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 2015  agosto 02 Domenica calendario

“CARO SEGRETARIO”, “CARO COMPAGNO” MATTEO E IL TIC LINGUISTICO COMUNISTA

Ogni volta toccherebbe ripartire dalla nobiltà etimologica, da «cum panis», da tutto ciò che ha significato il termine compagno nell’800 e nel 900 prima che ai giorni nostri assumesse un’accezione ironica.
Il compagno Fini, il compagno Alfano, pure il compagno Vendola che compagno si sente ancora e per questo si finì, pochi anni fa, in una disputa surreale sull’attualità dell’appellativo: uscì la notizia che il leader di Sel aveva proposto di sostituire compagno con amico, e nonostante nella Prima repubblica i democristiani si chiamassero amico quasi in competizione col compagno comunista. Vendola smentì l’aberrazione con giochi d’assonanza: «Non ho mai rinunciato ad una parola che mi accompagna sin da quando ero ragazzino: compagno». Finita l’ironia si era già nella rivendicazione, quasi a un passo dal reducismo: non si riesce proprio a pronunciare la parola compagno col senso universalistico dei tempi in cui si diceva compagno Lenin o «compagni che sbagliano».
E quindi ieri mattina si capiva poco della lettera scritta all’Unità («Caro segretario, ora basta! Perfino sulla Rai ci sono compagni che hanno votato contro...») con risposta di Matteo Renzi: «Sai qual è l’unica cosa che mi fa male, compagno?».
Ironia non se ne vede. Rivendicazione neppure. Forse un tic del lettore che diventa un assist per il segretario: due compagni che si chiamano così e mentre dicono tutto ciò che pensano della sinistra civatian-fassinian-bersaniana, cioè i detentori dell’eredità in purezza. Non eravamo preparati, per molti di noi il compagno era già stata catalogato da Giorgio Gaber nel 1980 in «Io se fossi Dio», lì dentro c’è «il grigio compagno del Pci», i «compagni giornalisti», cioè i «cannibali» e i «necrofili», e il compagno radicale a cui «la parola compagno non so chi te l’ha data ma in fondo ti sta bene, tanto ormai è squalificata».
Ci pareva la fine culturale di un titolo e, anzi, già da liceali ci era bastato imbatterci nel vecchio «compagno Uliva» di Ignazio Silone che riceve Pietro e gli rifiuta appoggio per un’azione antifascista: «Se voi vincerete, e probabilmente vi accadrà questa disgrazia, noi sudditi passeremo da una tirannia all’altra». Ora rimangono titoli di libri sparsi, il Compagno di Cesare Pavese così lontano nel tempo, o i Compagni Addio di Giampiero Mughini che è un commiato a tutto l’armamentario per lasciare spazio al folklore, a Paolo Pietrangeli quando lavorava per Fininvest e a richiesta ricantava la strofa che i ragazzi ascoltavano come si guardano gli animali allo zoo («compagni dai campi e dalle officine / prendete la falce e portate il martello / scendete giù in piazza picchiate con quello»), a cantautori spelacchiati alla Pino Masi che fanno il pugno chiuso a platee incanutite. Fabrizio Gifuni disse «compagni e compagne» a una serata del Pd, e partì la protesta scritta dei giovani: «E’ un termine che facciamo fatica ad accettare». È che è molto di moda discutere e distribuire il nulla.
Mattia Feltri, La Stampa 2/8/2015