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 2015  agosto 01 Sabato calendario

I DICIANNOVE NO

I toni del confronto si potevano intuire già ieri mattina. Leggendo i titoli della nuova L’Unità : una citazione morettiana d’annata, «Facciamoci del male», condita con la parola «imboscata». E leggendo le dichiarazioni dei dirigenti del Pd sui 19 franchi tiratori della minoranza, che hanno mandato giù il governo, prima che la riforma Rai passasse: dal «vigliacchi» di Luca Lotti agli «irresponsabili» di Roberto Giachetti. I 19 incriminati non indietreggiano di un millimetro. L’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini detta un comunicato che è una fucilata: «Tal Luca Lotti, insigne statista del biliardino, chiama vigliacchi i senatori del Pd che non hanno votato la delega sulla Rai, dopo averne chiesto invano l’accantonamento. Fa il suo lavoro di mazziere: la perfetta incarnazione di quel servo che ubbidisce illudendosi di comandare, come avrebbe detto uno dei padri del cattolicesimo democratico. Non c’è da stupirsi: da subito applica la lezione appresa alla mensa di Verdini».
Parlando con Corradino Mineo, a lungo volto televisivo Rai, nonché direttore di Rainews, non ci si può aspettare un impeto minore. E se Matteo Renzi avanza l’ipotesi che con «l’imboscata» sull’articolo 4 (la delega al governo sulla riforma del canone), sia stato mandato «un messaggio» da parte della minoranza, Mineo conferma: «Certo, è un preciso avvertimento politico, effetto collaterale della follia renziana. Sulle riforme costituzionali 25 senatori gli hanno detto che non votano con lui. E invece di aprire la discussione, che fa? Fa convergere i verdiniani e cambia la dichiarazione di voto sull’arresto di Azzollini. Renzi maramaldeggia e ci sfida. Ma così mette il Paese su un piano inclinato verso il burrone: o viene al confronto o non c’è più la maggioranza. E neanche il Pd». Mineo, che ha votato no alla riforma Rai nel suo complesso, la giudica «sbagliata, una presa in giro»: «Peggiora la legge Gasparri, rende la Rai subalterna al governo, che è la peggiore delle lottizzazioni. È una riforma che rende la Rai più governativa, ma lasciandola ugualmente consociativa».
Maurizio Migliavacca, bersaniano, è più misurato ma ugualmente netto nel negare «imboscate»: «Federico Fornaro, che era il primo firmatario, aveva espresso quella posizione al gruppo e poi all’Aula. Tutto alla luce del sole». Migliavacca considera la riforma «modesta»: «Si occupa solo della governance . E male: ho sempre pensato che un sistema pubblico debba essere indipendente dai partiti, ma anche dai governi, visto che le leggi rimangono e gli esecutivi cambiano».
Fornaro ribadisce la sua tesi: «Una delega troppo generica è una delega in bianco all’esecutivo e non è prevista dalla Costituzione. Miguel Gotor definisce la riforma «un’occasione mancata». Quanto alla delega, non si fida più: «Nel nostro voto ha contato anche l’esperienza delle deleghe nel jobs act : le votammo fidandoci e invece il governo le modificò, ignorando i pareri della Commissione lavoro, votati da tutto il Pd. Sono ferite che non si dimenticano». Per il resto, Gotor preferisce non rispondere «ai toni bellicosi» dei renziani: «Attendiamo un confronto sulla riforma del Senato. È interesse comune cercare l’unità».
Lucrezia Ricchiuti, civatiana, sembra aver perso ogni speranza e ribatte punto su punto: «Lotti e Giachetti sono patetici. Pensano soltanto alle lotte di potere, non alla carne e al sangue del Paese. Perché su Azzollini ci hanno dato libertà e su una materia di competenza parlamentare come la Rai ci volevano costringere a votare sì? La verità è che ci trattano come zerbini. Perché non recuperano i 500 milioni di canone evaso?». Sulla riforma costituzionale la maggioranza c’è ancora? «I verdiniani sono meno di quello che speravano. Ma si son già messi d’accordo con Forza Italia: gli danno qualche poltroncina Rai e si prendono i loro voti».