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 2015  agosto 02 Domenica calendario

IL FUTURISMO TAX-ONOMASTICO

Se la pur volenterosa consultazione di memorie e archivi non inganna, per adesso la Tic e la Tac, la Trip, la Trap e la Tracchete ci sono state risparmiate. Eppure oramai è quasi difficile trovare una combinazione di tre lettere o poco più.
Una combinazione che non sia stata esperita dall’inesausto laboratorio linguistico da cui provengono i nomi delle nuove imposte, in particolare quelle su casa e servizi.
Un analista potrebbe periodizzare e isolare una prima fase vocalica e bisillabica, con predominanza della lettera “I”: è l’epoca di Isi, Ici, Imu, sul modello della vecchia Ige, della gloriosa Iva, della spigolosa Irpef, della burlesca Iciap, della severa Irap. Due decenni buoni, dal primo governo Amato (1992) sino a Monti (2011). Con Letta e poi Renzi invece si è passati dalla “I” come Imposta al dominio della “T”, che non dovrebbe stare per Tassa, ma per Tributo. Eppure tutti questi nomi girano attorno alla sonorità di “Tax”. Ed ecco nel giro di pochi anni o mesi la Tasi, la Tari, la Taser e poi la Trise, la Tuc, sino alla ventilata Local Tax. In questa oscillazione fra I e T iniziali (che comunque compongono la pertinente sigla “It”) la “I” si è presa una rivincita, quando ha sostituito la “T” di Tuc per produrre il singulto di una “Iuc”.
La girandola degli acronimi è stata sempre accompagnata da una coreografia di abolizioni, proteste di enti locali, reinvenzioni dissimulate e tale iperattivismo nominale ha sempre finito per mascherare un po’ quello tributario. Ma la casualità delle associazioni di lettere iniziali dell’acronimo pare quasi voler raccontare una storia: Isi, Ici, Imu? Tasi Tari Taser! Non è una storia con un inizio e una fine: è costruita come una tavola parolibera futurista, e chissà che un giorno o l’altro non dovremo ricavare dai valori catastali dei nostri immobili la somma da pagare per un’imposta chiamata proprio Zang Tumb Tumb.
Deliziandoci con il nonsense di queste loro onomatopee involontarie, questi nomi denunciano la completa indifferenza al senso sostanziale di un’imposizione. Si impongono, appunto. Come le sfilze di zeri dei codici Iban, come la sintassi dei moduli F24, come la necessità di rivolgersi al sacerdozio di un fiscalista, anche l’assurda allegria degli acronimi fiscali dice sempre la stessa cosa: che si varia per ritrovare l’identico e per ribadirne la necessità. L’importante è non affezionarsi alla Tuc, perché prima o poi sarà soppiantata dalla Iuc, e nessuno ci potrà più far niente: almeno fino alla prossima trovata tax-onomastica.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 2/8/2015