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 2015  agosto 02 Domenica calendario

LOW COST PER FARE CASSA E CAOS BAGAGLI ECCO PERCHÉ LO SCALO VA IN TILT

ROMA.
«Ora basta», vanno ripetendo tutti. Il premier Matteo Renzi; il presidente di Aeroporti di Roma, Fabrizio Palenzona; l’amministratore delegato di Alitalia Silvano Cassano (che ha annunciato una richiesta di risarcimento danni ad Adr da 80 milioni di euro per i disservizi degli ultimi mesi); le migliaia di passeggeri ciclicamente precipitati in un aeroporto prigione e, con molte ragioni, Esterino Montino, sindaco di Fiumicino e di quella terra di nessuno di cui il “Leonardo Da Vinci” è il cuore. «Basta», dunque. Ma con cosa? Chi è stato e chi è il responsabile della disarmante fragilità di una delle più importanti e strategiche infrastrutture del Paese? Perché il banale cortocircuito di un condizionatore può trasformare il terminal 3 dell’aeroporto in un immane rogo e ridurne per mesi l’operatività del 60 per cento? Come è possibile che un fuoco di sterpaglie nella pineta di Coccia di Morto alimentato dal vento di Ponente possa chiudere il cielo di Roma per due ore? O un blackout di quindici minuti paralizzare tutte le attività di handling a terra?
A leggere la relazione finanziaria per il 2014 di “Aeroporti di Roma”, la società che gestisce in concessione lo scalo (controllata dalla “Atlantia” del gruppo Benetton-Autostrade), c’è da stropicciarsi gli occhi. I passeggeri hanno raggiunto i 40 milioni (43,6 se a Fiumicino si somma il traffico di Ciampino), «una crescita tra le più elevate dei grandi hub in Europa». L’utile, al netto delle imposte, ha segnato 131 milioni di euro. 48 milioni in più dell’anno precedente. E ancora: «11 miliardi di investimenti» di qui al 2044 promettono a nord dell’attuale aerostazione, sui terreni di Maccarese, un nuovo terminal, due nuove piste, che dovrebbero far salire a 100 i milioni di passeggeri l’anno in transito per il “Leonardo Da Vinci”. Mentre, per la fine del 2016, la società si impegna ad inaugurare il “nuovo molo” da 14 “finger” che dovrebbe aumentare di altri 5 milioni annui il traffico passeggeri attuale.
Epperò, il gigante ha i piedi di argilla.
Stefano De Carlo, segretario esecutivo dell’Anpac (Associazione nazionale dei piloti dell’aviazione commerciale) dice: «La verità è che il Leonardo Da Vinci è una perfetta metafora del nostro Paese. Invece di costruire un Sistema aeroportuale efficiente ed integrato e quindi accenderlo, è stato prima acceso quel che c’era per fare cassa e attrarre nuovo traffico, soprattutto le compagnie low cost. E poi ci si è aggiustati in corsa in un continuo patchwork dove a strutture ormai datate 40 anni se ne sono giustapposte di nuove. Sul momento si dà l’illusione che la cosa funzioni. I numeri crescono. Poi, le linee di sutura tra vecchio e nuovo cominciano a slabbrarsi fino a strapparsi. E basta nulla per far collassare l’intero edificio».
Non è un caso, dunque, che negli ultimi dieci anni, nella catena complessa che governa il bioritmo dell’aeroporto — controllo del traffico aereo, servizio a terra agli aeromobili e ai passeggeri, trasporti da e per la città — ognuno sia andato per proprio conto. Che, come in una orchestra improvvisata, i musicisti abbiano suonato e suonino spartiti in proprio. Che li garantiscano con l’interlocutore politico di turno, con le inchieste della magistratura, con il conto economico. È accaduto così che l’Enav, per ragioni di sicurezza, abbia fissato la separazione di decolli e atterraggi tra i 60 e i 90 secondi (contro i 30 di Heathrow, ad esempio). Che Adr, per compensare il minor numero di movimenti rispetto ad altri scali europei, abbia aperto alle low cost (Easyjet, Vueling, Ryanair) non avendo ancora strutture in grado di sostenerne l’impatto. Che le società di handling (assistenza a terra ad aerei e passeggeri) siano state abbandonate ad una concorrenza selvaggia in un dumping senza fine i cui costi sono stati scaricati sulla qualità ed efficienza dei servizi e sui lavoratori (è del gennaio scorso la messa in mobilità di 450 addetti della “Ground care”, ultimo di una lunga serie di handler ad andare a gambe all’aria). Una giungla in cui ogni compagnia aerea prova a spuntare le condizioni migliori e che spiega il perché, a terra (in partenza, come in arrivo), non tutti i passeggeri e tutti i bagagli siano uguali anche se tutti sono sotto il tetto di uno stesso aeroporto. Una giungla cui — come ancora qualche giorno fa è tornato ad implorare il segretario nazionale della Filt-Cgil Nino Cortorillo — è decisivo che metta mano il Parlamento («Devono essere varate le norme del mercato sia delle compagnie aeree che degli handler, definendo regole dentro cui si debba svolgere la concorrenza nel mercato. Servono imprese nei servizi di handling più grandi e più forti e, non come oggi, un mercato sregolato che genera crisi aziendali, licenziamenti e precarietà»).
«Il Sistema aeroporto non funziona — osserva il sindaco di Fiumicino Esterino Montino — semplicemente perché non c’è». Atterrare a Fiumicino significa finire in un collo di bottiglia. In pista, al nastro ritiro bagagli, sulle banchine e poi sulla strada che porta in città. Una sola arteria stradale che si strozza sui cavalcavia della Magliana e sulle rampe del Grande Raccordo Anulare, con attese nelle ore di punta fino a 50 minuti. Una linea ferroviaria da provare vergogna, per la qualità delle carrozze e i tempi di percorrenza (45 minuti per 40 chilometri). La porta dell’Italia sul mondo da cui dovrà entrare di qui a ottobre qualche decina di milioni di pellegrini del Giubileo Straordinario della Misericordia e da cui si vorrebbero far transitare le Olimpiadi del 2024. Non resta molto tempo. Meglio: il tempo si è già esaurito.
Carlo Bonini, la Repubblica 2/8/2015