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 2015  luglio 31 Venerdì calendario

FACEBOOK, LO STATO PIU’ GRANDE CHE C’È

Mai una gioia. Nel complicato mondo dell’economia è così che funziona: anche quando sembra che le cose stiano andando strabene, c’è sempre un’angolazione dalla quale appaiono sotto una luce non positiva. La regola vale anche per un colosso della comunicazione (e della borsa) come Facebook, che nelle stesse ore in cui rende noto di essere ormai prossimo alla mostruosa cifra del miliardo e mezzo di utenti attivi mensili tra web e mobile, distanziando moltissimo concorrenti come WhatsApp (800 milioni di iscritti), Messenger (700 milioni) e Instagram (300 milioni), deve prendere atto di alcuni risultati che non soddisfano le aspettative degli analisti.
Tra questi «dati negativi» vi è per esempio l’utile netto, che essendo sceso a 719 milioni di dollari ha registrato un calo del 9,1% rispetto allo scorso trimestre, o il fatto che coloro che controllano quotidianamente il proprio account Facebook sono «soltanto» 968 milioni, mentre le attese dei sopra citati analisti erano tarate sui 970 milioni o più. Ma queste sono appunto faccende tecniche che interessano essenzialmente gli specialisti dell’economia: il dato clamoroso e indiscutibile è che quella sorta di Paese virtuale che risponde al nome di Facebook conta attualmente una «popolazione» superiore a quella di qualsiasi Stato del mondo, compreso il più affollato di tutti, l’immensa Cina, ferma a un miliardo e 393 milioni di persone.

C’È DI TUTTO
Il bello di Facebook, o comunque la sua caratteristica più interessante, è che si tratta della «nazione» più eterogenea e trasversale che si possa immaginare, visto che annovera davvero di tutto: dall’ebreo ortodosso al fondamentalista islamico, dal patito di pornografia al sostenitore della castità, dall’ultrà del Foggia al collezionista di cartoline d’epoca. Si sarebbe quasi tentati di lasciarsi andare a suggestioni da «peace & love» e formulare questa riflessione: se tutti i detentori di un profilo Facebook si costituissero quale Stato autonomo (e se manca un territorio definito e delimitato, pazienza: l’Isis ha insegnato che non è indispensabile), forse potrebbero mettere in crisi pure le superpotenze.
Uno Stato, è chiaro, all’insegna del dialogo, del confronto e delle differenze. Ma qui sorgono le magagne. Già, perché se si osserva la faccenda dalla giusta angolazione (lo dicevamo sopra: è sempre una questione di angolazioni) ci si rende conto che Facebook non può rappresentare un’alternativa al mondo contemporaneo in quanto, del mondo contemporaneo, è uno specchio fedele. Se è vero, infatti, che all’interno di FB convivono identità e culture diversissime, è altrettanto vero che ciascun individuo tende inesorabilmente a frequentare coloro che percepisce come maggiormente simili a sé. Proprio come nella realtà concreta. Si starà pure tutti più o meno forzatamente a contatto di gomito, ma il maghrebino tenderà a bazzicare maghrebini e il friulano friulani. Accade così anche su Facebook.
Anzi, lì per certi versi è ancora peggio, perché il social network ideato da Mark Zuckerberg induce a «chiudersi» nei propri piccoli gruppi: juventini nel gruppo degli juventini, nostalgici del Duce nel gruppo dei nostalgici del Duce, amanti del fumetto giapponese nel gruppo sui manga e via dicendo. E se capita che elementi dei diversi gruppi vengano a contatto tra loro, di solito sono mazzate brutte, per quanto solo verbali. Perciò, se anche l’idea di considerare Facebook l’embrione di una possibile «nazione alternativa» può sulla carta risultare intrigante, è bene rassegnarsi subito: si tratta di un’utopia (l’ennesima) destinata a fallire sul nascere e che dunque è meglio accantonare.

COME LA REALTÀ
Facebook e il mondo reale, come già detto, in verità si assomigliano molto, moltissimo, con tutta quella gente che apre bocca e le dà fiato anche quando si trova al cospetto di argomenti di cui non sa un tubo: succede su Facebook così come al bar, al ristorante e sul posto di lavoro. Tutto ciò, a prescindere dalle singole voci delle trimestrali, si traduce per Zuckerberg in un fracco di quattrini: basti dire che i contenuti pubblicitari all’interno di FB hanno fruttato negli ultimi tre mesi oltre 4 miliardi di dollari. Tante volte lo stesso Mark, riferendosi al suo social network, ha a propria volta scomodato la parola «utopia». Diciamo allora che nel suo caso, per citare un vecchio libro dello psichiatra Marco Lombardo Radice, si tratta di una concretissima utopia.