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 2015  agosto 02 Domenica calendario

UN GIORNO LEONE MI DISSE: «BERLINGUER E ZACCAGNINI VOGLIONO LA MORTE DI MORO»

[Intervista a Pasquale Squitieri] –
Il suo ultimo film, proprio come la curva che da settimane lo costringe all’immobilità, non si vede: “Si intitola L’ultimo Adamo, l’ho girato l’anno scorso e sto cercando qualcuno che lo distribuisca. Non ci sono ancora riuscito. Una cosa di una gravità insopportabile”. Fuori carreggiata, ai margini, Pasquale Squitieri è finito spesso. Il recente incidente stradale: “Evidentemente dormivo” gli ha lasciato in dote una gamba rotta e l’onorario di un dentista: “Ho sempre pagato tutti i debiti, pagherò anche questo”. Settantasei anni, un tumore ai polmoni: “Si può avere un portacenere?”, molti respiri anomali in una parabola che lo ha visto avvocato, impiegato, regista e senatore della Repubblica. Da qualche settimana, per una condanna definitiva figlia dei tempi in cui lavorava al Banco di Napoli, Squitieri non gode più del vitalizio destinato agli ex parlamentari. 2381 euro che Montecitorio gli ha tolto d’imperio: “Per un assegno di 25.000 lire. Lo feci incassare a un cliente nel ’65, era scoperto e 15 anni più tardi venni processato e arrestato per peculato”. Senza pensione da politico per caso e senza rimpianto, Squitieri non riconosce alla vicenda una luce letteraria: “Non c’è niente di kafkiano, non diamo a quest’elemosina un significato eccessivo. Per 40 anni ho vissuto senza vitalizio, non riceverlo più non mi spaventa”. Ma la racconta, dice, perché “quando la sfiga si presenta, riderle in faccia è il minimo che si possa pretendere da un uomo di spirito”.
Ritrovarsi più povero la rende allegro?
Mi permette di ricordare: un lusso. La storia dell’assegno parte da lontano. Nel 1979 girai Razza Selvaggia, un film terribile sulla condizione dei meridionali a Torino. Volevo girare dentro alla Fiat e andai da Montezemolo con un finto copione in cui magnificavo la fabbrica di Agnelli. Ottenuti i permessi, mostrai che inferno fosse, cosa succedeva quando un operaio si faceva male e tante altre belle cose.
Corretto.
Cosa vuole? Senza azzardo non ho mai saputo stare. Agnelli me la giurò. Assoldò un paio di investigatori privati, fece raccogliere un po’ di fango ad Aversa, avvertì chi di dovere e la vicenda dell’assegno uscì fuori. Stavo partendo per il Festival di Mosca nell’80 e sull’aereo mi si avvicinarono un paio di poliziotti: “Squitieri, ci risultano problemi con il suo passaporto, ci segua in Questura e la riportiamo qui in tempo utile per partire”. Era una balla. Mi trascinarono a Rebibbia. Cinque mesi di galera. Mi graziò Pertini.
Di Agnelli ha mai più avuto notizie?
Tutto poteva immaginare, il signor Agnelli, ma non che sarei diventato senatore. Lo acchiappai in Senato. Lo chiusi in una stanza. “Secondo te il coltello in tasca ce l’ho o no?”.
Vi davate del tu?
I senatori si danno sempre del tu: “Secondo te la lama in tasca ce l’ho o no” gridavo. “Ti apro in due come un maiale”. Agnelli era sconvolto. Balbettava: “Ma che c’entra?”, cercava possibili vie di uscita. A un tratto, il terrore gli suggerì un pensiero intelligente e mi spiazzò.
Cosa disse?
“Sei andato da Montezemolo e lo hai ingannato. Se giochi sporco non puoi aspettarti che gli altri giochino pulito”. Prima che mi potessi complimentare per la prontezza, arrivarono alle spalle di Agnelli e lo portarono via. È stato il mio peggior nemico, ma anche il più divertente.
Ne ha avuti molti?
Ho sparato, picchiato e insultato, ma l’ho fatto sempre per difendere qualcuno e mai me stesso. Se vedo la mia vita in controluce e alla mia età iniziare a osservarla è quasi un obbligo, noto che tutti gli eventi negativi che mi hanno sfiorato erano slanci mascherati di generosità. Sono arrivato a 77 anni sbattendo porte in faccia agli arroganti. E sono orgoglioso di averlo fatto. Una volta, in Rai, rovesciai il tavolo addosso al direttore di Rai Tre. Si chiamava Giuseppe Rossini.
Perché gli rovesciò il tavolo addosso?
Curavo una serie di ritratti monografici e avevo scelto Leopoldo Mastelloni. Rossini mi telefonò allarmato: “Vieni in Rai, abbiamo un problema”. Lo raggiunsi: “Qual è il problema?”. “Il problema è che Mastelloni è frocio”. Non ci vidi più. Gli scaricai addosso portapenne e foto di famiglia: “Anche Rock Hudson è frocio, stronzo”.
Sempre avuto un brutto carattere, lei.
Ho sempre avuto carattere, una cosa diversa. I miei colleghi l’hanno perso da un pezzo. Non si guardano intorno, non indagano, non si incazzano. Tutti a fare i film su Leopardi, sul Boccaccio o sull’eterno due camere e cucina in cui i familiari litigano tra loro. La poetica del tinello. Il cinema italiano non risorge. È spento. Non illumina più. Speravo che gli ultimi reduci fossero feroci. E invece è tutta una melassa, una predichetta, un monituccio piccolo borghese.
Il suo ultimo film, diceva, non si è visto.
Forse non si vedrà mai, ma non importa. Mi interrogavo sull’intelligenza artificiale. Sulla rivoluzione tecnologica. Su un mondo che tra 10 anni avrà il 34 per cento di robotizzazione in più. Sull’estinzione del genere umano. Gli scienziati hanno avvertito: “Guardate che qui finisce male, ci saranno presto 2 miliardi di affamati in guerra tra loro”. Non c’è un solo intellettuale italiano che affronti temi simili. È pazzesco, ma che siano sordi al tema in fondo è anche normale. Sa perché?
Ce lo dica.
Perché gli intellettuali italiani sono morti. Prenda Nanni Moretti. Una volta dissi che dei suoi film ci saremmo ricordati solo le battute. Adesso neanche quelle. Uno che comincia con Ecce Bombo e finisce con Mia madre si presenta da sé. “Dai Nanni, reagisci” vorrei dirgli: “Sei stato grande”.
Ci ricordiamo di una sua dichiarazione: “Ho sempre pensato a Moretti come a un regista di estrema destra”.
Chi? Nanni? Ma certo. Che c’entra la sinistra con Moretti? Ma stiamo scherzando? Nel mondo sinistra e destra hanno rappresentato categorie severe, durissime e spietate. In Italia destra e sinistra non sono mai esistite. Sono state due cialtronate. Due slogan. Due abiti da indossare a seconda delle convenienze e delle circostanze. Qui da noi abbiamo scambiato per fascisti, liberali e repubblicani e per comunisti, i rivoluzionari da salotto. Se penso a uno di destra penso a De Gaulle e un De Gaulle in Italia non lo vedo.
Lei è sempre stato considerato di destra?
Sono un narratore. Mentre preparavo Claretta sono andato a frugare nelle fascisterie e mi sono sentito fascistissimo. Quando ho studiato i fratelli Cervi, comunistissimo. Il problema non sono io che devo essere libero per sentirmi vivo, il problema sono gli altri. Sono le etichette. I conformismi. La riflessione piatta, banale, apodittica.
In Italia si riflette male secondo lei?
Se discuti in modo critico di certi aspetti positivi del ventennio mussoliniano, ti lapidano. Se provi a ricordare la figura di Craxi, ti sputano. Siamo tutti morti con Bettino. Craxi, per quanto carognone, contadino o arraffone, era tra quelli che avevano capito che le casse erano vuote e la festa conclusa. E non ce lo diceva mai. Atteggiamento adorabile. Finito il sabba socialista è finita la politica.
Qualcuno potrebbe eccepire e dirle che sbaglia.
E io me ne strafotto. Ogni politico compie dei delitti, certamente. Ma a volte i delitti sono necessari, cambiano il volto del mondo. Pensi a quel che cazzo ha fatto Napoleone e mi dica se sinceramente possiamo considerarlo alla stregua di un filantropo. Non lo era, ma era un grande condottiero. I cattivi servono, anche e soprattutto alla coscienza di tutti quelli che recitano da buoni per contratto.
Lei è stato giovane in anni pieni di cattivi maestri.
Erano anni difficili, infinitamente più interessanti dei contemporanei. Oggi, a iniziare dagli ideali, non abbiamo più un cazzo. Solo povertà, odio e rancore.
Ma odio, rancore e povertà c’erano anche ieri.
E lo dice a me? All’epoca in cui rapirono Aldo Moro, l’odio era nelle strade. Mario Cecchi Gori incaricò me e Nanni Balestrini di lavorare sul caso e nella ricerca della verità, io e Nanni ci spingemmo molto in là. Ero amico di Giovanni Leone, il presidente della Repubblica. Il 10 maggio del ’78, il giorno dopo il ritrovamento di Moro nella R4 in Via Caetani, Leone mi convocò al Quirinale. Era stravolto: “Avevo firmato la grazia per alcuni brigatisti in cambio della libertà di Moro. Me l’hanno strappato di mano due persone. I nomi non te li dico. Fai il cinematografo, hai i figli, non voglio farti rischiare”.
Raccontò questa vicenda già in Registi d’Italia di Barbara Palombelli. Ha mai saputo chi fossero le due persone in questione?
Uno era Benigno Zaccagnini e l’altro Enrico Berlinguer. Fermarono la Grazia concessa da Leone. Come mi disse il Presidente: “Non sono persone pericolose, ma pericolosissime”.
Immaginare due fautori del compromesso storico nel ruolo di aguzzini suona improbabile.
La pensi come vuole, l’ho sentito con le mie orecchie. Moro vivo non lo voleva nessuno. Erano tutti d’accordo. Gli americani decidevano, i politici di casa nostra eseguivano, i brigatisti fecero il lavoro sporco. L’organizzazione era infiltrata a ogni livello ed eterodiretta dai servizi segreti di mezza Europa. Leone fu reticente. Voleva proteggermi: “Maestro – gli dissi – le sembra che ne abbia bisogno?”. Allora mi rivelò i nomi dei due che gli strapparono la Grazia dalle mani: “Zaccagnini e Berlinguer”. Attendo smentite. Non arriveranno. La Democrazia Cristiana ha sempre ucciso i propri figli. Come Crono, se li è mangiati uno dopo l’altro.
Oggi chi somiglia a Crono?
Angela Merkel. Con lei siamo nei guai. Si parla solo di austerity, mai di ripresa. In certe questioni il riverbero psicologico è tutto e noi ancor prima di essere poveri, siamo depressi. Scoraggiati. Convinti che non esista altra via d’uscita che non sia pagare i debiti fino a morire. Si può essere straccioni illudendosi di essere signori o si può essere ugualmente straccioni intonando la litania del sacrificio e delle cambiali da estinguere. Filosoficamente, ho sempre preferito la prima opzione.
Non è quella scelta da Merkel.
Viviamo nel sogno infantile della cancelliera tedesca, ma sarebbe meglio dire nell’incubo. Siamo i suoi burattini, i suoi bambolotti, i poveracci che devono ubbidire a questa bambina nazista.
Non le pare di esagerare?
Mai un’opinione vera, un punto di vista, una frase vitale. Merkel è il niente.
Ora sta preparando un film su Vincenzo Gemito, grande scultore napoletano dell’800. Non ha pensato a un film sulla crisi contemporanea?
Ci ho provato. Proprio ora, in questo scomposto sputare sulla Grecia, avrei voluto fare un film su Omero. Un Omero che passa tra carri armati, guerre e carestie recitando l’Iliade da solo. Non mi hanno dato una lira: “Che vuoi fare tu? Omero?” Si sono messi a ridere.
Chi le manca oggi?
Gente come Ugo Pirro. Abbiamo avuto un rapporto bellissimo, avrei trascorso con Ugo mesi e anni, me lo sarei sposato.
Si è invece accompagnato per molti anni con Claudia Cardinale.
Ci conoscemmo mentre preparavo I Guappi. Franco Cristaldi mi convocò alla Vides. Me la voleva imporre ad ogni costo e io non volevo saperne: un po’ perché gli attori famosi mi disturbavano, un po’ perché arrivava con la raccomandazione. Proposi di farle un provino e Cristaldi mi guardò come se avessi bestemmiato la Madonna: “Se proviniamo Cardinale, si rivolta Roma”. Non si rivoltò nessuno. Neanche lei. Quando andammo a vedere il risultato, lei si appollaiò dietro di me: “Mi ha ripreso male, Squitieri. Sembro grassa”. Mi girai di scatto: “Lei non sembra grassa, signora cara. Lei è grassa”. Non conoscevo ancora la sua determinazione. Si mise a dieta. Perse cinque chili in due giorni.
Poco dopo scappò con lei.
Claudia era esasperata dal rapporto con Cristaldi e dal solito giretto. Si sentiva in gabbia. Lui che era tutt’altro che un santo, la manteneva versandole un cachet mensile. Se l’era comprata. Sfuggirgli equivaleva a conquistare libertà.
I vostri amici di allora?
Mario Monicelli lo vedevamo spesso. Quando iniziò la storia con Claudia, Monicelli pensò che tutto il cinema italiano bigotto ci avrebbe abbandonati. Veniva la sera a casa a tirarci un po’ su. Complimentoso. Eccessivamente premuroso. Gli dicevo: “Mario, guarda che non abbiamo nessun bisogno di tutta questa allegria, siamo tranquilli, sereni. Mangiamo e poi andiamo a letto, non devi preoccuparti”. E lui, di rimando: “Lo faccio per amicizia, non c’è nulla di più importante dell’amicizia”. La realtà era diversa. In realtà Claudia se la volevano scopare tutti.
Anche Monicelli?
Eeehhh, certo, certo. C’era chi c’era riuscito e chi no. Non l’ho mai saputo e non mi ha mai interessato. Sicuramente qualcuno me l’ha tirata. Avevo veramente tolto la fidanzata agli italiani. Ancora oggi, se ho un incidente come quello che ho avuto poco tempo fa, mi riesce impossibile non ricondurlo alle maledizioni di allora. Determinati influssi restano nell’aria.
Qualcuno raccontava che tra lei e Cardinale finisse spesso a schiaffi e che lei del manifesto machista “cazzo e cazzotto” fosse strenuo sostenitore.
Qualche volta siamo finiti a fare a botte, ma era inevitabile. Ci lasciavamo, ci riprendevamo, l’ho amata molto come oggi amo Ottavia Fusco che ha 27 anni in meno di me. Due donne colte, eleganti, straordinarie.
È straordinaria anche la vecchiaia?
Non ci crederà, ma è così vera, polverosa e piena di fuochi improvvisi che non potevo aspettarmi di meglio.
Pensa mai alla morte?
Ci penso e le parlo. Da tanti anni. Cos’è la morte se non un momento bellissimo della vita e un incontro tra un me che va via e un me che rimane? Lasciarselo scappare sarebbe un delitto. Non li ho mai compiuti. Non ho mai ucciso nessuno, io.
Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 2/8/2015