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 2015  agosto 02 Domenica calendario

ITALIA-IRAN, MEMORIE E OPPORTUNITÀ

Che si parli di affari, cultura o politica, gli iraniani amano sorprendere i loro interlocutori (nella foto, Mogherini e Rouhani).
Specie se sono italiani e si preparano a sbarcare a Teheran con una folta delegazione economica capeggiata dal ministro degli Esteri e da quello dello Sviluppo. Arriviamo terzi dopo l’accordo sul nucleare di Vienna, preceduti da tedeschi e francesi, ma gli iraniani per l’occasione stenderanno il tappeto rosso e hanno lucidato la foto dai riverberi color seppia di Enrico Mattei negli uffici della Nioc, la compagnia petrolifera di stato. Il presidente dell’Eni nei libri di storia iraniani è considerato un eroe da affiancare al primo ministro Mossadeq perché voleva fare concorrenza alle Sette Sorelle. Mossadeq nazionalizzò il petrolio e fu sbalzato dal potere nel ’53 da un colpo di stato anglo-americano, Mattei morì in un misterioso incidente aereo qualche anno dopo. Coincidenze della storia.
La Sace è ottimista. Dal 2006 l’Italia in Iran ha perso 17 miliardi di export ma nei prossimi quattro anni potrebbe mettere a segno guadagni per almeno tre miliardi di euro. Recuperare terreno sui cinesi (50 miliardi di dollari di interscambio con Teheran) è impossibile ma talloneremo i nostri diretti concorrenti europei, Germania e Francia. Attenzione però, questa è una corsa agli affari non all’oro e molto dipenderà dalla cancellazione delle sanzioni bancarie nel 2016.
Ma l’Iran e l’Italia non sono legati soltanto dal business, consolidato anche negli anni della guerra quando Saddam nell’80 attaccò Teheran facendo un milione di morti e le aziende italiane sostennero lo sforzo bellico della repubblica islamica. L’Italia a Teheran è considerata un ponte tra le culture di Oriente e Occidente. «Dobbiamo scrivere insieme un libro sull’Isis, costituire un alleanza di civiltà per contrastare i jihadisti e i loro insegnamenti contrari all’Islam», mi propone da Qom l’hojatoleslam Mostafa Milani, studi al Politecnico di Milano, che mi ha già ospitato nella città santa dello sciismo, il laboratorio politico e ideologico della repubblica islamica. Nonostante il record negativo in materia di condanne a morte e violazione dei diritti umani, l’Iran si pone in diretta concorrenza culturale con il fronte sunnita dei sauditi e della Turchia neo-ottomana di Erdogan: una competizione che si traduce in guerre per procura in Siria, Libano, Yemen.
Di solito gli uomini d’affari e le delegazioni si fermano a Teheran ma un viaggio di due ore a Qom, dove predicano gli strateghi di Allah che hanno approvato l’accordo di Vienna, potrebbe riservare qualche spunto interessante per capire l’Iran e il Medio Oriente.
Nella spianata si muovono come su una scacchiera i turbanti bianchi e neri dei mullah: qui c’è il mausoleo di Fatima, sorella dell’Ottavo Imam Reza sepolto a Mashad. La moschea di Fatima è la meta di migliaia di fedeli. L’interno della cupola e delle pareti è rivestito di un mosaico di tessere di specchi persiani che inondano di luce la massa dei credenti, tra scritte arabescate in bianco e oro sullo sfondo blu cobalto delle pareti. Qom è anche la città delle biblioteche. Tra le interminabili corsie di scaffali potreste essere colpiti da un manoscritto enorme posato su un leggio: contiene tutti gli arrangiamenti quadrilateri delle 28 lettere dell’alfabeto arabo, disposti in colonne. Siccome si ritiene che il nome di Dio sia un tetragramma, cioè un insieme di quatto segni (lettere o linee), tra le oltre 600mila combinazioni vi sarà anche il sommo e bellissimo Nome di Dio, occulto, ma ricco di potenza e benedizione.
È qui a Qom che viene selezionato il clero e chi succederà un giorno alla Guida Suprema, Alì Khamenei. Gli studenti sono tutti mullah, le materie consistono nelle solite discipline propedeutiche, come filosofia, teologia, giurisprudenza, storia, morale. Vi sono poi discipline come la memorizzazione: gli studenti mandano a memoria migliaia di versetti coranici, hadith e poesie. La memoria, che gli iraniani esercitano in continuazione fin dalle elementari, permette loro di imparare facilmente almeno due lingue straniere: l’inglese e l’arabo. Il persiano, tra l’altro, è molto diverso dall’arabo: si scrive con gli stessi caratteri ma una è lingua indoeuropea, l’altra semitica. Molti di loro citano i Vangeli o le lettere di San Paolo con tanto di numeri dei capitoli e dei versetti. A ogni esame superato vengono attribuiti dei crediti: il corso di laurea comprende 140 crediti. Ma il vero studio viene dopo: tutti fanno ricerche su antichi manoscritti, adoperando modernissimi computer e riversando zelo e competenza. Mentre un giorno passeggiavo nei cortili di una facoltà di teologia notavo che alcuni studenti facevano degli strani saltelli: non volevano calpestare l’ombra del maestro, per rispetto. Tra religiosità e attività intellettuale non c’è una linea di demarcazione netta, un antico detto islamico recita: «A colui che percorre una via cercandovi la scienza, Allah spianerà la strada del Paradiso».
Ma fare il mullah nell’Iran di oggi è diventata una professione. Un mestiere, dove da pastore di anime si può aspirare a ricoprire una carica da amministratore delegato. Fare affari in Iran vuol dire entrare nel business di ayatollah e Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione.
Il clero ha un ruolo importante, a volte preponderante, nell’amministrazione delle Bonyad, le Fondazioni che elargiscono commesse agli stranieri, appalti, posti di lavoro, borse di studio, alloggi popolari, assistenza sanitaria, i sussidi ai poveri. Le Bonyad, come la Fondazione degli Oppressi, una holding con 400 società e migliaia di dipendenti, rispondono soltanto alla Guida Suprema e sono in gran parte esentasse. Le Fondazioni sono legate a doppio filo con i mullah: la Astan Qods, che sovrintende al santuario dell’Imam Reza a Mashad, controlla l’economia di un’intera regione, la Bonyad Shadid, la Fondazione dei Martiri, ha 150 imprese distribuite in ogni settore. Questo spiega non solo la potenza economica del clero sciita, secondo uno schema che poi è stato esportato anche in Libano con gli Hezbollah, ma anche le difficoltà a riformare un’economia dai bilanci opachi, avviluppata da una “piovra” clientelare. È stato rafforzando il controllo sulle Fondazioni che la Guida Suprema Khamenei ha esteso la sua influenza sul Paese e sui mullah, sempre più legati alle entrate delle Bonyad e ai sussidi statali: nella Repubblica islamica un grande ayatollah è un religioso che gestisce importanti risorse economiche e finanziarie, non solo spirituali, un manager di anime e di capitali. E con i mullah in questi anni ha prosperato anche la “Pasdaran Economy”, che secondo molti hanno fatto resistenza a un accordo che togliendo le sanzioni li privava di un business quasi monopolistico sulle importazioni.
L’Iran si presenta agli stranieri con molti centri di potere che danno l’impressione di un esteso pluralismo e con uno “stato dentro lo Stato”. Il presidente Hassan Rohani e l’ala più pragmatica e moderata avranno successo se saranno capaci di tradurre l’intesa di Vienna in crescita e posti di lavoro. E anche l’Italia può aiutarli, con gli affari e la cultura.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 2/8/2015