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 2015  agosto 01 Sabato calendario

Una Piazza Affari rinfrancata dopo i tremori di inizio estate ieri ha chiuso il mese di luglio in crescita, con un’eccezione cospicua: Trevi, una società di tecnologie e servizi di ingegneria per impianti di perforazione del suolo e di giacimenti di petrolio e gas, ha perso oltre il 14%

Una Piazza Affari rinfrancata dopo i tremori di inizio estate ieri ha chiuso il mese di luglio in crescita, con un’eccezione cospicua: Trevi, una società di tecnologie e servizi di ingegneria per impianti di perforazione del suolo e di giacimenti di petrolio e gas, ha perso oltre il 14%. Il crollo è partito a metà mattinata. Ad affondare il titolo è stato l’annuncio da parte della società che una commessa nel settore dell’energia comporterà costi supplementari di circa cento milioni, un colpo durissimo per un gruppo che in Borsa ne capitalizza meno di trecento. Per Trevi la sfiducia degli investitori di Piazza Affari non è una novità, perché questa impresa partita a Cesena nel 1957, sempre controllata dai Trevisani, la famiglia dei fondatori, ha già perso oltre un terzo del suo valore in sei mesi e oltre metà nell’ultimo anno. Quella di esattamente un anno fa del resto è una data particolare: a fine luglio del 2014 Trevi annunciava l’ingresso in forze nel proprio capitale del Fondo strategico italiano (Fsi), braccio operativo della Cassa depositi e prestiti (Cdp) per investimenti a sostegno di imprese nazionali «ad ampio potenziale di crescita» . Sulla carta Trevi è una di queste, se non altro perché il suo fatturato è quadruplicato a 1,2 miliardi di euro dall’inizio del secolo, lavora con tecnologie avanzate e oggi dà lavoro direttamente a 1.400 persone in Italia (più altre 2.500 nell’indotto). Eppure un’occhiata da vicino all’operazione voluta da Maurizio Tamagnini, l’amministratore delegato di Fsi, solleva più domande di quante non ne riesca a rispondere. L’operazione del veicolo di Cassa depositi è stata condotta con capitali privati — il risparmio delle famiglie versato agli uffici postali — ma è gestita da un veicolo la cui holding è controllata all’80% dal governo. E finora questa non si è dimostrata una buona operazione. Fsi ha impegnato 101 milioni di euro per comprare opzioni sul capitale di Trevi a un prezzo inutilmente elevato. A differenza di quanto avrebbe fatto un fondo privato in condizioni simili, non sembra praticamente intervenuto a incidere sulla gestione e ha lasciato alla famiglia il controllo e la prima linea del management. Oggi però Fsi siede su perdite di molte decine di milioni di euro, che promettono di crescere nei prossimi mesi. E soprattutto fatica a rispondere al dilemma che la nuova Cassa depositi e prestiti guidata da Claudio Costamagna e Fabio Gallia continuerà a trovarsi davanti in mille varianti diverse nei prossimi mesi: davvero era necessario che un fondo a controllo pubblico entrasse in un maturo gruppo di ingegneria civile a condizioni che un privato non si sarebbe mai sognato di accettare? Tutto inizia con l’impegno di Fsi a comprare dai Trevisani parte dei diritti in mano alla famiglia per la sottoscrizione di nuove azioni legate a un aumento di capitale da 200 milioni. Di questi 101 verranno dal Fondo strategico, il resto in gran parte dagli azionisti di minoranza. I Trevisani scendono al 32%, ma tengono il controllo. Il veicolo di Cassa depositi avrà il 16,8% e si impegna a comprare quei diritti a un prezzo determinato dall’andamento medio del titolo in autunno, poco sotto i 3 euro ad azione (oggi viaggia a 1,6). Fsi non aspetta che quei diritti vadano in negoziazione sul mercato, dove gli altri sottoscrittori strapperanno prezzi più abbordabili. Eppure l’analisi dei bilanci di Trevi avrebbe potuto ispirare maggiore cautela. La società nel 2014 era già gravata da circa 400 milioni di debiti. Quel che è peggio, opera in un settore che richiede pesanti investimenti a debito e il costo degli interessi da versare alle banche spesso eccede la redditività dei progetti. In più il settore del petrolio, che oggi vale circa un terzo ma in passato pesava per metà del giro di affari di Trevi, appariva già in frenata agli esperti quando Fsi firmò l’accordo. Ma per Costamagna e Gallia, questa vicenda contiene almeno qualcosa di utile: almeno, mostra alla Cdp del futuro ciò che è meglio evitare .