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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

DIO SALVI LA BBC

È la televisione pubblica più grande e migliore del mondo, riconoscibile dall’acronimo - Bbc - forse più noto dopo Usa. Il motto Inform, educate, entertain del suo fondatore Lord Reith, nel 1922, fa da eco novecentesca al Liberté, égalité, fraternité francese rivoluzionario: un modello all’epoca in cui la televisione pubblica informando formava, e di cui è inutile avere nostalgia. Ma le notizie, i reportage esclusivi, i documentari esemplari ne fanno ancora il gold standard della teleprofessionalità, una bussola per tutti i giornalisti del globo. E tutto senza pubblicità.
Prendiamo “Bbc News 24”, il canale di notizie. La dizione, l’equilibrio, i tempi, la fluidità: puro classicismo istituzionale. Un po’ “beige” e paludato, certo, ma del tutto privo dell’alone acceso e plastificato da televendita così tipico della concorrenza. Quanto alla sua vagheggiata obiettività: la Bbc incarna l’eterno centrismo governativo senza essere brutalmente asservita a quest’ultimo, com’è sempre stato la norma in luoghi a noi familiari. Il suo organismo di controllo, il Bbc Trust, attualmente presieduto da Rona Fairhead, la mette relativamente al riparo dalla longa manus governativa. I suoi conti sono consultabili online da chiunque.
Ma nell’era della broadband ubiqua e perenne è la televisione stessa come medium a scivolare verso una deriva anagrafica: tanto che rischia di ritrovarsi presto con un pubblico coetaneo degli abbonati a Santa Cecilia. L’on demand, la fruizione digitale quando e dove vuoi offerta dai vari Google, Netflix, Apple, è il nuovo verbo. Ed è difficile pretendere il pagamento di un canone solido per un prodotto ormai liquido. Ci sono poi problemi di stazza e costi. Vent’anni fa la Bbc aveva due canali televisivi e cinque radiofonici; oggi sono nove i televisivi, dieci i canali radio, più la vasta presenza online. Una superfetazione. Il canone è alto, 145 sterline (anche se congelato dal 2010), la burocrazia espansa, alcuni programmi si sovrappongono. Certe sue star sono strapagate, e fanno gaffe. La vicenda di Jimmy Savile (star di radio e tv, scomparso nel 2011, colpevole di centinaia di abusi sesuali) è stata uno shock collettivo intergenerazionale. Tre direttori generali si sono susseguiti in breve tempo. Insomma, motivi congiunturali per rivedere certe questioni non mancano.
650 MILIONI IN MENO
L’attuale statuto della Bbc, negoziato ogni dieci anni con il governo in carica, scade alla fine del 2016. Va dunque ridiscusso. Ed è stato il neo ministro della Cultura nel governo monocolore Tory, John Whittingdale, ad aver sparato la prima salva, definendo il canone un balzello peggiore dell’odiata poll tax. Per poi pubblicare il cosiddetto “Green paper”, 88 pagine di documento di revisione complessiva dell’organizzazione, redatto da una commissione che annovera soprattutto esperti - privati - del settore. Raccomanda di eliminare presto il canone, sostituirlo con alternative modalità di pagamento e d’introdurre un paywall per i contenuti online. Si dovrebbe poi depenalizzare già ora chi il canone non lo paga (la morosità è fonte d’innumerevoli aneddoti divertenti), smetterla di inseguire pubblico pagando le sue star cifre indecenti e lasciare il settore dell’intrattenimento del tutto in mani private, dunque misteriosamente somiglianti a quelle di chi siede nella commissione stessa. Il documento mette poi in dubbio che il servizio pubblico debba continuare a fornire programmi e servizi per tutti i tipi di pubblico, suggerendo di orientarlo invece verso gli abbonati trascurati dal palinsesto.
L’azienda ha risposto con una prevedibile levata di scudi. Il documento danneggerebbe la Bbc e, indirettamente, la Gran Bretagna. Stessa cosa ha fatto il Labour. Tony Hall, il direttore generale, ha detto che presenterà tra due mesi le sue controproposte. Fior di star si sono mobilitate a difesa della venerabile auntie (zietta): tra gli altri, Daniel Craig, Judi Dench, J.K. Rowling e David Attenborough hanno scritto a David Cameron che questa riforma diminuirà il prestigio internazionale del paese.
Ma ormai la bordata quasi fatale è stata vibrata: l’organizzazione si è dovuta piegare a un enorme taglio al budget, 650 milioni di sterline, persi nella recente finanziaria per via del canone gratis concesso alla sempre crescente coorte di over 75enni. Finora quei soldi ce li metteva lo stato, a sua volta vittima del furore di Cameron e del cancelliere Osborne, samurai che tagliano tutto ciò che gli si muove attorno. Dovrà ora trovarli la televisione pubblica risparmiando, licenziando e abbassando la qualità dei programmi, adattandosi a quello che è diventato il coercitivo mantra di quasi tutte le maggioranze governative europee post-2008: «fare di più con meno».
BATTAGLIA IDEOLOGICA
Alle cause economiche congiunturali se ne sommano altre, squisitamente ideologiche. La corporation non rispecchia per nulla la cultura dell’attuale maggioranza conservatrice di governo, alleata del suo principale concorrente privato - la News Corp di Rupert Murdoch - grazie ai cui giornali ha vinto le elezioni e che è lanciata al galoppo nello spaghetti western di un mercato sempre più sregolato. Gli ultrà conservatori hanno sempre visto nella Tv di stato un golem della società burocratizzata, sprecone, pieno di cariche inutili e spesso inventate solo nel nome di pari opportunità, nato per soffocare gli spiriti animali del mercato dell’informazione in un periodo d’inarrestabile e frenetica metamorfosi di quest’ultimo. Un po’ come uno di quei panda che la Cina mantiene a un budget che permetterebbe di evitare l’estinzione di svariate altre specie. Anche Murdoch detesta la Bbc, e per una ragione più stringente: è un intruso nel settore dell’intrattenimento, che i suoi format clonabili colonizzerebbero altrimenti del tutto, com’è successo con i diritti sportivi. Lo show “The Voice”, per esempio, che il “Green paper” suggerisce di eliminare, è diretto concorrente dell’ “X Factor” di Sky: con immeritato denaro pubblico, la Tv di stato si ostina spesso a fare meglio di quanto non riesca al privato. E se la Bbc incarna l’ultimo baluardo del keynesismo del dopoguerra, è facile vedere negli attacchi di News Corp il magistero del suo acerrimo rivale Friedrich Hayek, l’economista della scuola austriaca e padrino del liberalismo classico.
C’è poi un problema più strettamente socioculturale. Se nella - preponderante - stampa Tory, (“Telegraph”, “Times”, “Mail”, “Sun”, “Express”, “Spectator”), gli attacchi al servizio pubblico si susseguono da anni, è anche perché nella Bbc ci sono meno privilegiati, che invece abbondano in questa generazione di dirigenti del partito di maggioranza, super-ricchi e con alle spalle la dura trafila Eton-Oxbridge. Costoro mal sopportano che nella televisione pubblica resista ancora il consenso nazionale del dopoguerra sul contenimento delle carriere dei “predestinati” e sul sostegno a quelle dei pazienti e volitivi meritocrati (piccolo-) borghesi, che comunque - nonostante tutto - rappresentano ancora la maggioranza di chi ci lavora. La vedono come lo stendardo di quella società pluralista e multiculturale che detestano. E molti, in questa maggioranza, considerano i canali news come un pericoloso megafono della sinistra. Il fatto che Bbc World Service abbia una redazione tradizionalmente popolata di lefties, non le impedisce certo di essere una riserva di ossigeno democratico per individui oppressi da regimi totalitari, anzi: un po’ com’era Radio Londra nell’Europa della guerra, con la non sottile differenza che oggi questi regimi sono spesso alleati del governo.
La Gran Bretagna è un paese che ha fatto della perennità di certe sue tradizioni un fattore identitario imprescindibile. E la Bbc è tra i fondamenti dell’altrimenti assai sfuggente quintessenza della Britishness, la calce che ne tiene insieme i mille tasselli. Nel suo compromesso fra pragmatismo anglosassone e idealismo continentale ha trovato una terza via fra la smaccata propaganda filogovernativa di certe Tv pubbliche e gli erogatori di sottocultura che sono spesso quelle private. La revisione del suo principio di universalità segna non solo un punto di non ritorno verso il superamento del ruolo economico dello stato nazionale della fine del Novecento: potrebbe alterare sensibilmente i caratteri di un paese sempre più lontano da Calais.