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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

ENI AL PICCO DELLA PRODUZIONE

La crescita della produzione (+9%) a 1,75 milioni di barili al giorno è la più alta degli ultimi 15 anni, tale da far alzare dal 5 a oltre il 7% le guidance dell’intero esercizio. Il cash flow ha tenuto, a 5,68 miliardi di euro, nonostante il peggioramento dello scenario di mercato, così che il dividendo di 80 cent (40 cent d’acconto il 23 settembre) può essere confermato.
Per il secondo trimestre consecutivo i business del Mid-downstream, Refining & Marketing e Chimica, sono positivi. Sono questi gli elementi che, pur a fronte di una picchiata degli utili, consentono all’ad Eni, Claudio Descalzi, di sbilanciarsi con MF-Milano Finanza: «Questa semestrale è una bomba». E il mercato l’ha pensata allo stesso modo. Durante la conference call il titolo è salito di oltre il 2% anche se poi ha chiuso a +0,8% dopo l’allarme di Shell sul prezzo del petrolio. «Quando abbiamo deciso di ottimizzare gli investimenti sull’Exploration & Production sapevamo che avremmo attaccato il grasso e non il muscolo», spiega Descalzi a MF-Milano Finanza. «Ora nell’upstream abbiamo raggiunto una crescita di produzione record come non si vedeva dal 2000». La prima metà dell’anno ha visto gli avvii e i ramp-up di importanti giacimenti, soprattutto in Angola (West Hub e Kizomba Satelliti fase 2), Congo (Nené Marine), Stati Uniti (Hadrian South e Lucius) e persino Libia. All’inizio di luglio è partito anche il giacimento venezuelano di Perla, mentre è pronto a far zampillare il first oil quello di Goliat, nella sezione norvegese del mare di Barents. Le risorse esplorative scoperte al 30 giugno scorso ammontano a 300 milioni di barili, al costo unitario di 1,7 dollari. Il target di Eni per l’intero anno, 500 milioni di boe, è perciò già coperto per il 60% e potrebbe essere superato. Alla marcia trionfale della produzione fanno da controcanto indicatori di conto economico in brusco calo, effetto combinato delle quotazioni del greggio (-44% anno su anno) e della svalutazione Saipem per ben 900 milioni di euro. Il peso complessivo di questi fattori sull’ebit è stato di 4,7 miliardi. Escludendo Saipem, l’utile operativo adjusted si è ridotto del 51% a 2,91 miliardi nel semestre. Con Saipem si scende a 2,33 miliardi di euro (-63%). Discesa più o meno analoga per l’utile netto adjusted: senza Saipem si è fermato a 1,05 miliardi nel semestre (-47%); con Saipem a 790 milioni (-62%). L’utile netto vero e proprio è scivolato a 590 milioni (-70%).
Descalzi approva in pieno le decisioni dell’ad della controllata, Stefano Cao. «Ha fatto quello che abbiamo fatto noi con Eni, aggredire i problemi, fare un po’ di pulizia scegliere di concentrarsi sui business più redditizi», commenta il numero uno del Cane a sei zampe. «Sono fiducioso in un pieno rilancio di Saipem, che ha un backlog robusto».
Sull’eventualità di un aumento di capitale, però, non si sbottona. «La questione è delicata, ora diamo la precedenza al piano che Cao presenterà già a settembre». Il cash flow ha consentito di finanziare quasi per intero gli investimenti del semestre e così sarà anche per il 2016, ipotizzando un barile a 60 dollari. Per Descalzi, la tenuta del flusso di cassa netto dell’attività operativa si spiega col fatto che Eni ha giocato d’anticipo rispetto alla debolezza del mercato. «Subito abbiamo messo in atto un programma di ottimizzazione dei costi con risparmi per 2 miliardi in quattro anni. Abbiamo tagliato 250 milioni di euro in sei mesi l’anno scorso, circa 500 milioni li raggiungeremo quest’anno. Abbiamo diminuito il capex, rinegoziato i contratti gas e riportato in equilibrio i business più critici, come la raffinazione». Eni ha abbassato i costi operativi upstream del 10% a 7,3 dollari al barile e ha ridotto gli investimenti complessivi del 10% rispetto allo scorso anno, confermando la guidance originale di una riduzione del 14% nell’intero anno. Tutte le azioni di efficienza nei costi hanno portato un miglioramento di cassa di 1,4 miliardi. Hanno contribuito poi gli incassi da dismissioni per circa 640 milioni di euro).
Il capitolo cessioni è pronto a ripartire, ma non dalla Nigeria. «Con Shell stiamo dismettendo alcuni asset minori e ho spiegato che avremmo investito nell’offshore. Ma non ho mai detto che avremmo venduto le attività onshore, sono speculazioni», taglia corto Descalzi. Il target degli 8 miliardi di proventi da dismissioni nell’arco dei quattro anni di piano è confermato. In vendita, nel breve termine, ci sono la partecipazione residua in Galp e un’altra fetta dei giacimenti giant offshore del Mozambico. «Mi auguro si possa concretizzare nel 2016, di certo quella di un’altra quota del Mozambico è la cessione più matura per essere portata a termine», anticipa l’ad. «Non avrà impatti dal prezzo del petrolio perché la produzione è prevista dal 2020, quando saremo fuori da questo ciclo».
Angela Zoppo, MilanoFinanza 31/7/2015