Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 02 Domenica calendario

SALVATE DUE BANCHE. CON I NOSTRI SOLDI

«La questione bancaria è molto seria e non riguarda solo il Sud, anzi. Vuoi una previsione? Il risiko bancario continuerà ancora a lungo, perché in Italia abbiamo troppi istituti di credito». Così Matteo Renzi, dalle pagine dell’Unità, risponde a un lettore che lamenta la mancanza nel Meridione di banche disposte a finanziare progetti per lo sviluppo. Il problema è che non mancano solo i progetti: in molti casi mancano proprio i soldi. Non a caso s’avanza sulla scena del sistema bancario di casa nostra un nuovo azionista compra tutto: Fidt, Fondo interbancario di tutela dei depositi, alimentato da appositi versamenti delle banche (che a loro volta finanziano l’istituto con specifici prelievi annuali presso la clientela) con una destinazione ben precisa: garantire, fino a 100mila euro, i depositi di persone fisiche e giuridiche in caso di insolvenza. Sarà questa, come continua a ricordare il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, l’unica rete di protezione per i clienti da gennaio 2016, quando entreranno in vigore le regole del Single Resolution Mechanism che non consentiranno più il salvataggio di una banca senza «un sacrificio significativo da parte dei suoi creditori». Nell’attesa dell’appuntamento, il Fondo dimostra un insolito attivismo con un obiettivo ben preciso: risolvere, prima che scatti la mannaia Ue, i casi degli istituti commissariati da Banca d’Italia, travolti dalla crisi. E così giovedì l’assemblea straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara ha approvato l’ingresso nel capitale della Fidt che così subentrerà ai commissari nella gestione. Questo dopo un aumento di capitale riservato per la non modica cifra di 300 milioni («a copertura delle perdite registrate») cui si è aggiunta l’emissione di warrant che consentiranno, nel luglio del 2018, agli attuali azionisti di comprare titoli fino a 57 milioni nominali. Il Fondo, insomma, si ritrova così ad essere l’azionista quasi unico di Carife nell’attesa di un compratore che per ora non si vede. Intanto, il 15 ottobre, i vecchi amministratori (31 in tutto) dovranno difendersi in Tribunale a Bologna per l’azione di responsabilità mossa dai commissari e da via Nazionale. La richiesta record è di 309 milioni circa, più o meno quanto l’impegno del Fidt. Ma non è finita qui. Sempre giovedì gli organi del Fondo hanno deciso di incaricare una società di consulenza per valutare come intervenire in Banca Marche, il caso più spinoso. I tentativi passati, cioè appoggiare l’intervento del Credito Fondiario con un’iniezione di capitali per 100 milioni più 800 come garanzia della cartolarizzazione dei crediti in sofferenza non è andato in porto. L’istituto, infatti, ha accumulato un pesante carico di prestiti a rischio precipitati in sofferenza con la crisi dell’immobiliare. Di qui un buco troppo pesante per un istituto delle dimensioni del Credito Fondiario ma anche un coefficiente di rischio che ha tenuto lontano altri possibili compratori. Non resta che la carta del Fondo che potrebbe esser chiamato ad un esborso nell’ordine di un miliardo di euro. Al più presto, contando sul fatto che il patrimonio, pur ridotto al lumicino, è ancora positivo. A differenza di quel che è accaduto per Tercas, in cui il Fondo ha dovuto ricostituire un patrimonio sotto zero. È una differenza che potrebbe avere il suo peso davanti all’Unione europea, che ha contestato per Tercas un’infrazione sulla normativa per gli aiuti di Stato. Insomma, nel giro di pochi giorni il Fondo effettuerà interventi per 1,3 miliardi. Nel frattempo il Fondo di garanzia delle Bcc è intervenuto a sostegno della Banca Romagna cooperativa (40 milioni). E l’elenco promette di allungarsi. Gli istituti nel limbo sono una quindicina, tra cui la Popolare dell’Etruria che, in assenza di cavalieri bianchi comporterà nuovi interventi. Un salasso pesante che non servirà tanto a proteggere i depositanti quanto istituti che hanno bruciato capitali, con prestiti spesso arrischiati, piuttosto che mettere i soldi al servizio della crescita. E questo, è utile ricordarlo, con fondi in arrivo dai depositi.