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 2015  luglio 04 Sabato calendario

QUEL BRAVO RAGAZZO


[Daniele Rugani]

Tranquilli: Daniele Rugani è uno di noi. Uno normale. Diverso da come vorrebbero farlo apparire: perbenino, precisino, perfettino. Oddio, ci ha messo del suo per essere dipinto così. Prima stagione in A, 38 partite giocate su 38 e neanche un’ammonizione. A 20 anni, da difensore centrale nell’Empoli, non proprio una grande. È bastato questo – e non è poco – per scomodare il paragone più impegnativo: quello con Gaetano Scirea, che in 16 anni di carriera tra Atalanta e Juventus non venne mai espulso e prese una sola ammonizione per non aver rispettato la distanza su un calcio di punizione. «A me una roba così non capiterà più», si schermisce lui, che proprio alla Juve è destinato, questa estate o in futuro. La società bianconera lo ha acquistato per metà dall’Empoli due anni fa, lasciandolo ai toscani per maturare, come si dice in questi casi. Rugani ci è riuscito talmente bene da imporsi in Serie A e nell’Under 21 che ha appena finito l’Europeo. Resta da vedere se rimarrà a Torino da subito o verrà girato in prestito (alla Samp?).
Intanto si diverte a smontare (per metà) l’aura da angioletto che lo circonda. Giudicate voi se ci è riuscito.

Rugani, sa chi è stato Scirea, difensore centrale della Juve – “libero”, come si diceva una volta – dal 1974 al 1988?
«So molto poco, per la verità. Quasi tutto per sentito dire. So però che è stato un esempio di correttezza e di lealtà, in campo e fuori».
Dica la verità, quante volte si è sentito paragonare a lui?
«È iniziata quest’anno. Per me è un onore essere accostato non soltanto al giocatore, ma soprattutto alla persona. Ma ora è un confronto troppo azzardato».
Di lei dicono che sia appunto un ragazzo e un calciatore d’altri tempi: le scoccia?
«Mmmm... Devo dire la verità: questa etichetta che mi è stata data è giusta, ma solo in parte. Diciamo al 50 per cento. Nella mia professione, nel calcio, sono effettivamente serio, attento a ogni dettaglio, scrupoloso. Fuori dal campo invece non sono l’angioletto che dicono».
Questa è una sorpresa...
«Ma non ho mai fatto cazzate veramente grosse, però».
Partiamo da lontano: che ragazzino è stato?
«Ero come sono anche adesso: abbastanza monello».
Cioè?
(ci pensa un po’) «Non è una cosa tanto bella da scrivere (ecco che viene fuori il bravo ragazzo) ma alle elementari picchiavo un compagno che faceva sempre la spia. Si andava dietro la scuola, e non si poteva, e lui lo diceva alla maestra. Si faceva cadere qualcosa senza volere, e lui lo diceva alla maestra. E io puntualmente all’uscita lo menavo. Il problema era che mia madre era maestra nella stessa scuola e quando lo venne a sapere andò fuori di testa».

Scusi, ha fatto qualcosa di peggio?

«Beh, al mare con gli amici rubavamo le biciclette parcheggiate. Saccheggiavo di nascosto il borsellino di mamma per andare a giocare a flipper. Da grande, c’è lo scherzo delle pizze: ne ordini 10 e dai l’indirizzo sbagliato. Ancora adesso lancio i gavettoni dalla macchina. Se mi viene in mente altro, le mando un sms».
Tra una nottata in disco con abbondante giro di alcolici, una gara in moto o in auto con gli amici e una velina scosciata che le chiede di salire in casa nonostante il giorno dopo lei abbia la partita, qual è la tentazione cui è più difficile resistere?
(ride) «Dico la verità: la velina... Ma mi sa che è difficile che succeda prima di una partita».
Il peccato che commette più spesso?
«Un dolcino ogni tanto. E poi la Playstation».
Avessi detto. Almeno, dice le parolacce?
«Tante, pure in campo. Ma sottovoce».
Ha ammesso di essere molto preciso sul lavoro: cosa vuol dire?
«Curare l’alimentazione, per esempio. Sto molto attento a quello che mangio e cerco di non sgarrare mai, anche quando sono a cena fuori. A Empoli eravamo un gruppo molto unito e una sera a settimana si andava al ristorante. Beh, anche in quei casi era difficile che mi lasciassi andare. A casa cucino io. Mi piace: mi rilasso, guardo la tele e faccio le mie cose con calma».
Pranzo e cena tipici?
«Carne bianca o pesce, quasi mai la pasta a cena. La sera minestre di riso e farro. E poi gran passati di verdura frullati col robottino. A livello di elettrodomestici per la cucina sono attrezzato».
Il piatto tipico di Lucca, la città dove è nato?
«Non saprei... I tortelli, forse».
L’ultima volta che li ha mangiati?
«A Natale o forse a Capodanno».
Altre attenzioni particolari?
«Sono pignolo nel recuperare e riposare bene dopo allenamenti e partite. Non vuol dire che vado a letto alle dieci, anzi tiro quasi sempre mezzanotte. Ma ore piccole mai, soprattutto durante il campionato. E discoteca solo alla domenica sera. Poi, lavori extra prima o dopo l’allenamento: stretching per la prevenzione degli infortuni e tecnica individuale per migliorare il mio punto debole, il piede sinistro. Perciò: palleggi contro il muro, conduzione palla tra i “cinesini”, passaggi nelle porticine, lanci lunghi tra le sagome».
Fa tutto da solo, anche nella scelta degli esercizi da fare, o si fa consigliare?
«Io sono uno che parla poco ma ascolta molto. A Empoli ho chiesto suggerimenti agli allenatori, al fisioterapista, ai medici, poi mi sono gestito io. Nello svolgimento degli esercizi però ho bisogno di una mano: devo ringraziare Calzone e Bonomi che a Empoli mi hanno aiutato tanto».
Dunque: nessuna ammonizione in A, 3 in 40 partite in B. Erano giuste?

«Macché, ne meritavo una sola, quella col Brescia all’andata: ho provato a prendere la palla, l’attaccante me l’ha spostata un attimo prima, era al limite dell’area e il cartellino ci poteva stare. Ma le altre due proprio no. Col Siena in casa provai un anticipo, l’attaccante si mise tra me e la palla e gli andai contro. Eravamo a centrocampo, sono stato ammonito e non capisco il perché. La terza l’ho avuta ancora contro il Siena, stavolta in trasferta: sono scivolato e ho preso l’uomo, ma neanche sul piede. Ho perso l’appoggio e sono caduto, si vedeva che non l’avevo fatto apposta».
Ma come fa un difensore di una squadra come l’Empoli a non prendere neanche un’ammonizione contro gente come Tevez o Icardi?
«Sarà per il mio modo di giocare: non sono istintivo, cerco sempre interventi ragionati. E con gli arbitri non protesto mai. Tanto, se fischiano, non li ho mai visti cambiare idea».
A un certo punto le avranno fatto notare che era a zero cartellini...
«Sì, e alla fine mi sono detto anch’io: “Ormai ci siamo, proviamo a fare percorso netto”. Ma non c’è mai stata una sola occasione in cui abbia tirato indietro la gamba».
Si sente pronto per la Juve?
«Io sì, poi decideranno loro».
La spaventa uno spogliatoio importante come quello bianconero?

«È certamente diverso da quello dell’Empoli, ma spaventare non è il verbo giusto. Sono curioso e voglioso di vedere se sono all’altezza di quei campioni anche da questo punto di vista».
Pensa di dover cambiare qualcosa nel suo atteggiamento per inserirsi più facilmente nel gruppo?
«Magari dovrei essere più istintivo, invece di ragionare su tutto. Dovrei imparare a essere menefreghista, in un certo senso. Il campione si vede quando sbaglia una partita e reagisce pensando già a quella successiva. Io non riesco a farmi scivolare le cose addosso, ci metto giorni a metabolizzare la delusione».