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 2015  agosto 01 Sabato calendario

METEO, SESSO, MALATTIE CHE COSA CERCHIAMO

Alle 5:24 del mattino, già stremata dal caldo, hai interrogato il meteo, sperando in un sollievo. Alle 8:20 hai cercato un riflessologo plantare; alle 7:56 di sera, guardando un doc sui cuccioli di bradipo tridattilo, ti sei commossa e hai sfogliato i siti di adozioni. Alle 4:12 ti era già passata, e cercavi in rete letteratura erotica. Come so tutte queste cose? Non sono una medium, né ho installato una videosorveglianza a casa tua. Le so perché me l’ha detto Google. Che in passato aveva già diffuso dati aggregati, parziali, sulle ricerche in Internet, ma a giugno ha presentato un algoritmo nuovo e potentissimo. In grado di fornire i dati in tempo reale dei 100 miliardi e rotti di ricerche effettuati su Google ogni mese. È il Google Trends «minuto per minuto», disponibile in 28 Paesi, ma se ne aggiungeranno presto altri. Consultabile per qualsiasi evento o tema, dal photobombing del gabbiano all’ultima sparata sessista di Sepp Blatter. Il più vasto lavoro di big data mai realizzato dalla società di Mountain View, che già ad aprile aveva reso noto come la maggior parte delle ricerche avviene ormai via cellulare. Un esperimento ribattezzato non a caso «L’età dell’intuizione», per quanto questi dati rivelano di noi, e tanti saluti alla nostra supposta unicità.
Perché mai come oggi siamo quello che googliamo. Il motore di ricerca sa di noi l’inconfessabile, ciò che neanche l’estetista. Così un economista ha analizzato per il New York Times quello che i newyorkesi googlano nei giorni feriali, e uno studio analogo sarà condotto in Gran Bretagna. Le pagine della nostra vita digitale. Paura, eh?
Si scopre così che la parola «porno», tre volte più popolare tra i maschietti, è più cercata tra mezzanotte e le due del mattino, con un’impennata dopo le otto di sera e un picco all’una. Le ore notturne sono anche quelle in cui cediamo all’ansia, cercando, appanicati, sintomi d’infarto, ictus, cancro al colon, quando magari abbiamo solo stramangiato. Mentre le ricerche sul suicidio, che toccano l’apice alle 12:36 am, precipitano alle 9 — segno che nonostante tutto iniziamo la giornata da ottimisti. Ancora: cerchiamo il gossip a mezzanotte e quattro, perle di saggezza alle 3:16, un partner alle 4:28, le notizie prima delle 5:30, i videogame alle 8:04, alle 16:52 ricette. E tra le sei e le sette di sera ci arrovelliamo sul nostro intestino: «Perché faccio la ca**a verde?».
Va da sé che siamo meno lucidi via che il giorno avanza: alle 2:44 del mattino la ricerca per «password dimenticata» è il 60% più frequente della media, mentre alle 9 ce la ricordiamo tutti. Tra le due e le quattro del mattino, poi, fioccano le domande esistenziali. «C’è vita sugli altri pianeti?», «Il libero arbitrio esiste?». Improvvisamente filosofi? No, chiosa Google, probabilmente solo allucinati: la ricerca di «Come rollare una canna» è ai massimi tra l’una e le due. E certo, Mountain View non monitora (ancora) tutte le nostre attività. Se hai già una lezione di flamenco alle 14, non googlerai «lezioni di flamenco». E se alcuni trend sono gli stessi in tutto il mondo, non mancano differenze culturali. Così, all’ora di pranzo, nei giorni feriali, in Giappone si organizzano viaggi, mentre in Belgio si fa shopping online.
Ma a parte aver capito che nessuno dorme più, di tutto questo che ce ne facciamo? Se lo è chiesto, sul Financial Times, lo scrittore Douglas Coupland, dal Google Cultural Institute di Parigi. Osservando come oggi generiamo dati anche senza muoverci, solo per esistere. Siamo cellette di fogli Excel, pepite d’oro di un Klondike demografico. Perché tutto può essere convertito in dati. E mentre ieri reperirli era difficilissimo e costoso, oggi - come intuì per primo, già fra il Sette e l’Ottocento, lo scozzese William Playfair, che inventò i grafici statistici e fosse vissuto ai nostri giorni sarebbe il data manager di Facebook - nei dati affoghiamo. E’ l’età d’oro, e spaventosa, dell’intuizione artificiale. «We are data», e non puoi farci nulla, e certo non nasconderti. Ti ritirassi in un capanno sull’Himalaya, Google Maps ti troverebbe.
Così Amazon indovina in sette acquisti se sei etero o gay. Algoritmi studiano il nostro carattere per verificare la propensione a restituire un credito. Le aziende accedono a noi in modi che ieri avremmo bollato implausibili — e la maggior parte dei dati glieli forniamo di nostra volontà. Ogni giorno l’umanità posta 500 milioni di tweet, condivide 70 milioni di foto su Instagram, guarda 4 miliardi di video su Fb, carica 300 ore al minuto di nuovi contenuti su YouTube. Non solo le persone, è anche «l’Internet delle cose»: l’insieme degli oggetti dotati di sensori che «parlano» fra loro e con noi. Uno studio segnalato da Time prevede che l’universo di dati digitali toccherà i 44 trilioni di gigabyte nel 2020 — dopodiché dovremo inventare nuovi prefissi numerici. E già nel 2010, secondo l’executive chairman di Google Eric Schmidt, producevamo ogni due giorni tanti dati quanti dalla notte dei tempi al 2003. La sfida, quindi, è sfruttarli a nostra volta. Nel 2011, uno studio degli economisti americani Card & Dahl sulla criminalità minuto per minuto scoprì che la violenza domestica registrava un’impennata dopo una partita di football, quando la squadra di casa, prevista vincente, subiva una sconfitta. Da allora, quella ricerca ha salvato molte vite. Quante potrebbero salvarne, via via che lo strumento si raffina, i dati di Google sui suicidi?