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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

Il bad boy che fece del tradimento una regola di vita– Alcibiade era di nobilissimi natali: da parte di padre apparteneva alla famiglia degli Eupatridi, da parte di madre a quella degli Alcmeonidi

Il bad boy che fece del tradimento una regola di vita– Alcibiade era di nobilissimi natali: da parte di padre apparteneva alla famiglia degli Eupatridi, da parte di madre a quella degli Alcmeonidi. E dato che quando suo padre morì, nel 447, venne sottoposto alla tutela di Pericle, si può ben dire che fosse scontato che egli avrebbe occupato un ruolo di rilievo nella vita di Atene. E in effetti lo occupò. Ma per ragioni legate al suo modo di essere e al suo comportamento a lui non accadde, come a tutti i politici, di essere sostenuto da una parte dei suoi concittadini e avversato da altri: a lui accadde di diventare l’uomo più amato e più odiato di Atene. A farlo amare erano le sue molte qualità: come scrive Plutarco in primo luogo la straordinaria bellezza, che lo accompagnò immutata in ogni periodo della vita. E quale fosse il ruolo nella cultura greca della bellezza è superfluo ricordare. In aggiunta Alcibiade era colto, intelligente e aveva doti di gran parlatore, legate oltre che alle doti innate alla sua frequentazione dei sofisti, che peraltro contribuì a farlo guardare con ostilità da una parte della città, secondo la quale questi avevano insegnato ai giovani a non credere più negli antichi valori. A rendere molto discusso il suo comportamento contribuivano le sue note ed esibite trasgressioni sessuali: come ben noto, ad Atene il rapporto tra un ragazzo e un amante adulto era culturalmente valutato in modo positivo, vista la sua funzione educativa: ma Alcibiade, ancora minorenne, di amanti non ne aveva uno solo, ne aveva diversi, e questo era assolutamente inaccettabile. E le trasgressioni non erano diminuite con l’età adulta. Le sue avventure di ogni genere erano tali che sua moglie, esasperata, un giorno aveva deciso di recarsi dall’arconte, il magistrato al quale le mogli dovevano fare richiesta di divorzio nel caso fossero loro a chiederlo (e non i mariti, come di regola accadeva). Senonché Alcibiade l’aveva intercettata e con l’abituale arroganza l’aveva costretta a tornare a casa. Contrario all’etica pubblica. E ciò premesso sul suo carattere veniamo alla sua vita politica, a cominciare dal momento in cui, nel 415 a.C., ebbe un ruolo determinante nella discussione sull’opportunità o meno di inviare una spedizione per sottomettere la Sicilia. Alcibiade, tra i fautori più accesi dell’impresa, infiammò i giovani, trascinandoli con sé con la sua eloquenza, e la spedizione partì. Ma durante il viaggio venne accusato di cospirazione contro la democrazia. Difficile dire se l’accusa fosse o meno fondata, quel che più importa è che Alcibiade si sottrasse all’arresto fuggendo a Sparta, dove divenne il più ascoltato consigliere del re Agide, al quale diede ottimi suggerimenti contro Atene (dove nel frattempo era stato condannato a morte). Fu, questo, il primo dei suoi tradimenti, al quale ben presto altri seguirono. Tissaferne, uno dei satrapi che governava per il Gran Re di Persia, aveva problemi con le città greche e le isole d’Asia Minore, che si rifiutavano di pagare i tributi che il re avrebbe voluto, e aveva chiesto e ottenuto aiuto a Sparta contro di loro. Senonché Alcibiade, partito per quella zona a capo delle navi spartane, si era comportato in modo da ingenerare sospetti sulla sua lealtà, e un giorno era arrivato in Ionia, da Sparta, l’ordine di sopprimerlo. Siamo arrivati al secondo tradimento: rifugiandosi da Tissaferne, Alcibiade riesce a sedurlo, diventando suo uomo di fiducia: ma di nuovo il suo comportamento è molto ambiguo. Abilmente fa balenare agli Ateniesi la possibilità di conquistare l’amicizia di Tissaferne, purché il governo democratico venga abbattuto, e nel 411 a.C. quel governo cade, sostituito da quello detto dei Quattrocento, peraltro destinato a brevissima vita. Ma Alcibiade non torna in patria subito, ci torna solo dopo la restaurazione della democrazia. Aveva forse intuito la debolezza del governo oligarchico? Come che sia quando torna ad Atene, dove è considerato l’ultima speranza, viene accolto come un trionfatore. Ed ecco un’altra svolta nella sua storia: nell’ottobre del 407, partito verso Oriente con l’intenzione di attaccare la Ionia, subisce poco a nord di Efeso una sconfitta che segna la sua perdita, e ad Atene la voce che la colpa della sconfitta sia sua si traduce in un’accusa formale. La storia si ripete: non può tornare in patria. Quando, nel 404 a.C., la guerra del Peloponneso finisce con la sconfitta di Atene, i Trenta Tiranni, che la governavano, decretano il suo esilio. Sperando nell’amicizia del satrapo Farnabaso, Alcibiade va in Bitinia, ma da Sparta con cui Farnabaso è alleato, giunge l’ordine di metterlo a morte. E Alcibiade muore in un borgo della Frigia, dove non si sa perché si era recato, e in circostanze non poco oscure. L’unica cosa che pare sicura è che la morte lo abbia colto in compagnia di una donna: l’ultima delle sue avventure amorose. Un uomo veramente incredibile. Senza entrare nel dibattito storiografico sul suo ruolo nella storia di Atene, riesce difficile capire i suoi rapporti emotivi con i suoi concittadini. O meglio, quello dei suoi concittadini con lui. In Grecia la sfera privata non era nettamente separata da quella pubblica: per ricoprire una carica pubblica bisognava superare un esame (dokimasia) che aveva luogo davanti al tribunale popolare dell’Eliea, al fine di consentire ai cittadini di valutare l’ethos, vale a dire il carattere del designato. E le domande che venivano poste in quell’occasione riguardavano anche la vita privata del candidato: ad esempio (oltre a quella «hai pagato le tasse»?) gli veniva chiesto anche il suo comportamento verso i genitori. Inoltre la legge prevedeva che chi teneva comportamenti sessuali riprovati (ad esempio, si prostituiva) perdeva il diritto alla parola pubblica. Come aveva stabilito Solone, infatti, «poiché l’uso pubblico della parola è il segno della cittadinanza bisogna esserne degni: e non ne sono degni coloro che, nel privato, tengono comportamenti contrari all’etica pubblica. Dunque non bisogna concedere la parola pubblica a chi è abile e capace nei discorsi, ma non nella vita». Alla luce di simili principi, come spiegare il fatto che ad Alcibiade venissero perdonati tanti comportamenti “indegni” sia nella sfera pubblica sia in quella privata? Viene da chiedersi se, per caso, non fossero proprio questi comportamenti quel che lo rendevano irresistibile e per cui, alla fine, tutto gli veniva perdonato. Indipendentemene da ogni giudizio storico sulle vicende di cui fu protagonista, si è tentati di pensare a lui come al capostipite dei bad boys. 5- continua © riproduzione riservata