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 2015  agosto 02 Domenica calendario

ALL’ASILO MONTECITORIO: SENZA GIOCATTOLI E SENZA BAMBINI

Ci sono le sedioline rosa e azzurre comprate all’Ikea, che costa poco. L’angolo con i divanetti, la televisione e il lettore dvd per guardare i cartoni animati. Nell’altra stanza, i lettini da campeggio, il frigorifero, lo scalda biberon. All’asilo di Montecitorio è tutto fatto a modino. Mancano solo i giochi. E i bambini.
Al piano terra di Palazzo Theodoli-Bianchelli, in piazza del Parlamento, doveva nascere l’esperimento di conciliazione tra lavoro e famiglia più riuscito della società italiana: se il nido “aziendale” non funziona in Parlamento, dove funzionerà mai?
Non a caso, quando lo hanno inaugurato, nel maggio scorso, la notizia era stata accompagnata da giubilo e soddisfazione. Il primo “Spazio bimbi” per i figli dei parlamentari: finalmente la Camera – presieduta da una donna, Laura Boldrini, molto attenta alle questioni di genere – provava a mettere a disposizione di lavoratrici e lavoratori uno strumento avanzato, un modello da esportare anche fuori dai palazzi della politica. Già, perché da subito c’era chi aveva storto il naso: perché, per esempio, non è aperto anche ai figli dei dipendenti di Montecitorio?
Ma se fosse solo un problema di privilegi, quel piano terra che dà le spalle a via del Corso, potrebbe finire nel solito elenco delle cose di casta. Invece, che qualcosa sarebbe andato storto, si era iniziato a capire ancora prima del taglio del nastro. A fine aprile, l’ufficio di Presidenza della Camera viene chiamato a dare il via libera al progetto, della cui stesura si è occupata la vicepresidente (in quota Pd) Marina Sereni. Claudia Mannino, deputata M5S, segretario d’Aula (e mamma), fa notare che nel regolamento che si sta per approvare ci sono alcune incongruenze. Gli orari, per esempio: se davvero si vuol consentire alle deputate di lavorare senza la preoccupazione del pupo da accudire, perché non si lega l’apertura e la chiusura del nido alle sedute d’aula? Va detto che gli orari dello Spazio bimbi di Montecitorio sono già di gran lunga più elastici rispetto a quelli dei servizi per l’infanzia attivi sul suolo nazionale: dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20,30, con eventuali deroghe nei festivi se i deputati dovessero essere convocati per lavori straordinari. Ma la vera anomalia riguarda il personale. Montecitorio non vuole accollarsi oneri aggiuntivi (anche perché, spiegano, quello stanzone non ha i requisiti necessari a diventare un vero e proprio asilo), così nello Spazio bimbi si può accedere solo se accompagnati da mamma, papà o da una babysitter. Si è cercato (per ora invano) di ottenere dalla Camera di poter pagare di tasca propria del personale qualificato, che possa essere a disposizione di tutti. Paradossalmente oggi, una deputata con due figli in età da asilo, da regolamento, deve assoldare due persone: una per bambino.
È la conseguenza estrema di una serie di regole che tutto contemplano, tranne il risultato finale. Che è questo: lo Spazio bimbi è deserto. D’altronde non è esattamente una tana accogliente: passi per pupazzi, libri e costruzioni, che te li devi portare da casa, vabbè. Ma quale bambino andrebbe in un posto dove non c’è nessuno con cui giocare?
All’inizio, piene di ottimismo, le mamme di Montecitorio avevano addirittura pensato di mettere in piedi un file Excel: visto che lo spazio può contenere al massimo 20 persone, visto che la metà dei posti sono necessariamente occupati dagli adulti accompagnatori, bisognava trovare un modo per permettere a tutte e a tutti di poterne usufruire. In totale, alla Camera, i pargoli da zero a sei anni non sono tantissimi, arriveranno al massimo a una ventina: quasi tutti figli di Cinque Stelle (vista l’età media più bassa dei parlamentari), un paio del Pd, una di Sel e Valentina Vezzali. Ma non c’è stato bisogno di condividere e incastrare esigenze. “Chiamami quando porti il tuo, così porto anche il mio”, è il passaparola che finora non ha funzionato. Ma perché dovrebbero essere (ancora una volta) le mamme a dannarsi per far sì che le cose funzionino? Perché quel posto, che dovrebbe aiutarle a vivere con più serenità la giornata lavorativa, deve diventare una ulteriore fonte di fatica organizzativa? Perché devono essere loro a trasformarlo in un luogo accogliente?
La Camera ha pure investito 17 mila euro per mettere a norma la struttura: via le barriere architettoniche, parquet a terra, trasformazione dei bagni con wc a misura d’infante, acquisto degli arredi, tinteggiatura e decoro delle pareti. È venuto bene, sì. Ma non basta un taglio del nastro per raccontare la favola che in questo Paese, a cominciare dalle sue istituzioni, qualcosa sta cambiando. Non ci credono neanche i bambini.
Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 2/8/2015