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 2015  agosto 01 Sabato calendario

NASTASSJA NEL MITO

Per una volta, sul manifesto di un festival di cinema non ci sono illustri defunti che hanno reso più grande lo schermo, ma un’attrice del nostro tempo che negli Anni 80 è stata un’icona; una donna fragile, molto sensibile, che a 54 anni cerca di proteggersi da demoni e ferite del passato delle quali non vuole parlare. Il volto della Mostra di Venezia è quello di Nastassja Kinski. «Sono sorpresa, onorata e fiera. Ed è vero, sono viva! Sto pensando a Marilyn Monroe, Marcello Mastroianni, Ingrid Bergman che hanno tappezzato il palazzo del festival e le strade di Cannes...Tutte persone a noi care che non ci sono più, forse la tendenza dei festival è di far leva sulla nostalgia. Questo cambio di disegno forse è un imperativo sul valore della vita, sul fatto che essere vivi è la cosa più importante, perché così possiamo creare e avere sentimenti. Solo vivendo possiamo amare».
Quando ha cominciato a lavorare nel cinema?
«Presto, a 12 anni. Ero piccola. E’ tanto tempo che faccio film, e sono qui, viva certo. A Venezia la mia amica Tiziana Rocca mi darà il premio Kinéo. Spero che, apparendo nell’immagine simbolica di una rassegna così importante, questo non voglia dire che mi succederà qualcosa! L’ha ideato Simone Massi. Sullo sfondo c’è Jan Pierre Léaud, l’attore feticcio di Truffaut».
L’elaborazione del suo volto...
«E’ tratta da Così vicino così lontano di Wim Wenders, è un disegno che mi fa sentire in sintonia con i sentimenti di mille altri artisti, mi sembra che questo manifesto catturi un’idea del nostro mondo attuale. E’ un’immagine piena di mistero e di sogni, come lo sono Venezia e il cinema».
Lei aveva gli occhi di una adolescente, come ricorda Wim Wenders?
«Era calmo, parlava poco, io avevo 12 anni ma sapevo ascoltare ogni sua singola parola. Si doveva immaginare quello che vedeva e che aveva dentro di sé. Per me era più un indovinare d’istinto ciò che aveva in mente, la sua idea dello spazio, le persone, il suo legame professionale con Peter Handke, la musica... Sono grata a tutti gli autori che ho avuto la fortuna di incontrare».
Come Roman Polanski e il suo «Tess»?
«Roman è la passione, ha passione per ogni cosa e per ogni persona che lavora con lui. Non si tiene nulla dentro, ti dice quello che pensa, e non ti fa mai sentire che vali meno di lui, però è esigente. Riesce a tirarti fuori il meglio. Ha voluto che prima delle riprese vedessi Romeo e Giulietta di Zeffirelli, seguendo ogni espressione di Olivia Hussey. Quello stesso anno, a Cannes, insieme con Roman su una barca ho conosciuto Francis Ford Coppola. C’era tutta la sua famiglia».
Come fu l’incontro con lui?
«Parlavamo e come sottofondo musicale c’era Willy Nelson. Io avevo 18 anni, ero emozionata. Aveva da poco finito Apocalypse Now , mi volle per Un sogno lungo un giorno , una storia d’amore semplice, come un sogno appunto, un film quasi teatrale. Coppola è uno che si prende i suoi rischi. Io dovevo essere il personaggio di un circo. Non sapeva che da adolescente avevo già lavorato due volte nel circo».
Lei non vuole parlare di suo padre, Klaus Kinski. A Taormina Antonello Venditti ignorando la natura dei rapporti, le disse che lo aveva conosciuto. Lei si portò l’indice sulle labbra in segno di silenzio.
«Quella è stata una cosa privata. Mi ritengo fortunata, il cinema mi ha salvato la vita, da adolescente poteva andare in un’altra direzione, nel buio, nell’incertezza di poter sopravvivere. Ma sono una persona solare. I miei film hanno vinto premi, mi hanno fatto capire che siamo tutti diversi e unici, senza il cinema non avrei avuto queste esperienze. E sarei stata un’altra persona. Ogni attore con cui ho lavorato mi ha dato qualcosa, Al Pacino, Jodie Foster, Warren Beatty che mi ha insegnato molto sull’importanza del ritmo...Roman Polanski è anche attore e a volte recita le scene al tuo fianco. E così Nikita Michalkov, che mi ha fatto capire la libertà nella recitazione, o Konchalovsky. E’ stato un grande viaggio».