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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

CAPELLI ROSSI

Dal 4 al 6 settembre si raduneranno a Breda, in Olanda, per il festival internazionale Redhead Days, decine di migliaia di persone accomunate da una particolarità fisica che da sempre travalica il freddo ambito dei geni per sconfinare nella fantasia, nella suggestione e nel pregiudizio, diventando simbolo di sensualità, temerarietà, indipendenza: i capelli rossi.
A ricostruire gli aspetti storici, scientifici e culturali di questo segno così visibile è un saggio, Red A History of the Redhead (Black Dog & Leventhal), pubblicato dalla scrittrice e storica dell’arte inglese Jacky Colliss Harvey. Anche lei parte di quel popolo dei capelli rossi che nel mondo reale è il 2 per cento della popolazione, ma nel mondo immaginario della pubblicità è molto più rappresentato, proprio per il suo fascino. «Uno studio del 2014 mostra che, negli spot pubblicitari americani, le persone con i capelli rossi sonol’11 per cento, oltre cinque volte la percentuale mondiale e più del doppio di quella americana» ci dice la studiosa. «Evidentemente il rosso, come richiamo, funziona. Forse per la sua rarità, come suggerisce uno studio pubblicato su Celi da neurobiologi dello University College di Londra nel 2006: siamo predisposti a reagire agli stimoli visivi insoliti con un comportamento esplorativo che ci rende più desiderosi di una gratificazione come quella del consumo».
È vero che i capelli rossi sono rari, ma non ovunque. In certe regioni nordeuropee sono decisamente più diffusi. «In Scozia ben il 13 per cento della popolazione ha i capelli rossi, in Irlanda il 10 e in Inghilterra il 6, così è piuttosto diffusa la credenza che questa caratteristica genetica sia endogena di quelle aree. La scienza invece dice tutta un’altra cosa» spiega Colliss Harvey. «La mutazione che è all’origine dei capelli rossi risale a circa 60 mila o 70 mila anni fa e si è verificata per la prima volta in Asia occidentale, come indica la genetista Alistair Moffat della St. Andrews University». Poi è arrivata in Europa insieme con le migrazioni dall’Est.
Ma in che cosa consiste questa mutazione e perché ha avuto tanto successo in quelle che oggi sono la Scozia, l’Irlanda e l’Inghilterra? «Nel nostro sedicesimo cromosoma abbiamo il gene Mclr (gene per il recettore della melanocortina 1) che codifica istruzioni per il funzionamento dei melanociti, le cellule della nostra pelle specializzate nel produrre melanina. La melanina ha due forme: l’eumelanina, pigmento che scurisce capelli e pelle e protegge dai raggi solari, e la feomelanina, pigmento che rende la pelle più chiara e i capelli rossicci. In chi ha il gene Mclr attivo, i melanociti producono quasi solo eumelanina: chi ha i capelli corvini ne produce di più (99 per cento eumelanina e 1 per cento feomelanina), chi ha i capelli castani o biondi ne produce un po’ meno (rispettivamente circa il 95 e il 5). Se invece il gene Mclr è inattivo, i melanociti producono molta più feomelanina: i capelli diventano rossi, la pelle più chiara, si è più esposti a scottature e si è anche più sensibili al dolore, perché il gene Mclr interferisce anche con la produzione di endorfine, i nostri anestetici naturali. Oggi alcuni medici danno il 20 per cento in più di anestetico locale a chi ha i capelli rossi».
Quello dei capelli rossi è un carattere recessivo, ossia si manifesta solo quando la mutazione che disattiva Mclr è presente in entrambi i geni che, ereditati dai due genitori, definiscono il colore dei capelli. Statisticamente questo è difficile: ecco perché i capelli rossi sono così rari. Tranne che nel Regno Unito, grazie a una particolare combinazione di storia, geografia e biochimica: «Sotto i cieli nuvolosi del Nord Europa, chi produce più feomelanina, ed ha quindi la pelle più chiara, è avvantaggiato, perché sintetizza più vitamina D degli altri. Questo significa avere ossa più forti e maggiori capacità di allattamento, quindi discendenti più sani» osserva Jacky Colliss Harvey. «D’altra parte, però, i capelli rossi, essendo legati a un gene recessivo, possono manifestarsi con una certa frequenza solo dove non c’è grande variabilità genetica. Le comunità umane che si stabilirono in Scozia, Irlanda, Inghilterra e Scandinavia e rimasero isolate per secoli furono il terreno di coltura ideale. Un’altra forma di protezione dei geni recessivi si ha laddove vige una forte tradizione di matrimoni tra membri dello stesso gruppo etnico: un esempio è il popolo ebraico, dove i rossi sono più frequenti della media mondiale».
Nelle comunità più aperte agli influssi esterni, dove è più raro e quindi segnale di diversità, il rosso diventa oggetto di attenzione, diffidenza e stereotipi. «I pregiudizi sono soprattutto due: gli uomini sono ritenuti più impulsivi e irascibili della media, e le donne più sensuali. Pregiudizi la cui origine è rintracciabile nella storia».
«Un popolo dove i capelli rossi erano frequenti era quello dei Traci, come racconta Erodoto. Per tutta l’antichità Traci è stato sinonimo di barbari: erano feroci guerrieri, che si rifiutavano di edificare città e preferivano vivere in gruppi tribali (cosa che favorì, tra l’altro, la manifestazione dei geni recessivi) in continua guerra tra loro e con chiunque li disturbasse» spiega la storica. «A differenza dei Greci, gli uomini traci non pretendevano fedeltà prematrimoniale dalle loro donne, cosa che portava alla nascita di molti figli illegittimi, poi venduti come schiavi. Nelle case degli ateniesi avere almeno uno schiavo trace era la norma. Così all’associazione mentale negativa tra “capelli rossi” e “barbaro impulsivo” si aggiunse anche l’etichetta dequalificante di “sottomesso”. Lo si vede nella commedia greca: il personaggio dello schiavo ha sempre una parrucca rossa o bionda, per sottolineare la sua diversità dal vero greco. Lo stesso Aristofane si fa interprete di questa forma di razzismo nelle Nuvole, dove il coro si lamenta di “stranieri e teste rosse” così abbondanti in Grecia. Un simile disprezzo si diffuse anche presso i Romani». E si alimentò, nei secoli, ogni volta che servì un «diverso» da additare come capro espiatorio.
«Sappiamo che durante l’Inquisizione spagnola chi aveva i capelli rossi era più facilmente sospettato di stregoneria, perché il colore rosso evocava il sangue, il fuoco e il diavolo. Anche altrove e in altri periodi fu così: per esempio nel 1887 il geografo francese Elisée Reclus riporta questa credenza popolare della Romania: “Se un deceduto ha i capelli rossi, allora tornerà sotto forma di cane, rana o pulce ed entrerà nelle case di notte per succhiare il sangue di giovani donne". D’altra parte il vampiro è per definizione pallido. Più concretamente, la carnagione chiara data dal gene Mclr era considerata in antichità indice del fatto che non si era lavorato sotto il sole, quindi di scarsa mascolinità. Per le donne invece era segno di preziosità, la carnagione chiara e i capelli rossi suggerivano uno stereotipo diverso: l’idea dell’harem». Suggestione che forse ha una radice evolutiva. «La feomelanina non pigmenta di rosso solo i capelli, ma anche quelle parti del corpo importanti per l’attrazione sessuale, come le labbra e i capezzoli. Potrebbe essere proprio la minore o maggiore quantità di stimoli visivi “rossi” che raggiungono chi guarda a smuovere l’immaginario sessuale: lo suggeriscono anche studi recenti che mostrano l’utilità, per sedurre, di vestirsi di rosso o di essere in un ambiente rosso». Insomma, ancora una volta, dove non arriva la natura, si può ricorrere alla cultura.