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 2015  luglio 05 Domenica calendario

GENOVA, LA MAMMA DISPERATA CHE COMPRAVA DROGA AL FIGLIO

L’incubo cominciava alla sera. «Tra le otto e le dieci mio figlio aveva le crisi, si mordeva e invocava aiuto. E, per evitare che la situazione degenerasse, uscivo e andavo nei caruggi a comprargli la droga». Simona ha 50 anni, fa la commerciante nel levante di Genova. È la mamma di Marco, ex volontario d’una pubblica assistenza, «con tanto di brevetto da primo soccorritore» precisa orgogliosa la donna, precipitato nel tunnel del crack a 20 anni. Per quasi sei mesi, dall’autunno scorso, Simona ha comprato al figlio la cocaina. «Duecento dosi in tutto», racconta. Ha cercato di proteggerlo dal mondo degli spacciatori, pensando che «fosse la cosa giusta». Quando non ce l’ha più fatta, è corsa in caserma, facendo arrestare i pusher. Il suo incubo è ripercorso come un diario, in tre colloqui con gli investigatori: «È cominciato tutto con l’alcol. Lorenzo, prima d’iniziare a bere, era uno studente modello. Faceva il volontario, ha avuto diversi riconoscimenti. Dopo tre mesi ha iniziato con la cocaina, poi è stata la volta del crack. È stato lui a confidarmi tutto: aveva continuamente bisogno di saldare i debiti accumulati con gli spacciatori». Descrive le crisi di astinenza: «Si faceva dei tagli con il coltello. Io non sapevo cosa fare, ero disperata, avevo paura e mi mancava il respiro».
Con le spalle al muro ha deciso di assecondarlo: «Da ottobre ho iniziato a comprare dosi per lui. All’inizio andavamo insieme; io guidavo lo scooter, lui comprava la droga con i miei soldi. Quando le crisi sono diventate più ravvicinate, ho deciso che sarei andata da sola, temevo potesse mettersi in pericolo». Quante volte è accaduto?: «Almeno duecento. Appena me lo chiedeva partivo, ho speso più di diecimila euro». Ha imparato a trattare con gli spacciatori, Simona: «Ce n’era uno più aggressivo, un altro più comprensivo che mi pare chiamassero Bingo Bongo. Una volta ha fatto una specie di ramanzina a mio figlio: “È roba che fa schifo, guarda come ti stai riducendo”». Spesso era lei a chiamarli: «Avevo appuntamento in Darsena, facevo una seconda telefonata e loro comparivano».
A un certo punto torna al presente, come per descrivere un meccanismo che funziona ancora: «Consegno i soldi, loro sputano la dose che tengono impacchettata sotto la lingua. Uno mi ha detto che ne poteva tenere in bocca quaranta». Dopo un po’ di mesi ha provato a fermarsi e Marco ha iniziato a rubare. «Ha venduto le mie fedi, ha derubato i nonni e la fidanzata. Prendeva il bancomat di mia madre e in un’occasione il mio compagno mi ha detto che gli sono spariti 50 euro». Poi Marco ha iniziato a vendere «computer, cellulari, tv». E a distruggere casa. «Minacciava di uccidersi o di ammazzarmi. Poi usciva. Una volta l’ho recuperato nei vicoli e l’ho portato all’ospedale: mi ha preso per i capelli, costringendomi a tornare nel centro storico... A un certo punto sono crollata. Mi hanno ricoverata, lui è venuto a trovarmi: mi ha tolto la flebo e siamo andati ad acquistare droga». Simona riesce nonostante tutto ad accendere la luce: «Ora è in una comunità, mi ha chiesto scusa: ne usciremo insieme».
Tommaso Fregatti e Matteo Indice, La Stampa 5/7/2015