Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 01 Sabato calendario

VA IN ONDA UN TRIS D’ASSI

La rivoluzione è qui, è ora. E vede protagonisti due big targati Usa, Discovery e Sky. Perché la televisione italiana del prossimo futuro vedrà in prima linea due network d’Oltreoceano che oggi come oggi rappresentano di fatto il terzo e quarto operatore del mercato italiano.
Che poi è il più importante su scala europea, non tanto in termini di evoluzione tecnologica e digitale, quanto di numero di ascoltatori nella giornata media (da 25 a 27 milioni) e di raccolta pubblicitaria. Come dimostra la lunga serie di dati raccolti da Nielsen, il piccolo schermo anno dopo anno sta erodendo quote di mercato agli altri mezzi d’informazione. Se nel 2012 le concessionarie dei principali broadcaster censiti da Nielsen con 3,92 miliardi di spot rappresentavano il 53,6% dell’intero settore media, l’anno scorso, con una raccolta totale scesa a 3,5 miliardi, la fetta di torta era salita al 56,6%. E gli ultimi dati disponibili, quelli relativi al periodo gennaio-maggio 2015, confermano questo trend e anzi ne rafforzano la portata: con 1,64 miliardi, la tv oggi pesa per il 60% del totale.
Bastano questi pochi numeri per dimostrare come, nonostante in Italia negli ultimi 5 anni sia andato perso il 40% del bacino degli investimenti pubblicitari complessivi, l’interesse per la televisione si mantenga alto, anzi aumenta sempre di più. Per questo alcuni mesi fa Discovery (terzo polo con il 6,83% di share) ha deciso di comprare Deejay Tv dal Gruppo L’Espresso, puntando a centrare l’obiettivo dell’1% di share nel medio periodo (a fine giugno grazie alla cura made in Usa è già balzato allo 0,9% rispetto ai vecchi dati dello 0,2%-0,3%).
Dal canto suo Sky (share del 4,96%, cui si può sommare l’1,33% della cugina Fox) venerdì 31 agosto ha chiuso il contratto di acquisto da Viacom del canale 8, ovvero Mtv, forte anch’essa di uno 0,9% di ascolto nel giorno medio. Tutto è sub judice: tocca al Consiglio di Stato sciogliere il nodo relativo al ricorso di ReteCapri sul possesso del tasto 8 del telecomando. Ma la strada pare segnata, e anche in discesa, per la pay tv di Rupert Murdoch che ha velleità di crescita sul digitale terrestre gratuito, dove ha già occupato i canali 26 e 27.
Obbligate per legge a non modificare il nome delle due emittenti, Discovery e Sky comunque non staranno certo con le mani in mano anche sul fronte culturale. Infatti, è risaputo che per la gran parte dei telespettatori sono ancora i canali generali, quelli compresi tra l’1 e il 10, a trainare gli ascolti.
Non per nulla, Rai e Mediaset, dominano la scena con quasi il 70% di share complessivo, in gran parte realizzato con i sei canali tradizionali: 28,11% per Rai1, Rai2 e Rai3 e il 25,36% con Canale5, Italia1 e Rete4 sul 68% complessivo registrato a giugno dai due storici big dell’etere. Ed è su questo punto, o tasto per restare in tema, che i due broadcaster americani vogliono puntare: rafforzare il ruolo dei canali 8 e 9 per concentrare al massimo l’attenzione dell’utente-consumatore. Non per nulla se davvero la pay tv guidata in Italia da Andrea Zappia riuscirà a conquistare Mtv (la cui raccolta pubblicitaria per il 2015 è stimata in 65 milioni), mettendo sul piatto la non certo modica cifra di 100 milioni, il palinsesto di quest’ultima verrà significativamente modificato con programmi di successo. Si ipotizza che sull’8 possano finire le audizioni di un talent show come X Factor, le gare più importanti della MotoGp e poi il Mondiale di Rugby. Mentre Discovery, guidata in Italia da Marinella Soldi, forte del 100% di Eurosport, potrà trasmettere sul Deejay Tv appuntamenti di richiamo, uno su tutti le Olimpiadi.
È sulla base di queste premesse che i principali centri media italiani e internazionali hanno iniziato a studiare le potenzialità dei due canali, tutti da ripensare, e a valutarne l’impatto sia in termini di ascolti che di raccolta pubblicitaria. Un trend che non lascia fuori neppure la La7 di Urbano Cairo, che oggi con il 3,75% di share, si viene a trovare schiacciata tra quattro colossi. Ma non è da escludere che, vista la sua programmazione tutta orientata all’informazione e all’intrattenimento, anche l’emittente dell’imprenditore piemontese – al momento non è intenzionato a vendere la proprietà del canale rilevato due anni fa da Telecom Italia – tragga vantaggio da questo rimescolamento di carte, contenuti e palinsesti.
Dalle prime stime in possesso di MF-Milano Finanza emerge infatti che a partire da gennaio 2016, la data spartiacque della nuova televisione generalista italiana, il trittico di canali 7-8-9 vede aumentare complessivamente lo share medio giornaliero del 5-10% nell’arco di 12-18 mesi, andando ovviamente a erodere quote di mercato a Rai e Mediaset.
A questo possibile fenomeno se ne lega un altro. Quello dell’aumento degli investimenti in spot. Complessivamente le tre emittenti potrebbero conquistare tra il 6 e l’11% della raccolta pubblicitaria, che complessivamente si può tradurre in una fetta potenziale di 200 milioni di nuovi introiti per La7, Mtv e Deejay. Un calcolo presto fatto: se ogni singolo punto percentuale di ascolto vale 15-20 milioni, la forchetta oscilla tra 90 e 220 milioni. E se i calcoli elaborati dai centri media non lo dicono, è evidente che al momento chi ne soffrirebbe di più sarebbe Mediaset visto che oggi si assicura il 56-57% della raccolta pubblicitaria sul piccolo schermo. Applicando quelle simulazioni, quindi, il Biscione potrebbe rischiare di perdere tra i 50 e i 100 milioni di spot su base annua, mentre per la Rai che ha una quota del 22% degli spot, l’impatto oscillerebbe tra i 20 e i 45 milioni di raccolta che verrebbe a mancare.
Andrea Montanari, MilanoFinanza 1/8/2015