Mio padre, che era un sindacalista, la leggeva tutti i giorni», aggiunge, e con il pensiero corre velocemente indietro nel tempo.
Vorrei chiederle tante cose, della sua lunga e intensa carriera di attrice soprattutto, ma il suo discorso prosegue sul filo del ricordo personale e ne approfitto per farla parlare. Il suo modo di raccontare le storie è così avvolgente che in quei pochi attimi hai come la sensazione di essere protetta da una bella coperta calda mentre leggi un buon libro davanti ad un camino. E pensare che fuori ci sono quasi 40 gradi... Ma durante la nostra conversazione quell’afa che sta asfissiando Roma sembra non riguardarci. Le chiedo di tornare con la mente alla sua infanzia. Qual è il primo ricordo? «Tende blu – mi risponde – Una casa al mare. Guardo le tende che vanno su e giù. Io sono seduta. Sì, il blu. È un colore a me familiare. Detesto ciò che è ignoto. Ecco perché non ho costruito altra famiglia all’infuori della mia. A mio modo volevo fermare il tempo. So che non si può fare, fermare il tempo intendo, ma a mio modo ho agito perché fosse sempre presente la mia vita prima. Ho avuto molti fidanzati – aggiunge – ma mariti mai».


Miss Perla dell’Adriatico
È stata innamorata però, le dico. «Sì, innamorata sì. Ero una ragazza fuori dalle regole con una madre fuori dalle regole. Facevo tenerezza, i ragazzi avevano voglia di proteggermi. Sono stata molto fortunata con gli uomini...». Ha avuto tanti corteggiatori Piera, “Miss perla dell’Adriatico”. «Sono stata una “conquistatora” – dice – e quando gli uomini vengono conquistati sono buoni. Io ero innamorata di mio padre. Dicevo che l’avrei sposato. Sono innamorata dell’amore. Il mio corpo, per esempio, è un corpo giovanotto pur non essendo io una persona che fa massaggi o altro; faccio nuoto, è vero, ma perché mi piace; il mio corpo giovanotto, dicevo, è dovuto al mio amare l’amore. Sono innamorata della vita e dei giochi. Per le donne l’amore è un gioco mentale. Io credo che noi donne siamo meno portate a fare quella ginnastica che gli uomini amano tanto. Il gioco dà spazio all’immaginazione, ma quella in cui viviamo mi sembra un’epoca modesta. Non ci sono grandi giocatori dell’amore, strateghi, corteggiatori. I ragazzi sono spesso affascinati da persone più grandi, giocherellone. Anche le mie due storie d’amore più longeve le ho avute con uomini più giovani di me. Il mio ultimo compagno, Alberto, – scomparso improvvisamente in un incidente stradale – aveva 28 anni meno di me. Amava le corse d’auto.
Siamo stati insieme per 13 anni, anche se lui diceva 14. E anche il mio compagno precedente, Massimo, aveva 18-19 anni meno di me. Sono stata agevolata dal fatto di non aver avuto figli. Ho viaggiato sempre “leggera”».

Da Robert Mitchum a Manzoni
E a proposito di amori, le dico, ho trovato molto commovente la lettura di quella lettera che lei stessa scrisse e fece recapitare a Robert Mitchum, molti anni fa. Di lui – e non solo, ma anche delle varie e tante tappe della vita di Piera – si è parlato molto qualche sera fa, ai Giardini della Filarmonica di Roma, dove l’attrice era ospite della rassegna “I solisti del Teatro”. Punzecchiata da Pino Strabioli, che con grande simpatia stava al gioco dei doppi sensi e degli equivoci da lei innescato, ha raccontato del suo amore per l’attore hollywoodiano, sbocciato ai tempi dell’adolescenza, della lettera che lei gli scrisse e dell’incontro avvenuto pochi anni prima della scomparsa di Mitchum, una storia raccolta anche da Francesco Vaccaro che ne ha fatto un prezioso documentario.
Poi c’è l’amore per la cultura, per il teatro naturalmente, per il cinema. «Ho imparato a conoscere Dante, Manzoni, Leopardi da mio padre – dice riprendendo il discorso -. Manzoni per esempio non lo amavo, poi lui mi ha accompagnato come faceva con i suoi operai. Ho avuto e ho la sua compagnia ogni volta che leggo. Se vuoi fare l’attrice, mi diceva, non puoi non interpretare La professione della signora Warren di George Bernard Shaw, che poi non mi è mai capitato di fare, come pure Pirandello. A proposito, una sera mi si avvicinò un signore brillante e mi disse: “Lei non ha mai fatto mio nonno!”. Era il nipote di Pirandello». E da sua madre, invece – un personaggio divenuto a noi quasi familiare grazie ad un film di Marco Ferreri, Storia di Piera, tratto da libro scritto da lei stessa con Dacia Maraini – cosa ha imparato? «Da mia madre ho imparato ad amare l’amore. Lei è stata molto criticata, anche dal partito comunista che l’accusò di avere una condotta scandalosa. Era considerata un problema, avendo dei progetti per mio padre. Che ricevette una lettera di trasferimento in Veneto a causa sua. Mia madre non era molto materna. Ma avere una madre come lei è stata anche la mia fortuna. Non ho mai sofferto di mancanza d’amore. Ho dovuto sopportare delle prove dure sì, ma grazie a lei sono sempre stata molto vitale. Una giornata per lei era come un’avventura. L’ha pagata, nei momenti in cui sembrava non avere il controllo».
A Bologna sua madre la chiamavano «la moraccia», una donna carismatica e affascinante ma dal carattere difficile, dal quale Piera ha sempre desiderato essere amata e con cui ha condiviso i primi amanti ma anche tanti momenti difficili, come quelli in cui da bambina l’accompagnava a fare gli elettroshock negli ospedali di Bologna. Storie che tornano anche nell’omaggio che il regista sardo Peter Marcias ha voluto farle lo scorso anno con il documentario Tutte le storie di Piera. In cui, tra l’altro, prendono la parola molti dei registi che l’hanno diretta, da Bellocchio a Tornatore, da Moretti a Lina Wertmuller. Ma il primo ad apprezzare le sue grandi capacità – prima ancora non solo dei registi cinematografici ma anche dei compagni di viaggio del teatro, da Antonio Calenda a Gigi Proietti, – fu Lucio Dalla.

«Io e Lucio a scuola insieme»
«Frequentavamo la stessa scuola elementare – ricorda – maschi e le femmine erano in classi separate e lui era compagno di banco di mio fratello. Lucio aveva un carattere affascinante ed era già un bambino prodigio, cantava, ballava, amava travestirsi, aveva dei modi da attore. Poi crescendo io sono diventata bella, lui è rimasto piccolo e bruttino. Era innamorato di me, di mia madre, della mia casa. Ricordo quando andavamo in giro sui colli bolognesi con la lambretta. E poi quando ho iniziato a recitare ha cominciato a seguirmi nelle varie città in cui mi esibivo. Quando mi vide la prima volta sul palco era così emozionato che non riusciva a stare fermo sulla sedia. Anch’io lo seguivo nei suoi concerti e quando entravo nei camerini mi faceva sempre degli scherzi che aveva architettato prima. Abbiamo anche preparato delle serate insieme e poi sono andata ad abitare da lui. Mi ha sempre dato grande felicità. Lucio non era adatto a morire. Che faccia fece quella volta... quando per strada riconobbero in me il personaggio di Clelia di Tutti pazzi per amore, e non lui... una volta tanto!». Per Dalla Piera era una Dea. Lo si capisce anche dalla lettera inedita che pubblichiamo qui a fianco, lettera letta dalla stessa attrice durante la serata romana con Strabili e spuntata chissà da quale baule.

Da Proietti a Pasolini
Ma perché fare l’attrice? Soprattutto i primi anni non sono stati facili per Piera Degli Esposti, che ha dovuto collezionare un bel po’ di no prima di arrivare al successo. Ha lavorato a Roma, al Teatro dei 101 di Calenda, con Gigi Proietti, poi a L’Aquila con Aldo Trionfo e allo Stabile di Firenze con Tino Schirinzi. È Molly dell’Ulisse di Joyce, con la regia di Ida Bassignano, a rivelarla al grande pubblico. Dopo, tanto cinema: Moretti, Grimaldi, Torrini, i Taviani, Wertmüller, Mingozzi, Bellocchio e Pasolini, che di lei disse: «“Mi piace la tua faccia perché non è da attrice”... mi disperai, invece era un complimento». E pensare che Piera il cinema non l’amava. «Ero disinteressata, mi piaceva muovere il corpo e il cinema non mi permetteva di farlo. In realtà ho sempre continuato a fare teatro, cinema e televisione, anzi proprio quando a 64 anni ho deciso che non volevo più fare teatro il cinema mi ha cercata e non mi sono più fermata. Ho fatto lavorare la mia faccia proprio quando a quell’età in generale la faccia uno la difende».

I nuovi film e l’amata tv
E veniamo agli impegni più recenti. «Gli ultimi film a cui ho partecipato sono Leoni, una commedia di Neri Marcorè; In un posto bellissimo di Giorgia Cerere con Isabella Ragonese e Alessio Boni e un film dell’esordiente Adriano Valerio, che verrà presentato a Venezia nella settimana della critica e dove interpreto un personaggio che mi piace molto», il film s’intitola Banat e racconta la storia di un giovane agronomo. E poi c’è Marco Bellocchio «che nel suo nuovissimo Sangue del mio sangue ha inserito il personaggio di una madre terribile, che compare una sola volta. Per Bellocchio faccio sempre delle donne crudeli... Infine, proprio l’altro giorno abbiamo iniziato a girare le prime scene del nuovo film di Laura Morante, Assolo, in cui faccio la parte della psicanalista». Naturalmente c’è anche la tv: dal 12 aprile, per esempio, è partita la nuova serie di Rai Uno, La grande famiglia, dove Piera Degli Esposti interpreta il ruolo di Serafina. Dunque, ancora tanto tanto lavoro. Mai nessuna rinuncia? «Di recente sono stata costretta a dire due no con grande dispiacere. In fondo sono una pigra e quando mi è stato offerto di fare la parte della protagonista in un film straniero io mi sono fermata davanti all’inglese. Non me la sono sentita. E sempre l’inglese è stato l’altro motivo di rinuncia ad un altro lavoro che mi sarebbe piaciuto fare molto. Peccato».
Intanto si è fatta sera. La luce naturale nella casa di Piera Degli Esposti comincia ad aver bisogno di quella artificiale. Lei accende le lampade ed è come se quel tempo trascorso insieme avesse reso tutto ancora più familiare, più caldo. L’ultima confessione è quasi una richiesta d’aiuto: «Vorrei tanto interpretare un commissario di polizia! Credo di essere adatta, l’età è giusta. Riccardo Milani, per esempio, mi dirigerebbe benissimo. E poi io amo la televisione, perché entra nelle case». È ora di andare, Piera, è quasi notte lì fuori.