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 2015  agosto 02 Domenica calendario

SORDI, LA PAURA DIETRO LA RISATA

Consiglio a tutti i lettori italiani il libro di Tatti Sanguineti Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo
Sonego e il suo cinema, pubblicato da Adelphi. È un libro divertentissimo, che ricostruisce il cinema italiano del dopoguerra, concentrato attorno alle due grandi figure di Alberto Sordi e di Rodolfo Sonego. Esso non ha avuto un vistoso apparato produttivo e distributivo: ma è stato un mestiere improvvisato di giorno per giorno, frutto della collaborazione di minimi, spesso cialtroneschi produttori e di geniali sceneggiatori come Rodolfo Sonego.
Tutto avveniva sotto la protezione di Giulio Andreotti, divorato da una furibonda passione per il cinema, che «ammazzò cinque film e ne fece nascere cinquemila». L’incontro con Alberto Sordi cambiò totalmente la vita di Rodolfo Sonego. Sordi disse di lui: «Era un uomo minuto che trascinava i piedi, si muoveva con lentezza, spandeva intorno distensione. Ci siamo intesi subito, perché avevamo la stessa visione deformante e spietata dell’umanità». Sonego scriveva sceneggiature, Sordi recitava, obbedendo, per quanto possibile, a quelle sceneggiature; e insieme, nell’arco di quarantasei anni, dal 1954 al 2000, crearono cinquantatré film.
Alberto Sordi aveva il colorito olivastro di un romano antico: gli occhi rivelavano un fondo azzurro che il suo vasto pubblico non scorse quasi mai. Non era un uomo colto: ma aveva uno sguardo infallibile; era un animale selvaggio, un animale del bosco che ci vedeva anche di notte. Non conosceva l’entusiasmo, né la distensione dei sentimenti, né la verità del cuore. Non aveva pietà per gli altri, dal momento che gli altri ne avevano avuta, un tempo, così poca per lui. Odiava gli scrocconi, o i falsi parenti, o i falsi commilitoni, che ogni giorno gli si presentavano a casa e sul set tra untuosi sorrisi.
Come i grandi attori, nutriva tutti i sentimenti e tutte le sensazioni. Se fosse nato in un altro tempo, avrebbe potuto recitare, con la stessa verità che nel Moralista e nel Vigile, i personaggi di Shakespeare. Conosceva un sentimento più di ogni altro: la paura, l’infinito mare della paura; e in questo sentimento scorse quello che nessuno seppe scorgere. Non compiva nessuna analisi psicologica sui personaggi: bloccava ognuno di loro dal di fuori, nella mossa nervosa di un piede, nel tic di un labbro, nello stiramento del collo. Se ignorava i cuori, conosceva la moltitudine infinita dei visi e dei gesti, che gli rivelavano quello che i cuori gli avevano nascosto. Qualche volta aveva l’ambizione del dio-demiurgo; e nutriva una simpatia naturale per la follia che attraversa e infuria in tutti gli esseri umani. Pensava di essere il folle sovrano di un regno di folli.
Se Sordi non sapeva scrivere, nemmeno Rodolfo Sonego conosceva l’arte della scrittura: parlava, parlava, parlava; le sue sceneggiature erano la registrazione di questi fluviali discorsi veneti, che accompagnava con una mimica ora comica ora drammatica. Lo chiamavano «dieci in orale», perché nessuno sceneggiatore sapeva raccontare un film come lui. Salvo che in qualche rarissima occasione, i suoi testi portavano esclusivamente la firma di So-
nego. Li creava da solo, e sceglieva dei registi mediocri che non potessero oscurare la sua opera. Questa solitudine era la sua difesa. Ma diceva che il mestiere dello sceneggiatore era terribile: un lavoro infame come quello del minatore; il cinema gli imponeva tempi disumani — un film in un mese.
Il cinema italiano — o almeno le sue sceneggiature — non era nato dalla letteratura italiana del tempo: ma era figlio dei disastri e delle rovine della guerra e del dopoguerra. Da quelle rovine erano usciti degli uomini che avevano paura: una tremenda paura; dei disgraziati, degli sventurati, dei mediocri piccolo-borghesi, che a tratti facevano considerazioni grandiose e shakespeariane. Il tema fondamentale di Sonego era quello dell’inadeguatezza.
Andrea Zanzotto pensava che Rodolfo Sonego avesse sciupato il suo immenso talento. Aveva torto. Le sceneggiature di Sonego sono meravigliose: nascono da un’ispirazione che non si arresta mai; e generano un mondo unico, che continua a colpirci per la sua natura insondabile e la sua complessità vertiginosa.