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 2015  luglio 05 Domenica calendario

AGNUB-AGNUB

Molti colleghi di agenzie e giornali si (e ci) domandano perché abbiamo pubblicato il diario di Iris Berardi, una delle minorenni dei festini di Arcore che lei chiama “orge”, con quell’accenno alla sodomia con B. (ma a parti rovesciate rispetto al rituale classico del Bunga-bunga, dall’attivo al passivo). La risposta è scontata: diteci voi perché non l’avete pubblicato. Obiezione: ma B. s’è rivolto al Garante contro di voi per violazione della sua privacy. Ma che c’entra la privacy con gli atti depositati in un processo che tra qualche mese squadernerà in Tribunale quel diario e tutto il resto, e vedrà sfilare decine di ragazze imputate insieme con B. per essere interrogate su quei fatti? Dopo anni di dibattiti e propaganda, tocca fare per l’ennesima volta un po’ d’ordine.
1) Noi non abbiamo atteso lo scandalo Ruby e tutto l’indotto per capire e scrivere chi è B. Per uno che si teneva in casa un mafioso (Vittorio Mangano), anzi due (Marcello Dell’Utri, ora sepolto vivo nel carcere di Parma a scontare una condanna per mafia), e ha una condanna per frode fiscale e varie prescrizioni per corruzione giudiziaria, falso in bilancio e altro ancora, qualunque altra cosa si scopra su di lui, per quanto grave, sarà sempre acqua fresca.
2) A casa propria ciascuno può fare ciò che vuole, con donne, uomini, animali, vegetali o minerali, almeno finché non commette reati. Se però è un pubblico ufficiale, è anche tenuto ai doveri costituzionali di “disciplina e onore”, ben al di là del Codice penale.
3) Abbiamo sempre scritto che l’aspetto pubblico più inquietante delle feste di Arcore, Palazzo Grazioli e Villa Certosa non è il numero, l’età e l’attività delle ragazze, ma la ricattabilità del padrone di casa. Chi, nel suo privato, fa cose che non potrà rivendicare in pubblico, sa che chi ne viene a conoscenza lo tiene in pugno: e può privarlo della sua libertà di azione. Se, puta caso, fra le Olgettine italiane e straniere di cui B. a stento conosceva il nome, si fosse infilata l’agente di un governo straniero, o fosse stata assoldata da un servizio segreto o da un’organizzazione terroristica o criminale per rivelare informazioni compromettenti sul premier italiano, quello che la stampa cortigiana chiama “gossip” sarebbe diventato un intrigo internazionale, con grave pericolo per la sicurezza del Paese e per l’incolumità di noi tutti.
4) Quando esplosero i primi scandali “sessuali”, B. aveva di fronte a sé due opzioni. O seguire il consiglio di Ferrara e dire “Io sono un vecchio libertino, non sto più con mia moglie, e gli anni che mi restano me li voglio godere con tutti i piaceri della carne; ma sono affari miei e voglio essere giudicato dal mio programma politico”; oppure negare tutto e spacciare i festini per “cene eleganti”. Siccome ha scelto la seconda, era naturale che la sua versione venisse passata alla macchina della verità dalla stampa e dall’opinione pubblica. Se in America esplose il caso Clinton-Lewinsky non fu perché il presidente avesse tradito la moglie, ma perché aveva giurato al Gran Giury di non aver mai avuto rapporti con la stagista: l’abito di Monica macchiato dal suo sperma fu la prova provata della sua bugia, e nessuno si sognò di invocare la privacy.
5) Il processo Ruby-1 non riguardava i gusti sessuali di B., ma la prostituzione minorile della ragazza (sesso per soldi con minorenne: reato inasprito dal governo B.) e la concussione del capogabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni per indurlo a violare la legge rilasciando la ragazza fermata per furto nelle mani della Minetti e di un’altra prostituta, anziché affidarla a una comunità come disposto dal pm minorile.
Quel processo, dopo la condanna in primo grado, s’è chiuso con l’assoluzione: non perché la Procura avesse scambiato per orge le cene eleganti; ma perché – secondo gli ultimi giudici – non è sufficientemente provato che B. fosse consapevole della minore età di Ruby e che Ostuni si sentisse coartato dalle telefonate di B. Dal Ruby-1 però ne è germogliato un altro, il Ruby-3, quando si è scoperto che decine di testimoni hanno ricevuto per mesi, anni fiumi di denaro da B., per un totale di almeno 10 milioni, oltre a case, gioielli e altri regali mentre erano in veste di testimoni, e cioè di pubblici ufficiali. Siccome lo scopo, secondo l’accusa (e il buonsenso), è ottenere testimonianze compiacenti, l’accusa è corruzione giudiziaria del testimone. Qual è il movente, sempre secondo i pm, della corruzione giudiziaria? Le conoscenze che le ragazze hanno accumulato su quanto han visto e fatto chez Caimano: ciò che sanno, o hanno immortalato sugli smartphone, o appuntato nei loro diari, o scritto nei loro scambi di mail, sms, messaggi sui social, o detto in telefonate intercettate e a verbale. Per questo il diario di Iris Berardi, che nel 2008 iniziò a frequentare Arcore da minorenne e poi mise nero su bianco ciò che avveniva, compreso un presunto rapporto sodomitico con B., sarà un elemento centrale, insieme a molti altri, del processo: è la causale (una delle tante) dei versamenti. E la ragazza verrà sentita anche su quel particolare scabroso. Che, se fosse confermato, spiegherebbe meglio di ogni altro indizio perché le ragazze chiedevano e ottenevano soldi da B., ridotto a Bancomat collettivo.
Il giorno dell’udienza, a porte aperte davanti a giornalisti e telecamere di tutto il mondo, ciò che ora tutti i giornali tranne il Fatto nascondono sarà di dominio pubblico. Quindi, sul Bunga-bunga alla rovescia, ribaltiamo la domanda di certi “colleghi”: perché voi l’avete censurato?
Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 5/7/2015