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 2015  luglio 05 Domenica calendario

«OGNI BARCONE PER NOI VALE MEZZO MILIONE POI IO DA ROMA SMISTAVO MIGRANTI AL NORD»

DAL NOSTRO INVIATO PALERMO Quando è sbarcato a Porto Empedocle, «tra il 2006 e il 2007», ha chiesto e ottenuto asilo politico come profugo di guerra. Poco dopo l’hanno arrestato per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina», è stato processato e condannato, ha scontato la pena ed è tornato libero. Con la possibilità di restare in Italia grazie allo status di rifugiato. «Ho lavorato al Patronato per l’accompagnamento dei clandestini e il ricongiungimento familiare», racconta ora; in pratica, sfruttando le garanzie offerte dalla protezione internazionale, ha ripreso a collaborare con i trafficanti di uomini. Fino al 30 giugno 2014, quando è finito nuovamente in carcere nell’operazione di polizia «Glauco 1».
Dopo quasi un anno di galera, il 21 aprile scorso, all’indomani della strage in mare di oltre 800 migranti e della nuova retata chiamata «Glauco 2», Nuredin Atta Wehabrebi, cittadino eritreo di trent’anni, ha chiamato gli inquirenti per collaborare con la giustizia italiana: «Posso rendere dichiarazioni che riguardano il traffico di esseri umani per l’immigrazione clandestina; io facevo parte di un’associazione dedita a questo tipo di reato».
Da allora Wehabrebi ha riempito decine di pagine di verbali davanti ai pubblici ministeri di Palermo Calogero Ferrara e Claudio Camilleri, e ai poliziotti della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo.
A palazzo di giustizia lo chiamano «il Buscetta del traffico di migranti»; gran parte delle sue dichiarazioni sono ancora top secret in attesa di nuovi sviluppi giudiziari, ma già nei verbali depositati al processo «Glauco 1» sono descritti molti particolari sulla gestione dell’immigrazione irregolare.
«Io sono arrivato in Libia a tredici anni — racconta il “pentito” —, lì sono cresciuto e ho imparato l’arabo andando a scuola... Abitavo nello stesso edificio con Abduzarak, mentre Ermias abitava lì vicino». Sono i nomi di due trafficanti che organizzano le spedizioni da Tripoli, compresa quella che si è conclusa con il naufragio al largo di Lampedusa dell’ottobre 2013, con oltre trecento morti; a pianificare il viaggio, secondo le accuse, fu Ermias.
«Ho conosciuto molti libici — prosegue Wehabrebi — e ho cominciato a operare nell’organizzazione dapprima come gestore di un bar dove ricevevo le persone che volevano andare in Italia. Lì prendevo i soldi e li ridistribuivo ai trafficanti. Sono partito per l’Italia perché avevo problemi con la polizia libica che chiedeva sempre soldi per farsi corrompere, e io non ho pagato per il mio viaggio in quanto facevo parte dell’organizzazione».
Dopo il primo arresto e il carcere, il «pentito» ha ripreso i contatti con i trafficanti e s’è trasferito a Roma, per gestire lo smistamento dei clandestini dall’Italia verso le destinazioni finali: «Durante la mia permanenza a Roma mi sono occupato di portare personalmente dei migranti in Germania, nella città di Monaco, e per ognuno ho percepito la somma di 800 euro. Preciso che dalla mia attività io guadagnavo circa 4.000 euro al mese... Venivo contattato sempre da Mohamed Sahli (un presunto complice sotto processo, ndr ) che prendeva 250 euro per ciascuna persona che riusciva a fare arrivare a Roma da me».
Dalla capitale Wehabrebi si occupava della prosecuzione dell’itinerario: «Ero io a decidere le modalità del viaggio, se in bus oppure in treno o in macchina... Ho fatto viaggi per trasportare i migranti con furgoni o in auto praticamente in tutta Europa (Germania, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia e altri Paesi) ma non sono mai stato fermato dalla polizia».
Tramite l’attività al Patronato, Wehabrebi s’è occupato dei ricongiungimenti familiari, attraverso la contraffazione dei certificati dello stato di famiglia e di residenza: «Ho visto numerosi di questi certificati falsi, e per molti di essi ho curato personalmente la trasmissione alla Prefettura di Agrigento».
Prima di sbarcare in Italia i migranti arrivano in Libia per la maggior parte dal Sudan, e al confine vengono presi in consegna dagli uomini di Ermias e di altri trafficanti, che li radunano nei capannoni in attesa della partenza verso le nostre coste. Secondo Wehabrebi, ogni carico frutta all’organizzazione circa 500.000 euro.
«Quando si raggiunge un grande numero (di migranti, ndr ) viene reperita l’imbarcazione che arriva dall’Egitto o dalla Tunisia, e resta in mare perché la polizia libica non fa controlli in quanto corrotta. Molti dei gommoni arrivano dalla Tunisia, vengono gonfiati nelle spiagge libiche e da lì messi in mare... Ho deciso di collaborare perché ci sono stati troppi morti. Anzi, i morti di cui si viene a conoscenza sono una minima parte, tant’è che in Eritrea otto famiglie su dieci hanno avuto delle vittime dovute ai viaggi di migranti».