Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 31 Venerdì calendario

CRISTIANI PERSEGUITATI, PIU’ DI CENTO MILIONI CHE LOTTANO PER LA FEDE – 

Testimonianze di fede e di persecuzione, storie di «vasi di coccio che custodiscono un tesoro»: cita S. Paolo la Caritas Italia, e dà un’idea efficace del contenuto del dossier diffuso ieri sulle minoranze religiose vittime di discriminazioni e violenze.
«Perseguitati» è l’eloquente titolo del documento che non si ferma al martirio dei cristiani, ma dà voce a tutti i testimoni che lottano per la loro fede, e ai membri di un’etnia diversa o semplicemente non funzionale al regime di turno. I cristiani restano la minoranza più avversata: 100 milioni quelli perseguitati in tutto il mondo, tra i 50 e i 70mila solo nei campi di detenzione nordcoreani. È al regime di Pyonyang che spetta il triste primato dei Paesi dove la violenza contro i cristiani è più «intensa», almeno secondo la World watch list stilata da Open doors (organizzazione internazionale che si occupa di persecuzione ai cristiani). Ma la situazione non è migliore in Somalia (secondo posto), o in Iraq, Siria e Afghanistan. Sempre secondo Open doors, tra il novembre 2013 e l’ottobre 2014, i cristiani uccisi per ragioni «strettamente legate alla loro fede» sono stati 4.344. E sono state 1.062 le chiese attaccate. Il fondamentalismo islamico è tra le prime cause di violenza, ma la fede non è l’unico motivo di persecuzione. Spesso i cristiani appartengono a minoranze etniche – come nel caso dei gruppi Chin e Karen in Birmania, considerati dissidenti dal regime. A volte poi “cristiano” è sinonimo di “occidentale”, il che offre ai nemici del “Grande Satana” un obiettivo «a chilometro zero» – come si legge nel rapporto –: un bersaglio che non richiede un viaggio o un’azione eclatante per la sua distruzione, ma la cui eliminazione sortisce comunque l’effetto sperato.
Certo l’Is entra prepotentemente nelle dinamiche di persecuzione ai danni dei cristiani e non solo (si pensi agli sciiti e agli alauiti siriani), e il caso di Mosul e della Piana di Ninive, in Iraq, è emblematico. Da qui sono fuggiti in pochi mesi 1,3 milioni di persone (di cui 130mila cristiani), che hanno trovato rifugio in Kurdistan. Tra questi c’è anche Kharya Yossuf Abood, 55 anni. La sua è solo una delle tante testimonianze raccolte nel dossier. Fuggita da Mosul prima ancora che la città venisse presa dall’Is, si è rifugiata nel villaggio di Hamadania. Ma solo per scappare nuovamente, questa volta a Erbil, dopo dieci giorni di prigionia e vessazioni da parte dell’esercito di al-Bagdadi.
Ma è in Siria che l’Is mostra il suo lato più violento. Qui alla persecuzione contro i cristiani si somma la discriminazione degli sciiti, degli alauiti, dei curdi e dei palestinesi, oppositori politici prima ancora che confessionali. Secondo il rapporto, il Paese risulta al primo posto della lista di luoghi con il più alto numero di persecuzioni. Il documento segnala peraltro che anche prima dell’avvento dello Stato islamico l’identità cristiana in Siria si qualificava come una fragile appartenenza politico-sociale in un quadro dominato dal regime da una parte e dai gruppi armati rivoluzionari
L’estremismo islamico è tra le prime cause di violenza. Ma le prepotenze sono spesso motivate anche da precisi interessi politici ed egemonici dall’altra. Non sfugge all’analisi neanche l’Europa. Secondo il rapporto, Paesi tradizionalmente tolleranti come Francia, Norvegia, Danimarca, Svezia o Regno Unito registrano un andamento «preoccupante e in peggioramento» del grado di violazione della libertà di pensiero e confessione. Il caso francese, in particolare, è oggetto di un approfondimento: dalle rivolte delle Banlieue del 2005 fino all’attacco contro la redazione di Charlie Ebdo, in gennaio.
In questo quadro continua l’impegno di Caritas Italiana.
«La Chiesa locale si è subito mobilitata dando accoglienza nei cortili, nelle chiese e in ogni spazio disponibile», sottolinea il direttore dell’ente, don Francesco Soddu, che insieme al Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, lo scorso ottobre ha visitato i campi profughi a Erbil. Dopo la missione, l’attenzione si è concentrata sui progetti di assistenza nelle diocesi di Erbil e Dohuk, con un programma di gemellaggi per oltre un milione di euro a favore di 13mila famiglie di cristiani e della minoranza degli yazidi. Dal 2003 a oggi, il sostegno economico di Caritas Italiana ai progetti di Caritas Iraq e della rete delle organizzazioni collegate alla Chiesa locale è stato di 3,3 milioni di euro.