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 2015  agosto 02 Domenica calendario

L’ATTUAZIONE ACCELERA AL 61% MA CALA IL NUMERO DELLE RIFORME

[3 articoli] –
Roma
Il governo accelera sull’attuazione delle grandi riforme economiche. Alla vigilia della pausa estiva il pacchetto di 31 provvedimenti varati dagli ultimi tre esecutivi a partire da quello Monti a fine 2011 per rilanciare la crescita e portare l’Italia fuori dalla crisi fa registrare un tasso di attuazione che sfiora il 61% contro il 46,9 di inizio anno. Un risultato che se da una parte segna sì un progressivo miglioramento rispetto al passato dall’altra beneficia del fatto che negli ultimi mesi le grandi riforme che hanno già tagliato il traguardo in Parlamento hanno rallentato il passo. E con loro lo stock di decreti necessari per renderle efficaci che inevitabilmente negli anni passati hanno invece fatto accumulare ritardi sulle scadenze fissate.
Da gennaio a oggi - al netto delle leggi delega la cui attuazione segue un iter specifico (si veda l’articolo a pagina 3) - tra i provvedimenti entrati in vigore si contano il Dl sull’Imu agricola, quello sulle fondazioni bancarie e la legge sulla Buona scuola che complessivamente hanno portato in dote 34atti di secondo livello. C’è da dire che quest’ultimo provvedimento, benché entrato in vigore da pochi giorni, ha già al suo attivo due decreti. Il bilancio in chiaro-scuro dell’attuazione sarà destinato presto ad appesantirsi visto che questa settimana riceveranno il via libera definitivo il decreto legge Enti Locali (con oltre 37 decreti dm attuativi) e quello sulla riforma del fallimento (se ne contano almeno 12). Poi a settembre sarà la volta della legge annuale sulla concorrenza che nel testo licenziato dal governo partiva con oltre 10 decreti attuativi al suo attivo, ma il numero è destinato ad aumentare, come da prassi, una volta completato l’iter parlamentare.
Nonostante i passi avanti e il giro di boa ormai pienamente superato, al governo Renzi restano ancora molte misure da tradurre in realtà: su oltre mille provvedimenti, a oggi ne sono stati adottati 652 e ne restano ancora 419, di cui 168 già scaduti.
Se si prendono in considerazione le riforme economiche varate dal Governo dei professori tra la fine del 2011 e l’inizio del 2013, e dal suo successore Letta ci si rende conto che su quasi 700 provvedimenti ne restano in stand by ancora 176, con un tasso di attuazione di oltre il 74%.
Va anche detto che tutte le riforme sono in parte autoapplicative, ma è altrettanto vero che spesso i decreti attuativi riguardano misure fondamentali per cittadini e imprese. E il nodo per molti decreti ancora in stand by è il concerto tra ministeri, che finora ha rappresentato il vero collo di bottiglia dell’attuazione. Tanto che l’esecutivo è corso ai ripari introducendo un anno fa una norma tagliola che prevede il silenzio-assenso nel caso di mancata risposta dell’amministrazione concertante. Rimedio che dovrebbe finalmente diventare presto realtà visto che la disposizione è stata inserita nella delega Pa (Ddl Madia) che sarà approvata martedì.
I numeri cambiano un po’ se si guarda il complesso di tutti i provvedimenti entrati in vigore negli ultimi tre anni e mezzo, e non solo le 31 grandi manovre per sostenere la crescita. In questo senso il tasso di attuazione delle riforme del governo Renzi, dopo 17 mesi dall’insediamento, è salito al 66,2%, come annunciato venerdì in Cdm dalla ministra per le riforme Maria Elena Boschi: 828 i provvedimenti attuativi, compresi quelli riferiti ai due esecutivi precedenti attuati mentre lo stock Monti-Letta si è ridotto a 272. Un conteggio che tiene conto anche delle leggi delega che però per loro natura acquistano efficacia solo con l’adozione di precisi decreti legislativi (si veda l’articolo a pagina 3).
Antonello Cherchi, Andrea Marini e Marta Paris, Il Sole 24 Ore 2/8/2015

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MANCANO ANCORA 6 DECRETI PER IL FISCO, IN ARRIVO I 4 PER COMPLETARE IL JOBS ACT –
Roma
Le grandi riforme del Governo Renzi per cittadini e imprese viaggiano tutte con i treni speciali delle leggi delega. Riforme per le quali però la piena operatività non sempre scatta con i soli decreti delegati. I principi riformatori del job act o quelli del restyling del sistema tributario, per limitarsi alle due deleghe entrate in vigore e parzialmente attuate, richiedono ad esempio ulteriori regolamenti o provvedimenti ministeriali. Una sorta di effetto “matrioska” da cui non potrà sottrarsi neanche la riforma della Pa che dovrebbe ottenere il via libera definitivo del Senato nelle prossime 48 ore e che già conta in partenza ben 12 deleghe da attuare con circa 20 Dlgs da approvare, e spedire in Parlamento per i relativi pareri, entro un anno dall’entrata in vigore della legge.
Bollinare come fatta una riforma non è dunque nella sostanza un’operazione immediata. Sul fronte fiscale, ad esempio, dopo 18 mesi (con tanto di proroga di sei mesi concessa al Governo per poter emanare un ulteriore pacchetto di decreti legislativi) l’attuazione si è stabilizzata su circa il 70% dei principi previsti e attuati con tre decreti entrati in vigore (730 precompilato, tabacchi e commissioni censuarie), due spediti dal Governo venerdì scorso alla firma del Capo dello Stato e alla successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (certezza del diritto e fatturazione elettronica) e altri sei Dlgs in rampa di lancio in attesa del parere definitivo delle Camere e il nuovo via libera del Governo.
Se così ci limitiamo a sfogliare i 5 decreti fiscali approvati definitivamente ci si accorge che l’effetto “delega della delega” non ne risparmia nessuno tanto che complessivamente prevedono ulteriori 42 provvedimenti attuativi. Il più impegnativo è quello sulle semplificazioni con il 730 precompilato che prevede ben 17 decreti attuativi. Di questi, va detto, 10 hanno già visto la luce e sono pienamente operativi. A seguire il decreto tabacchi e quello sulle commissioni censuarie entrambi con una coda di 7 Dm. Nel primo caso, su bionde e sigarette elettroniche, Mef e amministrazione finanziaria hanno spinto sull’acceleratore emanando sei dei sette decreti previsti. Non così bene invece sulle commissioni censuarie dove, complice anche la mancata attuazione della riforma sul catasto, è stato licenziato soltanto uno dei sette provvedimenti attesi. I due decreti approvati venerdì scorso approderanno presto sulla gazzetta ufficiale con un carico complessivo di almeno altri 8 Dm da emanare: due dovranno per dare attuazione alla cooperative compliance e altri sei per disciplinare nei dettagli la fatturazione elettronica.
L’attuazione del jobs act è giunta all’ultimo giro di boa. Dopo l’intesa con la conferenza delle Regioni, per gli ultimi quattro Dlgs si attende il parere delle commissioni Lavoro di Camera e Senato tra martedì e mercoledì. A settembre il possibile via libera definitivo sulle politiche attive (che istituisce un’Agenzia nazionale), sul riordino degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro, sulle semplificazioni con la revisione della disciplina sui controlli a distanza e sulla unificazione dei controlli ispettivi. Si completa così un percorso iniziato il 7 marzo quando vide la luce il primo Dlgs, quello che istituiva il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, seguito dall’istituzione del Naspi, successivamente sono arrivati i decreti sul riordino dei contratti con la revisione della disciplina delle mansioni e il dlgs sulla conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro. Ma anche per il jobs act la piena operatività non sfugge all’effetto “matrioska” con 11 decreti da emanare. Ancora in lista d’attesa ci sono poi le 9 deleghe previste dalla legge sulla Buona Scuola, in aggiunta ai 24 decreti attuativi.
Marco Mobili, Giorgio Pogliotti, Il Sole 24 Ore 2/8/2015

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AL TRAGUARDO PA, FALLIMENTI, ENTI LOCALI MA SI PREPARA L’«INGORGO» D’AUTUNNO –
L’ultima stella che il premier si appunterà al petto giusto prima delle vacanze sarà la legge delega di riforma della burocrazia italiana che anche Bruxelles ci chiede come una manna. Una “grande grande” riforma però tutta da applicare, nella giungla di lobby ministeriali da disboscare. E prima ancora, martedì ci sarà il voto di fiducia sul decreto enti locali con quei tagli da 2,35 mld alla sanità che hanno acceso un incendio politico. E sempre nei primi giorni della settimana, chissà se ancora con la fiducia, ecco il voto finale al decreto sulle nuove regole per i fallimenti. Un tris di leggi, le ultime, prima di tuffarsi nel mare della vacanze o scalare le montagne, e abbandonare per un mese i marosi parlamentari e politici.
Ma per contrappeso mancheranno all’appello altre cinque “grandi grandi” leggi: riforma costituzionale con l’addio al Senato, concorrenza, processo civile e penale, Rai, e un bel mucchietto di provvedimenti collegati alla manovra 2005. Per non dire di materie ingombranti come le unioni civili. Aspettando un settembre e un autunno che riserveranno altri fuochi. O meglio, riapriranno tutte le ferite mai fin chiuse chiuse. Con l’aggiunta della legge di stabilità 2016, quando con la madre di tutte le leggi il Governo giocherà in Parlamento decisive carte della sua avventura che ha l’obiettivo ufficialmente dichiarato di fare tappa al 2018. Scadenza naturale della Legislatura (è la n. 17), cosa rara, quasi unica, per il Parlamento italiano.
A 527 giorni dalla scalata di Palazzo Chigi, Matteo Renzi tira le somme di metà legislatura. Quelle, in particolare, della tenuta del suo programma e della su agenda di (ex?) rottamatore. Conti che in parte tornano e in parte restano in sospeso. Alleanze politiche che vanno e che vengono, con dubbi che crescono sul perimetro della maggioranza al Senato. Senza dire del suo Pd in fibrillazione. Perché a poco più di 17 mesi dalla consegna della campanellina del Consiglio dei ministri da Enrico Letta, il giovane premier ed ex sindaco di Firenze, può vantare numeri e dati a doppia lettura. Il Jobs act e la “buona scuola”, pur con tutte le cautele del caso, vogliono essere il marchio di fabbrica di “casa Renzi”. La rottamazione (più o meno) della burocrazia d’Italia, dovrebbe essere nelle intenzioni un’appendice, e anche di più, della strada indicata da Renzi. Di mezzo, è chiaro, c’è molto altro, anche contestato dagli scettici. Come i famosi “80 euro” pre-elettorali, la legge di stabilità 2015 con gli sgravi per le imprese. Ma anche i tagli a ripetizione, di cui quelli alle regioni sono stati l’antefatto della successiva e inevitabile sforbiciata alla sanità di queste ore.
Ma prima ancora che in autunno si apra il capitolo del 2016 e della prossima manovra, Renzi e la sua squadra devono resettare l’agenda e il cronoprogramma del Governo. Che per tanti aspetti è in bilico. Le incompiute sono tante e tante le scadenze da rispettare. Sebbene Renzi sia il recordman di fiducie: ben 33, finora, quasi 2 al mese. E vanti, si fa per dire, anche il primato dei decreti legge portati all’incasso in Parlamento: 26 convertiti sotto la sua gestione in Parlamento. Col risultato che nel corso della Legislatura i Governi (Monti, Letta, Renzi) hanno fatto letteralmente man bassa, e Renzi più di chi lo ha preceduto: ben 52 leggi su 152 sono di conversione dei decreti. Il 34%. Mentre le leggi di iniziativa degli inquilini di Palazzo Chigi sono state pari all’83% del totale. Senza contare le prossime tre della prossima settimana. Come dire che il Parlamento ha voce in capitolo sempre minore.
Eppure le sfide per Renzi partono proprio da qui. Dal Parlamento e da condizioni politiche non esattamente in discesa per la sua agenda. Perché il sospeso, le “leggi da fare” sono la grande incognita che pesa sul cammino del premier che vorrebbe andare veloce. E così al Senato da settembre dovrà essere riaperta la pratica della riforma costituzionale, con la prospettiva di diluire nel tempo il referendum popolare per il ritardo anche del quarto voto della Camera. Mentre alla Camera la legge sulla concorrenza anti lobby ancora vivacchia e la prospettiva che arrivi al traguardo solo l’anno prossimo non è frutto di fantasia. Nel pantano restano la riforma del processo penale con le incognite sulle intercettazioni telefoniche, appena approdata al Senato. E così quella, alla Camera, del processo civile. Mentre la riforma della Rai deve prepararsi da settembre alla forche caudine di Montecitorio. E via via, tra i Dddl collegati alla manovra 2015, restano in sospeso, per dire, leggi (da fare) non esattamente banali come green economy o competitività in agricoltura. In un calendario parlamentare d’autunno che si annuncia particolarmente affollato.
La legge di stabilità 2016, la madre di tutte le leggi, appunto, batterà legge. Quando lei passa, nelle Camere tutto o quasi si ferma. E col taglio delle tasse sulla casa, con le contropartite finanziarie che saranno necessarie, in Parlamento non sarà una passeggiata. Anche perché di mezzo ci sarà una spending review della spesa pubblica con effetti non per tutti piacevoli, tra pensioni e sanità nel mirino. Per non dire del confronto sempre settembrino e autunnale con Bruxelles per conquistare il massimo di flessibilità possibile.
Ma ora si va al mare o in montagna. A settembre si torna sulla terra.
Roberto Turno, Il Sole 24 Ore 2/8/2015