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 2015  agosto 01 Sabato calendario

EURO SCHIACCIA CINA

Nessuno può neanche lontanamente immaginare che cosa succederebbe all’economia mondiale se il gigante cinese dovesse fermarsi. Il crollo nelle scorse settimane della borsa di Shanghai, che tanta ansia sta creando agli investitori e alle autorità di Pechino va contestualizzato nell’ambito di un processo di sviluppo vorticoso che ha avuto il suo apice nel 2007 e che sta altrettanto vistosamente rallentando.
Ciò che non si ferma è la frenesia di guadagni a doppia cifra: i corsi azionari salgono rapidamente, ma cadono ancor più precipitosamente.
La Cina ha registrato sette anni di crescita economica vertiginosa, dal 2000 al 2007, ma da allora vive un processo di assestamento ancora tutto da completare. Anni fa, ci si chiedeva che cosa mai sarebbe successo se il gigante si fosse messo in marcia, e i risultati sono stati superiori a ogni aspettativa: il pil cinese è cresciuto in termini reali dell’84%, quasi raddoppiando. Alla vigilia della crisi americana il tasso di crescita annuo era stato del 14,6%. Altrettanto spettacolari erano tre altri fattori: misurati in percentuale sul pil, il risparmio interno era passato dal 37 al 51,7%; gli investimenti fissi lordi dal 35,3 al 41,6%; il saldo della bilancia dei pagamenti correnti dall’1,7 al 10%. Se l’inflazione dei prezzi al consumo sembrava sostanzialmente sotto controllo, essendo stata sempre stata ampiamente al di sotto del 2% tranne nel 2004 e nel 2007, quando aveva registrato rispettivamente il 3,9 e il 4,8%, non può dirsi lo stesso per il settore delle costruzioni residenziali.
A Pechino, nel 2011 l’indice dei prezzi delle aree fabbricabili aveva raggiunto quota 900, rispetto alla base 100 del 2003; nella media delle prime 70 città cinesi, e fatto 100 il prezzo delle abitazioni nel 2000, l’indice era arrivato a quota 190 nel 2011, per stabilizzarsi fino agli inizi del 2013 quando ha registrato una nuova impennata portandosi a quota 200 per poi ridiscendere. Le più recenti statistiche, che considerano come base 100 i prezzi del 2010, indicano una significativa stazionarietà.
Nel frattempo, dal 2007, anche in Cina tutto è cambiato: rispetto ad allora, la crescita del pil si è andata dimezzando, visto che quest’anno dovrebbe arrivare al 6,7%. Il saldo estero si è ridotto a un terzo, arrivando appena al 3,2% del pil, pur essendo rimasto invariato in termini nominali, attorno ai 350 miliardi di dollari. Tutto dipende dal denominatore del rapporto, il pil cinese, che dal 2008 è infatti cresciuto di un altro 68% in termini reali. Il tasso di investimenti è aumentato ancora, arrivando al 45% del pil, così come il risparmio continua a essere sostenuto, sceso appena al 48,5%. I consumi interni delle famiglie sono passati dai 9.633 miliardi di yuan del 2007 ai 21.218 miliardi del 2013, più che raddoppiando, ma rimanendo comunque sostanzialmente in linea con l’andamento del pil nominale, stazionando tra il 36,2% del 2007 ed il 37,3% del 2013. Lo spostamento del baricentro della crescita verso i consumi interni è lungi dall’essere stato vigoroso.
I problemi più rilevanti dipendono quindi dalla rilevante accumulazione del risparmio a fini precauzionali e dalla correlativa gestione del credito. I depositi dei residenti, rilevati dal sistema ufficiale, sono passati dai 63 mila miliardi di yuan del 2011 ai 101 mila miliardi di yuan di fine 2014, con un incremento del 59,7%. Fra gennaio e maggio di quest’anno l’aumento è stato di altri 10 mila miliardi di yuan, pari a un ulteriore +6,9%. Considerando passività bancarie totali per 135 mila miliardi di yuan nel 2014 e un pil di 62 mila miliardi di yuan si palesa il carico straordinario che grava sul sistema bancario cinese, con un rapporto del 217%. In Italia, per fare un paragone, la raccolta bancaria complessiva (depositi e obbligazioni) arriva a malapena a eguagliare l’importo del pil. Si aggiunga la tendenza dei cinesi a depositare i risparmi presso istituzioni non riconosciute, il cosiddetto sistema di shadow banking: in via induttiva, visto che il risparmio viene stimato attorno al 50% del pil, nei soli anni compresi tra il 2011 e il 2014 si sarebbero accumulati oltre 111 mila miliardi di yuan, cifra ben superiore all’incremento di soli 40 mila miliardi dei depositi bancari nel medesimo periodo.
Ci sono tre aspetti da considerare: il livello dei tassi di interesse sui depositi rispetto all’inflazione dei prezzi al consumo, l’andamento dei prezzi degli immobili e quello dei valori azionari. I tassi di remunerazione dei depositi sono stati inferiori a quelli dell’inflazione sia nel 2010 che nel 2011, con un rendimento negativo dello 0,5% e dell’1,9%. La remunerazione del risparmio è tornata positiva nel 2012 con il +0,2%, nel 2013 con il +0,1% e nel 2014 con il +0,6%. L’aumento dei prezzi degli immobili registrato nel corso del 2013 ha vanificato la tendenza alla stazionarietà registrata nel biennio precedente. Sembra che vi sia stato una sorta di parallelismo tra l’andamento dei tassi reali sul risparmio bancario e quello dei prezzi degli immobili, come se si fosse creato un effetto ricchezza che si è immediatamente ripercosso sui valori immobiliari. Di converso, l’indice dei valori azionari ha avuto un andamento riflessivo in tutto il periodo che va dal 2010 a tutto il 2014: fatto 100 l’indice del 2010, era arrivato a 77,3 nel terzo trimestre del 2014, salvo cominciare una risalita che lo ha portato a 116,2 a gennaio scorso, per arrivare a 169 a giugno. È particolarmente curioso il fatto che la crescita dei valori di borsa a Shanghai sia avvenuta esattamente mentre cadeva il tasso di crescita del fatturato e dei profitti delle imprese cinesi. La crescita dei profitti è crollata dal +11,4%, accumulato nel periodo gennaio-giugno 2014, al -4,2% del primo bimestre del 2015, per tornare al -0,7% del semestre gennaio-giugno 2015. Nello stesso periodo l’incremento dei fatturati è passato dal +8,6% del primo semestre 2014 al +1,4% del primo semestre di quest’anno. Sembra quasi che un’intera classe imprenditoriale abbia cercato di reagire alla negativa congiuntura economica investendo in borsa. Un nuovo Eldorado, durato assai poco.
Oggi, la necessità di una crescita stabile dell’economia cinese non si pone tanto sul piano dell’occupazione e della stabilità sociale, quanto su quello della tenuta degli enormi affidamenti creditizi e del risparmio sociale sottostante. I cinesi hanno affidato la sicurezza del loro futuro al sistema bancario, accumulando risparmio a fini precauzionali non potendo contare sul welfare pubblico. C’è una forte analogia con l’America del primo dopoguerra, che dapprima si arricchì follemente con le esportazioni verso l’Europa e che poi dovette fare i conti con la debolezza di un Continente alle prese con la sistemazione di debiti colossali. La Fed inflazionò il credito all’economia americana per bilanciare il rallentamento delle importazioni europee, che si diresse alla speculazione di borsa: fu allora che gli americani guardarono a Wall Street come al nuovo Eldorado.
Ecco perché la Cina di Xi Jinping non ha alcun interesse a uno sgretolamento dell’Eurozona e guarda con enorme fastidio alla sola ipotesi della Grexit. La deflazione europea fa paura al mondo intero: siamo noi, ancora una volta, con i nostri debiti e l’incapacità di crescere, a minacciare la stabilità finanziaria globale. L’Europa non ha né la voglia né la forza di trainare la ripresa mondiale, ma il peso sì, per tirare tutti giù a fondo.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 1/8/2015