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 2015  agosto 04 Martedì calendario

KRUGMAN E L’AUTUNNO (PRECOCE) DI PIKETTY

Una delle caratteristiche dei tempi di crisi è di trasformare economisti dal linguaggio ai più incomprensibile in rockstar. Non c’è ragione di condannare: a volte è solo il modo nel quale una società abituata a vecchie certezze si apre a nuove idee, magari per farne poi a loro volta degli inviolabili totem. Successe a John Maynard Keynes, passato da dandy provocatore negli Anni 20 a incarnazione dell’establishment negli ultimi mesi di vita. Più modestamente è capitato poi a Nouriel Roubini, transitato da economista di seconda fascia a globe-trotter invitato ovunque a portare il suo messaggio di pessimismo dal 2008 in poi. Alla fine anche Roubini è passato di moda, e il 2014 è stato l’anno di Thomas Piketty.
L’economista francese ha fatto collezione di premi e di record di vendite con il suo Capitale nel XXI Secolo, la critica delle diseguaglianze più approfondita che sia mai apparsa. La tesi, emblematica di quest’epoca, è che il rendimento del patrimonio delle minoranze più ricche cresce più in fretta dell’economia. Piketty documenta tutto sulla base di un’enorme banca dati. Quindi propone una forte tassa sui patrimoni e diventa la rockstar intellettuale del momento.
Ma questa è una fase che brucia in fretta le sue stelle. Non bastava Matt Rognlie, lo studente americano che con disarmante facilità ha smontato la tesi di Piketty, dimostrando che la crescita abnorme dei patrimoni scompare se si elimina l’effetto bolla immobiliare. Adesso anche Paul Krugman, un alleato intellettuale di Piketty, ha aggiunto del suo con la stroncatura dell’ultimo libro del collega francese: Economia della diseguaglianza. Krugman si è accorto che è solo la ristampa di uno studio di vent’anni fa. Il sospetto è che la riedizione miri solo a replicare vendite (e incassi) del Capitale: «Un disservizio ai lettori e all’autore», sentenzia il Nobel. Sempre, ovviamente, in nome della lotta alla diseguaglianza.