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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

PARMA LA TRAVIATA

Non c’è nulla di semplice a Parma. Anche un concerto estivo di Renzo Arbore in piazza Duomo, annullato dal Comune per una serie di manchevolezze tecniche con i biglietti venduti e il pubblico già seduto, è l’occasione di polemiche feroci. Idem per i viaggi del sindaco Federico Pizzarotti in Giappone (cinque giorni) o negli Stati Uniti (tre settimane). Idem per la programmazione del teatro Regio, per i debiti del Comune, per il fallimento della squadra di calcio, per il crollo della Parmacotto della famiglia Rosi, per l’inceneritore, per la raccolta differenziata, per la nuova stazione ferroviaria, per la crisi dell’aeroporto Giuseppe Verdi, salvato in extremis dalla chiusura a giugno, e per i risparmi sul welfare. «I cittadini si lamentano delle stesse cose con tutti i sindaci del mondo. Quello che manca in Italia è la speranza», sostiene Pizzarotti.
In effetti, la speranza è tutto ciò che resta con un debito di partenza, fra Comune e una trentina di partecipate, di 870 milioni di euro che si stenta a ridurre. La classe politica responsabile di questo disastro, a partire dall’ultimo sindaco Pdl Pietro Vignali, è finita in blocco sotto processo. Molti ne sono usciti patteggiando: un anno e nove mesi, un anno e dieci mesi, un anno e undici mesi. Sopra i due anni, la pena che porta in carcere, da queste parti ci è finito soltanto Calisto Tanzi per la bancarotta della Parmalat.
Quello che è successo in una zona fra le più ricche d’Italia dall’inizio del terzo millennio è persino difficile da immaginare. Prima con lo scomparso Elvio Ubaldi e poi soprattutto con Vignali, il Comune ha prodotto progetti faraonici affidati a società di diritto privato controllate dall’azionista-cittadino ma gestite in totale autonomia dai manager scelti dai politici. Queste società sono state usate, nelle parole di Pizzarotti, «come bancomat dalle scorse amministrazioni». Nella città di Maria Luigia d’Austria non si sono fatti mancare niente, dalle inaugurazioni del festival verdiano rallegrate da Sara Tommasi e Nadia Macrì ai soldi buttati in consulenti d’immagine come Sergio Mariotti, in arte Klaus Davi. Immobiliaristi d’assalto hanno venduto a prezzi d’oro prati fuori mano nella prospettiva di triplicare i 100 mila residenti di Parma e portare nel cuore dell’Emilia il modello Dubai, con tanto di presunto sceicco (tal Shurooq) interessato a produrre prosciutti islamicamente corretti.
In queste condizioni, era quasi inevitabile che Pizzarotti fosse il primo grillino a conquistare una città importante. È successo alle elezioni del 2012 dopo una fase di commissariamento sotto la guida dei prefetti Annamaria Cancellieri, poi ministro, e Mario Ciclosi.
In una città dove niente è semplice, è logico che anche il sindaco sia una figura complicata. Tre anni dopo il trionfo elettorale, il gelo fra l’amministratore pentastellato e la diarchia Grillo-Casaleggio è polare (intervista a pagina 24). Bisogna dire che Pizzarotti, 43° nella lista di gradimento dei sindaci pubblicata dal Sole 24 ore, regge la barra con un manuale di navigazione sui generis, non troppo in linea con il dettato del Movimento.
I tagli al welfare saranno forse imposti dalla situazione debitoria ma sono poco in linea con la propaganda grillina e sono stati presi come uno schiaffo ai cittadini più in difficoltà. Il sindaco ci tiene ad annunciare sgravi imminenti per 3,5 milioni di euro da distribuire fra le famiglie numerose, fra quelle sotto i 7500 euro di reddito Isee e fra chi è stato colpito dall’alluvione del torrente Parma, uscito dagli argini nell’ottobre dell’anno scorso e ridotto in secca dal caldo infernale di luglio.
A Pizzarotti si rimprovera tutto e il suo contrario. È accusato di essere ambiguo con l’inceneritore e di volerne aumentare la produttività, ma anche di spendere troppo con una differenziata a livelli di record nazionale (70 per cento) che molti cittadini tollerano male perché la raccolta porta a porta li obbliga a un calendario ferreo. Chi salta l’appuntamento deve aspettare per giorni il giro successivo.
Si rinfaccia a Pizzarotti di andare troppo d’accordo con l’Unione parmense degli industriali, l’ancora potente Upi proprietaria della Gazzetta di Parma, e di non fare abbastanza per aiutare i lavoratori coinvolti dalla crisi della Parmacotto di Marco Rosi e figli.
Soprattutto non è andato giù il patto sui servizi all’infanzia con Antonio Costantino, presidente della grande rete cooperativa Gesin-Proges, che riunisce 27 società per oltre 220 milioni di euro di ricavi aggregati. Costantino ha voce in capitolo nell’informazione locale con il sito Parmadaily e prima ancora con il settimanale il Nuovo di Parma, finanziato insieme a Gian Paolo Dallara (vetture da competizione). Il presidente di Proges era già in joint-venture e in ottimi rapporti con il Comune berlusconista guidato da Vignali, messo agli arresti nel gennaio 2013 e anch’egli in cerca di un patteggiamento sul quale si deciderà entro settembre.
Invece di internalizzare almeno una delle due società, come da promessa programmatica, Pizzarotti ha rovesciato il rapporto azionario con Proges salendo dal 49 al 51 per cento. In questo modo ha portato nell’area di consolidamento del bilancio comunale Parma06 e Parma Infanzia mantenendo la gestione in mano al socio privato. Non proprio l’ortodossia grillina. Paradossalmente va meglio con gli esponenti nazionali dei democratici.
Mentre in consiglio comunale il sindaco litiga con una parte del Pd, strizza l’occhio al renzismo. A scontentare il vertice dei Cinque stelle è in particolare il rapporto cordiale fra il primo cittadino e due politici emiliani di peso: il governatore dell’Emilia Romagna, il modenese Stefanno Bonaccini, e il ministro reggiano Graziano Delrio. Quando la giunta ha traballato, è stato il Pd a tenerla in piedi o, quanto meno, a risparmiare il colpo di grazia. E l’ultimo atto di Delrio alla guida dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, è stato nominare Pizzarotti all’ufficio di presidenza. Un segno di stima che, per alcuni, potrebbe preludere a un trasferimento dell’esponente grillino sulla sponda democrat alla fine del suo mandato.
Mancano ancora due anni, però, e ci sono traguardi importanti da raggiungere. Il principale obiettivo che il sindaco ha posto alla sua amministrazione è la riduzione del debito. Adesso siamo al 40 per cento. Un anno e mezzo fa è stata annunciata la cancellazione dell’intera somma entro il 2018.
Non è realistico pensare che accada. Anzi Nicola Dall’Olio, capogruppo dei democratici in Comune, sottolinea come anche il 40 per cento di riduzione sia stato ottenuto essenzialmente con la svendita della società di trasformazione urbana (Stu) Pasubio da parte del prefetto Ciclosi, successore della Cancellieri.
«E poi c’è il fallimento di un’altra spa controllata del Comune, la Spip», prosegue Dall’Olio, «che ha cancellato quasi 100 milioni di euro di debiti ma ha anche eliminato una quota di patrimonio dal bilancio».
La Spip è uno dei capitoli del romanzo criminale alla parmigiana di cui ancora narrano le cronache giudiziarie, con le indagini per bancarotta fraudolenta chiuse dieci giorni fa per malversazioni raccontate da l’Espresso cinque anni fa.
La Spip, controllata dalla holding comunale Stt, è stata tenuta in vita con le lettere di patronage che il Comune firmava e ha ottenuto 140 milioni di euro di finanziamento da istituti grandi (Unicredit) e piccoli (Passadore). Il saldo debitorio finale è stato di 44 milioni di euro al netto di quanto incassato dalla cessione degli attivi.
Non sarà soltanto il Comune a rimetterci. Parteciperanno alle spese anche i creditori, banche in testa. Ma i finanziatori, inconsapevoli di consulenze pazze e plusvalenze immobiliari chiuse con triangolazioni a distanza di poche ore, pretendono di avere qualcosa dell’unico vero gioiello rimasto a Pizzarotti. Sono i 78 milioni di azioni dell’Iren, la multiutility di cui il Comune emiliano possiede poco meno del 7 per cento, pari a circa 100 milioni di euro alle quotazioni attuali (1,3 euro). Pizzarotti sottolinea che è stato un errore tragico del centrodestra conferirle alle spa controllate, che potevano fallire. Ma ora si tratta di contenere il danno e mollare qualche uovo senza perdere la gallina. Approfittando del fatto che anche il Comune di Torino ha bisogno di fare cassa con la sua partecipazione in Iren, Parma venderà il 2 per cento. In questo modo dovrebbero arrivare in cassa una trentina di milioni che serviranno a rabbonire le banche già impiombate da un decennio di disastri, dalla Parmalat alla Guru di Matteo Cambi.
Dei due istituti locali, la Cassa di risparmio di Parma è stata rilevata dai francesi di Crédit Agricole. La Banca del Monte, fondata nel 1488 dal francescano Bernardino da Feltre, è stata incorporata dal gruppo Intesa San Paolo. Per chiudere in bellezza oltre 500 anni di storia, dopo i guai con la Parmalat sotto la gestione di Franco Gorreri, il Monte risulta azionista con il 4,2 per cento della Eventi sportivi. È la holding bresciana dell’ex presidente del Parma Tommaso Ghirardi, formidabile autore di 1382 (diconsi milletrecentottantadue) compravendite di giocatori in sette anni (2007-2015), secondo i calcoli del sito Wired. Eventi sportivi controlla il Parma calcio e rischia di subire il contraccolpo del dissesto finanziario del club.
Anche l’amministrazione pubblica si lecca le ferite della gestione Ghirardi, che è costata al Comune 2 milioni di euro equivalenti a un anno di risparmi da costi della politica (10 milioni di euro complessivi nel quinquennio). In aggiunta a un danno monetario di cui non si sentiva il bisogno, la città ha accettato molto male il crollo diretto dalla serie A alla serie D. L’ultima fase ha visto avventurieri di ogni categoria, con in testa Giampietro Manenti arrestato lo scorso marzo, presentarsi come i salvatori del club portato alla fama mondiale dal ragionier Tanzi, anche se questo si tende a metterlo in secondo piano.
Svanita la speranza di iscriversi alla serie B, che il sindaco ha esplorato fino alla fine a costo di confrontarsi con i truffatori, si lavora sul progetto serie D. Nemmeno la discesa fra i dilettanti ha spento le polemiche, con lo scontro fra la cordata Parma 1913 e la cordata Magico Parma di Giuseppe Corrado, presidente della catena di multisale The space cinema.
La vittoria finale è andata a Parma 1913, iscritto al campionato lunedì 27 luglio. Il nuovo club ha impostato un progetto che punta sul vivaio e sui giovani locali ma anche su un azionariato diffuso dove sono presenti alcuni grandi nomi dell’imprenditoria parmigiana: oltre a Dallara, Guido Barilla, i costruttori Pizzarotti e Mauro Del Rio, fondatore di buongiorno.it, società di servizi per la telefonia.
È un progetto innovativo, di applicazione relativamente facile nelle serie minori. Pizzarotti, che è in buoni rapporti con i Barilla, afferma che Parma 1913 è in linea con la sua «scala valoriale». Il sindaco si professa «non tifoso di calcio» ma ha dovuto prendere atto che la crisi della squadra ha portato in città i giornalisti di Cnn e al Jazeera. Aggiunge che «c’è un club di 3 mila tifosi del Parma nelle Filippine». Ma il loro consenso è accademico visto che non votano alle elezioni. Da qui a due anni il sindaco più inclassificabile d’Italia dovrà trovarsi un sostegno più concreto, se vuole continuare in politica.