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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

MILANO, IN GIUNTA SI ACCAPIGLIANO

[Intervista ad Ada Lucia De Cesaris] –
L’hanno descritta come «l’avvocato di ferro», come donna dal carattere difficile, Ada Lucia De Cesaris, 55 anni, milanese cresciuta a Roma, dove si è formata con Sabino Cassese. Al telefono, ancora a Milano prima di andare in vacanza, è invece cortese e disponibile a parlare, senza ritrosie, delle vicende che l’hanno spinta a dimettersi da Palazzo Marino, dov’era vicesindaco, e dove ha tenuto deleghe delicatissime, come l’urbanistica.
Domanda. De Cesaris, è passato un po’ di tempo. Le cautele del giorno dopo possono essere accantonate. Ci racconta com’è andata davvero? Molti hanno giocato un po’ con l’area per cani nel parco, a cui lei era contraria. Ma c’è dell’altro, immagino.
Risposta. Guardi che la decisione, che ha avuto il suo elemento scatenante nel fatto che molti hanno raccontato, è stata tutt’altro che impulsiva, anzi molto ponderata.
D. E dunque perché si è dimessa?
R. Perché ho pensato che fossero venute meno, in generale, le condizioni di condivisione per scelte importanti da prendere. Con un convincimento del genere, fare un passo indietro era nell’interesse stesso dell’amministrazione, a quel punto. Vede, in giunta, c’eravamo dati una modalità precisa.
D. Vale a dire?
R. Quello degli obiettivi condivisi, per cui, in presenza di dissenso, si discuteva, si andava a fondo dei problemi e, poi, si trovava comunque la sintonia necessaria. E questa modalità è venuta meno.
D. Le era già capitato di non essere troppo d’accordo, come sulla linea del metro M4.
R. È vero e ho votato quella delibera, perché Giuliano Pisapia mi chiese di farlo. E poi comunque, non votarla avrebbe comportato assumersi responsabilità politiche evidenti.
D. Cosa non la convinceva?
R. Non l’opera in sé, figurarsi, che giudico essenziale. C’erano però aspetti che andavano approfonditi maggiormente, come la ricaduta finanziaria sul Comune, e quindi sui cittadini, negli anni a venire; c’era la necessità di prevedere, già allora, che l’impatto del cantiere sui territori avrebbe creato qualche problema, e attrezzarsi da subito. Però mi faccia dire una cosa.
D. Prego.
R. Pierfrancesco Maran, l’assessore ai trasporti (del Pd, ndr), sta facendo in questo senso, tutto il possibile e anche di più: da quanto l’opera è partita, s’è speso moltissimo in quei quartieri. Anzi, se c’è un assessore bravo è lui. Forse andava approfondita meglio la delibera.
D. Ma allora, quella modalità di discussione fra voi, in giunta e in maggioranza, quando è venuta meno? Quando il clima ha cominciato a cambiare?
R. Beh, molto è mutato quando il sindaco ha deciso di dire, in modo anticipato, troppo anticipato a mio avviso, che non si sarebbe ricandidato.
D. Cosa ha comportato?
R. Che ha fatto venire meno la coesione e la capacità di condivisione. Hanno cominciato a essere esaltate le nostre diversità e gli interessi individuali, è mancata la nostra capacità di lavorare in sintonia.
D. Che la famosa area cani nel Parco Trapezio ha esemplificato.
R. Se vuole.
D. Spieghiamolo bene.
R. Dunque la politica è sempre stata negoziazione, non lo scopro certo io, però abbiamo sempre detto, in questi anni di governo, che ci sono princìpi non negoziabili.
D. Ossia?
R. I patti coi cittadini e con il territorio si rispettano e non sono oggetto di baratto. A S. Giulia (quartiere a sud-est di Milano, zona Rogoredo, vicino a San Donato Milanese, ndr) ne avevamo ne avevamo fatto uno: i cittadini avevano sopportato tutto, prima il sequestro (si era scoperto che l’area non era stata bonificata, ndr), poi gli interventi ulteriori, ma in un accordo preciso e quel parco l’avevamo riprogettato proprio coi cittadini.
D. Ma non erano dei residenti a volere l’area cani?
R. Una minoranza, messa su, inzigata si dice a Milano, da politici di destra che vogliono rientrare in quel quartiere, dopo esserne stati fuori, per l’evidente motivo che tutto il disastro che si è prodotto lì, è accaduto negli anni del centrodestra. Oltretutto l’area cani c’era già, a pochi metri da lì, e il parco è manutenuto dal privato, quindi perché il Comune avrebbe dovuto spenderci 20mila euro? Ma, se vuole, non era neppure quello il punto.
D. E qual era?
R. Che altri, in maggioranza, avevano stretto un accordo per approvare l’emendamento che ci impegnava a fare un’altra area cani. Questo senza neppure informare la sottoscritta, la quale, peraltro, aveva chiesto solo del tempo per studiare la situazione, sempre perché i patti con i cittadini e il territorio vanno rispettati. Tempo negato. Mi pare di aver dovuto trarre delle conclusioni. Non le pare?
D. Ha ragione. Peraltro 20mila euro non sono pochi.
R. Scherza? A Lambrate, dove avevamo un progetto di riuso di una piazza, avrebbero fatto comodo. O al quartiere QT8, dove stiamo cercando di riaprire il mercato.
D. Se Pisapia non avesse annunciato la sua non ricandidatura con questo largo anticipo, una cosa del genere non sarebbe capitata?
R. Se fosse rimasta la sua regia, il coordinamento che ha sempre garantito, no, credo che non si sarebbe creata una situazione simile.
D. Però anche altre situazioni urbanistiche cittadine, l’hanno fatta arrabbiare. Penso al Giardino dei Giusti, nel già citato QT8: dove un comitato si oppone.
R. Quella storia mostra come ci voglia più coraggio. Una volta che la Sovrintendenza ha dichiarato che non c’è impatto delle opere, quella che è un’idea nata dal cuore e dai valori profondi dell’amministrazione stessa, si difende e si fa.
D. Perché coi cittadini si discute, ma non all’infinito...
R. Coi cittadini il patto deve essere chiaro: spiegare, discutere, confrontarsi ma poi le decisioni si prendono. E si gestiscono anche le reazioni, ovviamente.
D. Come sulla Darsena, quando volevano farvi tenere lì le macerie perché, nel frattempo, c’era nata sopra la vegetazione e s’erano insediate svariate specie di uccelli.
R. Ricordo bene quella sera: un’assemblea al freddo, con alcuni che ci insultavano. Dissi chiaramente che saremmo andati avanti e la Darsena oggi è sotto gli occhi di tutti: splendida.
D. Bisogna saper dire dei no ai comitati del no.
R. Sa, qui si dice di no a tutto, a prescindere. Ascoltiamo le ragioni di molti, ma non possiamo farci fermare dalla dittatura di alcuni pochi. Sulla M4, con tutto che le ho detto prima le mie perplessità, alcune proteste rasentano la violenza. Ricordo anche il quartiere Adriano.
D. Una sua battaglia.
R. Per il cui risanamento il Comune s’è spinto anche oltre quello che le amministrazioni fanno di solito: ha persino escusso fidejussioni presso terzi. Eppure ci insultavano, ci dicevano che intanto occupavano le case, che era uno schifo, un degrado.
D. E lei?
R. Io facevo sgomberare ogni settimana, con la polizia locale. Ora quell’area non è più la steppa di una volta, e se ci va, vedrà marciapiedi, aree verdi, certo c’è ancora molto da fare. Le cose però possono cambiare, quando un’amministrazione ci crede fino in fondo.
D. Lei s’è occupata anche della Galleria, uno dei meriti che molti ascrivono a questa giunta, restaurata e messa a profitto, perché molti canoni che venivano pagati al Comune, prima, erano risibili.
R. C’ho messo tutta la mia competenza professionale ed ero fermamente convinta della necessità di restaurare uno dei luoghi simbolo di Milano.
D. Vi hanno attaccato per il ruolo dei privati.
R. Credo fermamente nella collaborazione fra pubblico e privato. Anzi sono convinta che il privato possa spingere il pubblico a far bene il pubblico. Purché sia tutto nella necessaria trasparenza. Sono orgogliosa di quell’operazione, che registrò, in maggioranza, attacchi anche pesanti.
D. Rimpiange di non aver potuto chiudere la vicenda Leoncavallo: con un accordo che concedeva alla proprietà, la famiglia Cabassi, analoghe volumetrie del patrimonio comunale in un’altra parte della città?
R. È stata una miopia. Due quartieri aspettavano una soluzione per uscire dal degrado. Dopo tanti anni, quello spazio poteva essere gestito in modo sociale, ma secondo le regole, nella pulizia o, banalmente, nel rispetto dei decibel emessi durante i concerti.
D. E invece?
R. Invece in maggioranza si è preferito pensare che sia un affare tra privati, la proprietà e il centro sociale, e che se ne debbano occupare loro. Miopia pura.
D. Col Pd come finisce?
R. In che senso?
D. Nel senso che, secondo qualcuno, lei poteva essere il candidato ideale per Palazzo Marino.
R. A me non l’han detto (ride). Credo però che una candidatura a sindaco serva, prima di tutto, a comunicare l’idea di città e il progetto per il futuro che un partito ha.
D. Tifa per le primarie?
R. Tifo sempre per operazioni che vedano la democrazia più ampia, purché non sia una modalità di guardarsi l’ombelico. Bisogna parlare alla città e non parlarci fra noi. E non ho dogmi: se ci fosse un nome condiviso da tutti, ben venga.
D. Del suo segretario, Matteo Renzi, che ne pensa? Lei l’ha pubblicamente sostenuto.
R. Nella sua proposta c’è qualcosa di veramente importante: la riforma di cui questo Paese ha bisogno. Poi, come tutti, può commettere degli errori, dovrà rafforzare la squadra, ci metta che governare è difficile e che non tutte le cose che fanno sono condivisibili, però...
D. Però?
R. Però la sua è un’occasione importante e del Paese con lui. Non si può perderla.
D. Cosa non condivide?
R. Mah, a volte forse ci vorrebbe un po’ più di approfondimento di certe scelte. O di certi nomi. Ma innovare è sempre un rischio, bisogna correrlo.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 31/7/2015