Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 02 Domenica calendario

PRENDI I SOLDI E SCAPPA: ARRESTATO MR. BITCOIN

Nessuna aggressione a mano armata, nessuna cassaforte forzata. Con i Bitcoin funziona così: un attimo prima ci sono, un attimo dopo sono scomparsi. Per rubarli possono bastare in genere pochi clic o si può imbrogliare sui tassi di cambio. E ieri, Mark Karpeles è stato arrestato con l’accusa di aver sottratto Bitcoin per un valore complessivo di 350 milioni di dollari prima di dichiarare il fallimento della società Mt.Gox.
Trent’anni, Karpeles era l’amministratore delegato della società che offriva servizi di cambio valuta e al tempo gestiva circa il 70 per cento delle transazioni totali. Tra il 2003 e il 2005 aveva lavorato come sviluppatore di software e come amministratore di rete, aveva contribuito a innovare e implementare il sistema operativo open source Linux ed è stato uno dei soci fondatori dell’organizzazione no-profit Bitcoin Foundation, creata nel 2012 con l’obiettivo di diffondere tra gli utenti la conoscenza della moneta virtuale.
Un uomo dedito alla causa che nel 2011 aveva comprato l’88 per cento della società Monte Gox (a cui faceva capo un sito legato ai videogiochi online e al cambio di carte da gioco), con sede a Tokyo. Tutto sembrava procedere bene, un Bitcoin poteva valere anche più di 500 dollari e Mt. Gox dettava la linea nella definizione del prezzo standard, fungendo da banca per gli utenti (che possono custodire il loro portafoglio di Bitcoin sia su piattaforme web che su una cartella nel proprio pc). Fino a febbraio del 2014. Improvvisamente, la società sparisce dal web, sul sito compare un messaggio che spiega che le transizioni sono bloccate e gli utenti vanno in panico: Mt. Gox, non essendo una banca, non prevede una copertura per i correntisti né ci sono assicurazioni che coprano le perdite. Già da un paio di settimane Karpeles aveva parlato di problemi con la sicurezza del sito, alterazioni che avrebbero favorito l’attacco di hacker e malintenzionati. E sarà proprio un attacco Hacker la spiegazione per la scomparsa di ben 744.408 bitcoin: 350 milioni di dollari, il 12 per cento del circolante totale. Karpeles è costretto ad ammettere di aver perso 750mila bitcoin dei suoi clienti e 100mila propri, salvo poi precisare, qualche settimana dopo, di aver “ritrovato” altri 200mila bitcoin in un portafoglio digitale.
Ieri, la polizia giapponese ha accusato Karpeles di essere entrato nel sistema informatico di parte dei suoi 127mila utenti e di averne falsificato i dati, modificando il saldo e spostando i bitcoin su un altro conto prima di dichiarare bancarotta. Dopo l’arresto, la polizia giapponese ha 48 ore per presentare prove che potranno incriminarlo e confermare la detenzione.
Il mercato dei bitcoin, oggi, è in crescita. Il valore della criptovaluta si aggira intorno ai 280 dollari per bitcoin e ogni unità corrisponde a una striscia di codice informatico generata da un algoritmo matematico. A inventarlo, nel 2009, un programmatore informatico anonimo che è conosciuto con il nickname Satoshi Nakamoto (ma che nasconderebbe un gruppo di sviluppatori). Per ottenere bitcoin bisogna acquistarli da chi già ne è in possesso e secondo il sistema (che ne rilascia di nuovi periodicamente e che si nutre della potenza di computing di chi decide di collaborare a implementarlo), l’emissione di bitcoin si esaurirà una volta coniati 21 milioni di pezzi. La criptomoneta, inoltre, garantisce un quasi totale anonimato. L’indirizzo del portafoglio è una serie casuale di numeri e per ottenerne uno basta inserire una mail. Per acquistarli, è sufficiente una ricarica su carta prepagata.
Il problema, come dimostra il caso di Mt.Gox, è che libertà e anonimato sono al prezzo della sicurezza. “Una prima evoluzione nella tecnologia bitcoin c’è stata qualche anno fa – spiega al Fatto un esperto di cybersicurezza – quando le piattaforme hanno capito che fosse meglio conservare i bicoin degli utenti in diversi portafogli in vece che in uno solo: sarebbe bastato scoprire una sola password, per ripulire l’intero deposito”. Per il resto, tutto si basa sulla fiducia. “Nessuno può assicurare che quando si comprano bitcoin da un utente, poi ci sarà la transazione”. Ancora minore è la certezza che la ‘banca virtuale’ non sparisca con i soldi. Almeno finché gli istituti di credito già esistenti non decidano di entrare nel mercato a gamba tesa. Per ora, come raccontato anche dal Foglio, da Bnp Paribas a Ubs, da Goldman Sachs a Jp Morgan e Intesa Sanpaolo, si stanno finanziando solo centri di ricerca e progetti.
Virginia Della Sala, il Fatto Quotidiano 2/8/2015