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 2015  agosto 01 Sabato calendario

GOVERNANCE, TUTTE LE DIFFERENZE TRA «GASPARRI» E NUOVE REGOLE

ROMA
Tante le “novità” della vecchia legge rispetto a quella approvata al Senato in prima lettura. Il cda, per tre anni, resta di nove membri, senza la riduzione a sette prevista nel Ddl. La commissione di Vigilanza mantiene, ancora per un mandato, la nomina di sette dei nove membri del cda, che doveva passare a Camera e Senato per quattro membri su sette. Resta, nella vecchia come nella nuova futura legge, la figura del presidente “di garanzia” (nella pratica rivelatasi più formale che sostanziale in mancanza di effettivi poteri): designato mercoledì dall’azionista, nominato dal cda al suo interno, ma effettivo solo dopo aver ricevuto il voto favorevole dei due terzi della vigilanza, giovedì prossimo. Il nono consigliere viene nominato direttamente dall’azionista ed è stato quasi sempre decisivo per avere la maggioranza di cinque consiglieri su nove in cda.
La Gasparri non prevede alcuna procedura di candidature pubbliche tramite curriculum, per il ruolo di consigliere, al contrario della procedura di selezione contenuta nell’articolo 2 del testo approvato ieri al Senato. Le scelte, quindi, sono interamente responsabilità dei partiti in Vigilanza, rispettando i requisiti richiesti dalla legge vigente. Anche se, quando si trattò di nominare il cda il cui mandato è scaduto lo scorso maggio, il Pd chiese i due nomi ad alcune associazioni della “società civile”. Una scelta che non verrà ripetuta. La legge approvata al Senato prevede che la composizione del cda favorisca la presenza di entrambi i sessi, l’assenza di conflitti d’interesse o di cariche in società concorrenti, definizioni non previste dalla Gasparri per la prossima tornata di nomine.
Dato che la Gasparri prevede la rielezione per una sola volta, non è da escludere la riconferma di qualche consigliere. L’attuale statuto Rai, inoltre, permette al cda di dare deleghe al presidente o ad un consigliere, come quelle ricevute, su input del governo Monti, dall’attuale presidente Anna Maria Tarantola.
Il direttore generale viene nominato dal cda d’intesa con l’assemblea dei soci. Tale formula, nella prassi, è diventata una ratifica, da parte del nuovo consiglio, della figura scelta dal Governo, palesando una perdita di autonomia dell’organo di amministrazione del servizio pubblico. Il nome del direttore generale verrà fatto mercoledì in assemblea dei soci, ma dovrà prima essere costituito il cda, convocato dal consigliere anziano, nel quale si nominerà il presidente. Quest’ultimo, una volta ricevuto il parere favorevole della Vigilanza ma ratificato dal nuovo cda, convocherà un altro consiglio, nel quale andrà trovata l’intesa con l’assemblea dei soci sul nome del direttore generale. Secondo un calendario di massima, il nuovo vertice potrebbe essere in carica già tra il sette e l’otto agosto, se i consiglieri saranno disponibili alle riunioni necessarie o, al massimo, entro mercoledì 11.I poteri, fino a quando il testo approvato al Senato non diverrà legge, saranno quelli previsti dalla legge in vigore: il direttore generale partecipa alle riunioni del consiglio, senza diritto di voto, al quale propone le nomine dei vicedirettori generali e dei dirigenti di primo e secondo livello, compresi direttori di reti e testata. Quando la nuova legge sarà approvata, il direttore generale avrà le funzioni dell’amministratore delegato: avrà quindi potere di nomina e non più di proposta rispetto al cda, che dovrà comunque “sentire” obbligatoriamente, nei casi di quelle editoriali. Se il testo rimarrà quello approvato al Senato, per i direttori di testata – a legge approvata – sarà vincolante il parere del cda, se espresso con maggioranza dei due terzi, cioè di sei consiglieri, sino al prossimo rinnovo.
Ma.M., Il Sole 24 Ore 1/8/2015